giovedì 4 giugno 2009

Il canone Aspesi

Quando il gioco si fa duro, le dure scendono in campo. E dura è Natalia Aspesi, la decana delle giornaliste sinceramente democratiche, depositaria di una rubrica «Cuori spezzati» che settimanalmente firma sulla Repubblica, animosa alfiera di memorabili battaglie civili, colei che si batté come leonessa per il diritto delle carampane d’indossare il body panterato (nel quale Aspesi ovviamente s’infila) e questo perché, aspesianamente parlando, mai viene meno nella femmina il piacere di piacere e di piacersi. Di far colpo su quel porco del maschio scutrettolandogli intorno a carne nuda, le grazie celate dalla mutanda velinaro-kitsch. A lei dunque i repubblicones hanno dato l’incarico di montanellizzare Veronica Lario, di ergerla, per fulminanti meriti antiberlusconiani, a guida ideale dei crociati impegnati a liberare il Paese dal Male Assoluto: il Cavaliere suo marito. Al pari di Montanelli prima dello «strappo», fino a ieri Veronica Lario risultava, agli occhi delle sinceramente democratiche Aspesi in genere, monnezza. Una nullità, sciatta quando non ridicola nel vestire, strabordante di ciccia, turgida di botulino, insulsa e colpevole d’essersi ammogliata con quel poco di buono, con quel nemico delle libertà, con quel calpestatore dei diritti umani d’un Berlusconi. Un «vissuto», come direbbe Aspesi, o anche un «percorso», come ridirebbe Aspesi, tosto riscattato dall’enciclica laica «Ciarpame senza pudore» che proietta quella che fu la pupa del gangster a patrona dell’antiberlusconismo, a irreprensibile maestra di pensiero e di vita.
«C’è un possente muro per difendere il capo, per avallare le sue menzogne». Ed è un intero esercito di avvocati «con i loro visi aguzzi, gelidi e spietati», puntualizza la Carolina Invernizio di Repubblica, è «una folla di miracolati carichi di spille d’oro» a costituire quel muro. «E chiunque osi sottrarsi a questa nebbia nefasta, a questa palude eversiva, viene irriso, sporcato, attaccato, annientato» (affermazione sorprendente, detta da un quotidiano che passa il suo tempo a irridere, sporcare e attaccare cercando, senza riuscirci, di annientare il Capo del governo). Protetto dal muro, Berlusconi cosa fa? «Non nega ai dipendenti del giornale di proprietà di suo fratello (noi: i dipendenti siamo noi del Giornale) di pubblicare la foto di sua moglie, della madre dei suoi tre figli, accompagnata dalla sua guardia del corpo» irridendo, sporcando, attaccando e annientando così Veronica Lario. La quale, incalza Aspesi che la sa lunga, «cammina a distanza di almeno due metri dal signor Orlandi, il che pare anche troppo per un bodyguard il cui dovere è stare vicino all’oggetto della sua sorveglianza». Se ne conclude che l’affermare - come ha fatto «un’altra dipendente del capo per intemperanti benemerenze politiche» - che «quel cupo signore intento al suo lavoro è l’amante della signora» è una vile menzogna. Nebbia nefasta. Palude eversiva.Tessendo l’apologia della signora Veronica, la pitonessa del politicamente corretto e della sincerità democratica afferma dunque che già di per sé è atto infame pubblicare la fotografia di una donna ritratta accanto a un uomo («cupo», nel nostro caso). E che è infamissimo, irrisorio, imbrattante, aggressivo e annientante sottintendere che l’uomo cupo sia l’amante della signora. Perché se quando il paparazzo scatta la foto l’uomo si trova a due metri dalla donna, è impossibile, è escluso nel modo più assoluto che fra i due vi sia «qualcosa di erotico». Benissimo. Ma allora perché Repubblica ha pubblicato la foto di una donna (Noemi) ritratta accanto a un uomo (Papi)? E perché, pur standosene Noemi a due metri, centimetro più, centimetro meno, da Papi da un mesetto a questa parte i repubblicones insinuano che fra i due qualcosa c’è? Se il Canone Aspesi vale per Veronica deve valere anche per Silvio, non si scappa. A meno di non ammettere che Aspesi e tutti i repubblicones d’Italia, isole comprese, sono, deontologicamente parlando, dei furfanti (furfante, sostantivo maschile e femminile: persona disonesta).

(Fonte: Paolo Granzotto, Il Giornale, 3 giugno 2009)

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