L'imminente
cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II ha riacceso
la disputa su quale sia la corretta interpretazione di quella assise:
- se
quella "della riforma, del rinnovamento nella continuità dell'unico
soggetto Chiesa", auspicata dal magistero papale e spiegata in modo
semplice e netto da Benedetto XVI nel famoso discorso del Natale del 2005;- oppure quella "della discontinuità e della rottura", sostenuta sia dai lefebvriani sia, per opposti motivi, dal progressismo cattolico e in particolare dalla storia del Concilio pubblicata in cinque volumi e in più lingue dalla cosiddetta "scuola di Bologna".
Un esempio di come nel cattolicesimo progressista si interpreti il Vaticano II come momento di rottura anche dogmatica riguarda la dottrina del peccato originale.
A tale proposito è sintomatico quanto accaduto a Roma lo scorso 15 settembre in un convegno celebrativo del Vaticano II, che ha visto la partecipazione di un migliaio di persone in rappresentanza di oltre cento sigle della sinistra cattolica italiana.
In quel convegno, titolato “Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri”, una delle relazioni principali è stata tenuta da Raniero La Valle, figura eminente della sinistra cattolica, che all’epoca del Concilio dirigeva uno dei principali quotidiani cattolici italiani – in quegli anni ce ne erano più di uno –, “L’Avvenire d’Italia” stampato nella Bologna del cardinale Giacomo Lercaro.
Nel suo intervento, La Valle ha detto che "nella sua narrazione della fede il Concilio non ha riproposto la dottrina punitiva del peccato originale, nella forma depositata nei catechismi. C’era questa dottrina nello schema preparatorio della commissione dottrinale, ma il Concilio l’ha lasciata cadere". E questa "non è una dimenticanza, è un’ermeneutica".
Per La Valle risulta "evidente come il Concilio, nel tacere sul mito del giardino, si sia messo all’ascolto del 'sensus fidei' del popolo di Dio".
A suo dire, dagli anni del Concilio il popolo cristiano avrebbe ormai voltato le spalle al dogma sulla realtà del peccato originale, cosa che invece non avrebbe fatto "il successivo Catechismo della Chiesa cattolica del 1992", il quale "riesuma quella dottrina, segno di una gerarchia resistente al Vaticano II".
L’idiosincrasia nei confronti del dogma del peccato originale è piuttosto diffusa nel mondo cattolico progressista. In modo più o meno spinto.
Per rimanere in Italia basti pensare al caso di Vito Mancuso, che lo rigetta drasticamente in quanto sarebbe, a suo dire, "un autentico mostro speculativo e spirituale, il cancro che Agostino ha lasciato in eredità all’Occidente".
L’Agostino citato da Mancuso ovviamente non è un autore qualsiasi ma è il padre e dottore della Chiesa autore delle "Confessioni", a cui si deve la definizione del peccato originale come "felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem", definizione che anche nelle liturgie postconciliari risuona in tutte le chiese del mondo nella veglia pasquale, quando viene cantato l’Exultet.
Oppure si può pensare al priore di Bose, fratel Enzo Bianchi, per il quale "il peccato originale non consiste in un atto di Adamo ed Eva che ha causato la rovina di tutti noi, bensì nel fatto che ciascuno di noi, venendo alla vita, scopre che il male è già presente sulla scena della vita, nei suoi rapporti con le cose e con gli altri" (così in "AIDS, malattia e guarigione", Edizioni Qiqajon, 1995, p. 14).
O che in una intervista a "la Repubblica" del 3 maggio 2000 dopo aver chiamato "mito" il peccato originale, continuava: "Ma oggi nessuna Chiesa cristiana vede nella storia di Adamo ed Eva il motore di un meccanismo perverso per cui il peccato si eredita senza colpa alcuna".
In realtà il Catechismo della Chiesa cattolica del 1992 parla della "realtà del peccato delle origini" (par. 387). E ribadisce: "Adamo ed Eva alla loro discendenza hanno trasmesso la natura umana ferita dal loro primo peccato, privata, quindi, della santità e della giustizia originali. Questa privazione è chiamata peccato originale" (par. 417).
Il Catechismo del 1992 è un frutto del pontificato di Giovanni Paolo II. Scaturì dalla richiesta fatta dai padri che parteciparono al Sinodo dei vescovi del 1985, dedicato proprio al Concilio Vaticano II, e fu compilato sotto la guida di una commissione presieduta dall’allora cardinale Joseph Ratzinger.
Ma sulla dottrina del peccato originale, nonostante l’obiezione di La Valle, il Catechismo non si appoggiò esclusivamente sul magistero preconciliare. Il dogma del peccato originale infatti è richiamato in uno degli atti più solenni compiuti da Paolo VI, il "Credo del popolo di Dio", nella cui compilazione ebbe un ruolo non secondario una personalità come quella di Jacques Maritain:
E infatti nel paragrafo 419 del Catechismo si cita proprio il n. 16 del "Credo del popolo di Dio" per affermare: "Noi dunque riteniamo, con il Concilio di Trento, che il peccato originale viene trasmesso insieme con la natura umana, 'non per imitazione ma per propagazione', e che perciò è 'proprio a ciascuno'".
È vero che negli atti del Concilio Vaticano II la locuzione “peccato originale” non c’è. Ma a questa obiezione ha risposto lo stesso Paolo VI in un discorso citato in nota nel Catechismo del 1992.
Si tratta di un discorso pronunciato l’11 luglio 1966 davanti ai partecipanti a un simposio sul peccato originale che si celebrava a Roma in quei giorni.
In esso papa Giovanni Battista Montini rispose proprio a quella obiezione che ancora oggi riecheggia, come s'è visto, in circoli appartenenti più all’intellighenzia cattolica che al semplice popolo di Dio.
Dopo aver citato e commentato brani delle costituzioni conciliari "Lumen gentium" e "Gaudium et spes", Paolo VI disse: "Come appare chiaro da questi testi, che abbiamo creduto opportuno di richiamare alla vostra attenzione, il Concilio Vaticano II non ha mirato ad approfondire e completare la dottrina cattolica sul peccato originale, già sufficientemente dichiarata e definita nei Concili di Cartagine (a. 418), d’Orange (a. 529) e di Trento (a. 1546). Esso ha voluto soltanto confermarla ed applicarla secondo che richiedevano i suoi scopi, prevalentemente pastorali".
Quanto a Benedetto XVI, ha insistito più volte sulla realtà "di quello che la Chiesa chiama peccato originale", contro i "molti" che "pensano che non ci sarebbe più posto per la dottrina di un primo peccato, che poi si diffonderebbe in tutta la storia dell'umanità".
In particolare, papa Joseph Ratzinger ha dedicato al peccato originale due udienze del mercoledì consecutive, quelle del 3 e del 10 dicembre 2008.
Si può aggiungere che, curiosamente, la dottrina del peccato originale trova difensori non soltanto in papi come Paolo VI, Giovanni Paolo II o Benedetto XVI.
Ad essa si è riferito di recente un non cattolico particolarmente amato dai circoli progressisti di tutto il mondo, un personaggio sicuramente insospettabile di simpatie preconciliari.
Si tratta del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, nel suo celebre discorso del 2009 alla Notre Dame University che gli procurò, proprio per questo riferimento, gli elogi del teologo emerito della casa pontificia, il cardinale Georges Cottier:
(Fonte:
Sandro Magister, www.chiesa, 4 ottobre 2012)
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