C’è
uno scienziato in Italia che di tanto in tanto prende delle cantonate grandi
quanto una casa, le diffonde senza porsi tanti problemi e si fa portavoce di
quella cultura anti-umana che sembra avere il sopravvento rispetto alla
concezione stessa dell’uomo, quella conosciuta da millenni.
L’ultima
“uscita” di questo scienziato è relativa al tema della droga. Egli sostiene
(“La Repubblica” dell’8 luglio scorso) che «La droga è la materializzazione del
rifiuto dei ragazzi di una società violenta e ingiusta. Questa è la prima causa
su cui agire, se vogliamo combatterla». Come combattere la droga?
Liberalizzandola. L’uso della droga sarebbe conseguenza di una rivolta nei
confronti di una società malata. Così, coloro che ne fanno uso vengono assolti.
Non commettono nulla di male. Anzi. Danno un segnale a tutti. Fanno comprendere
quanto sia necessario agire sulla violenza e le ingiustizie, causa del loro
perdersi nei paradisi artificiali che si costruiscono, nei loro mondi che non
corrispondono alla realtà delle loro vite. Quelle così disprezzabili dei loro
padri e delle loro madri, ad esempio, che lavorano dalla mattina alla sera, per
mantenerli agli studi, e per farli crescere, ai quali oltre a sottrarre il
denaro per comprare la “roba”, rubano anche la speranza di una vita serena, per
inseguire il loro piacere e la loro pseudo-felicità.Questo il ragionamento “moderno” di Umberto Veronesi, l’illustre scienziato di cui dicevamo all’inizio. Lo scienziato si è prodigato negli scorsi anni anche su un altro tipo di liberalizzazione, quella che riguarda il diritto di darsi la morte con l’eutanasia. «È diritto dell’uomo chiedere la morte, se è stato colpito da una malattia inguaribile e irreversibile? La risposta non può essere che affermativa, perché la vita è un diritto, e non un dovere», ha affermato. Ed ha aggiunto: «Scegliere la morte per evitare sofferenze intollerabili fa parte dei diritti inalienabili della persona e non si può affermare che la vita è un bene ‘non disponibile, da parte dell’individuo senza negare il concetto stesso di libertà, sottoponendolo a categorie morali che non possono che essere collettive, e che quindi, di fatto, cancellano l’individuo e negano la sua libera autodeterminazione». Così, il principio di autodeterminazione, che corrisponde ad elevare gli istinti e i desideri a verità assolute, spazza via ogni cosa.
Ma è sulla sessualità che Veronesi ha dato il meglio di sé. Intervistato qualche anno fa dal “Riformista”, lo scienziato libertario, già Ministro della Salute, stimato da tutti ‒ senatore eletto dal Partito Democratico e presidente dell’Agenzia per la sicurezza nucleare voluta dal governo Berlusconi – spiegò il futuro bisessuale dell’umanità. «La specie umana ‒ disse Veronesi ‒ si va evolvendo verso un “modello unico”, le differenze tra uomo e donna si attenuano (l’uomo, non dovendo più lottare come una volta per la sopravvivenza, produce meno ormoni androgeni, la donna, anche lei messa di fronte a nuovi ruoli, meno estrogeni) e gli organi della riproduzione si atrofizzano. Questo, unito al fatto che, tra fecondazione artificiale e clonazione, il sesso non è più l’unica via per procreare, finirà col privare del tutto l’atto sessuale del suo fine riproduttivo. Il sesso resterà, ma solo come gesto d’affetto, dunque non sarà più così importante se sceglieremo di praticarlo con un partner del nostro stesso sesso».
Le sue insulse teorie, porteranno certamente Veronesi – prima o poi – alla proposta per il premio Nobel. C’è una genìa di personaggi incensati dalla cultura materialista dominante, prodiga nell’elargire tributi e onori a simili mistificatori della realtà, che per giunta si ammantano della loro autorevolezza referenziale nella pretesa d’insegnare il bene e il male. Di questo tipo di maestri, non si sente, a dire il vero, alcun bisogno.
(Fonte:
Danilo Quinto, Corrispondenza Romana, 1 agosto 2012)
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