giovedì 12 marzo 2009

Si scrive autocrazia, si legge dittatura

Questa volta, in una classe svogliata di una scuola qualunque in un Paese qualunque della Germania di oggi, dove sembra che nulla di nuovo possa scuotere i tradizionali ritmi e soverchiare le apatiche svogliatezze degli studenti, dando una scossa alle loro curiosità ridotte al lumicino, qualcosa sta per accadere. Piccoli sintomi fanno ben sperare per la vita della struttura scolastica e della collettività: ecco finalmente semplici regole capaci di assicurare il rispetto per le istituzioni e gli insegnanti e diffondere un solidale spirito di corpo adatto a sostituire l'individualismo ormai innervato nella vita quotidiana dei giovani. Merito indubbio del professor Rainer Wenger e della sua settimana di esercitazione e approfondimento dedicata all'"autocrazia", termine assai più accattivante e meno problematico di "dittatura" o "dispotismo". Che bello, una classe così ordinata e ragazzi così interessati alle lezioni, che rispettosi si alzano in piedi prima di rivolgere una domanda o dare una risposta, che salutano in coro all'unisono, con un rendimento che in pochi giorni fa passi da gigante. Nell'aula di sotto, quelli che hanno scelto il seminario dedicato all'"anarchia" sono annoiati e svogliati. Un giorno, però, sentono sopra di loro i colleghi marciare insieme così pesantemente che quasi il soffitto sembra crollare sulle loro teste. Un altro giorno li vedono vestire una divisa semplice e che subito li identifica: camicia bianca e un paio di jeans. Poi, su quella camicia immacolata, che dovrebbe simboleggiare pulizia e purezza, tutti appiccicano un simbolo nero, una grande onda arricciata, e lo stesso simbolo, dal vivido colore rosso, appiccicano e dipingono in una notte forsennata sulle vetrine e i monumenti di mezza città. Poi si inventano un particolare saluto comune obbligatorio, si difendono gli uni con gli altri, fronteggiano i gruppuscoli dissenzienti che vengono isolati e risollevano, infine, con un vigoroso spirito di squadra anche la dissestata e perdente formazione di pallanuoto. Con qualche comportamento poco sportivo, certo. Ma la vittoria è il fine, i mezzi contano poco. Il numero di coloro che aderiscono con entusiasmo all'Onda, questo il nome dell'originale sodalizio, aumentano di giorno in giorno perché chi vi partecipa diventa membro di un'élite di prestigio che si auto-tutela, si auto-protegge e si impone sugli altri. Al professor Wenger si affianca una guardia del corpo, mentre in famiglia si comincia a nutrire qualche dubbio sull'utilità pedagogica di questo esperimento che sta cambiando caratteri e cuori. Ad alcuni spiriti liberi, pochi in verità, isolati e impauriti da tale dilagante entusiasmo, un sospetto nasce: che cosa è mai successo in così pochi giorni in quel seminario del professor Wenger, apprezzato anche dalla preside dell'istituto e avversato da pochi "sovversivi" che si oppongono a questo ordine dilagante? È successo che Wenger medesimo abbia chiesto provocatoriamente all'inizio delle sue lezioni: "Credete possibile oggi il ritorno della dittatura in Germania?". E alla risposta ovviamente e unanimemente negativa e sprezzante degli studenti, certi dell'assurdità del quesito, abbia fatto seguire iniziative e proposte, liberamente accettate da tutti loro, capaci di contraddire nei fatti tale unanime, solida certezza. Abbia cioè iniziato, il professor Wenger, a instillare in loro le cellule del totalitarismo attraverso piccole scelte di vita scolastica e quotidiana dando forma e soluzione alla loro confusa ricerca di mete e di ideali e, non ultimo, riempiendo il loro vuoto spirituale. Soprattutto sia riuscito a canalizzare il loro disagio attraverso una disciplina e un ordine in cui si dissolve, per amore e fedeltà al corpo, la singola identità. L'onda, tratto da un romanzo di Morton Ruhe a sua volta ispirato a fatti realmente accaduti alla Cubberley High School di Palo Alto in California nel 1967, è un film del regista tedesco Dennis Gansel prezioso, scarno, inquietante, a suo modo accorato. È stato assai ben accolto, anche dal pubblico italiano, e ha innescato dibattiti proficui e equilibrati non solo in patria. L'esperimento in quella scuola anonima, infatti, che ha contaminato lo stesso insegnante e diffuso un'idea completamente distorta dell'autorità e delle sue funzioni sociali instillando il peggiore degli ideali, sfugge di mano a tutti fino al drammatico epilogo nel corso del quale i ragazzi stessi, da carnefici in pectore, si trasformano in vittime involontarie del sistema. Un finale volutamente didascalico e sospeso, che appartiene però a una sceneggiatura tersa, tesa, sincera. Tutti dovremmo sentire un'ideale campanella mettersi a suonare. Questa volta non squilla per avvisare dell'inizio delle lezioni nella scuola teatro di fatti così emblematici, ma per dare l'allarme e metterci in guardia: il passato più cupo, infatti, con tutte le sue spaventose e sconvolgenti conseguenze morali e sociali, non è detto sia stato completamente spazzato via dai nostri orizzonti moderni e civili, dalle nostre coscienze di uomini liberi e maturi.

(Fonte: ©L'Osservatore Romano, 12 marzo 2009)

Nessun commento: