Tutti
impegnati a bastonare don Piero Corsi per l’articolo sulla violenza alle donne
appeso nella bacheca della propria parrocchia a Lerici, non si è prestata molta
attenzione a un aspetto molto serio relativo al modo di presentare le notizie
sulle uccisioni di donne. In effetti recentemente la cronaca ci ha dato molte
notizie di donne uccise da mariti o conviventi, e il succedersi di tali fatti
non può lasciare indifferenti.
Però
anzitutto è importante comprendere bene il fenomeno. Contrariamente a quanto si
sarebbe portati a pensare, gli omicidi nei confronti delle donne sono in
diminuzione, almeno a quanto affermano i dati dell’Istat: in questo 2012 le
vittime femminili alla fine supereranno di poco le 120 unità, ma nel 2010 erano
state uccise 156 donne, 172 nel 2009 e ben 192 nel 2003, che rappresenta il
picco degli ultimi dieci anni. Rispetto al totale degli omicidi le vittime
donne rappresentano circa il 30%. Sia ben chiaro, anche un solo omicidio
sarebbe già troppo e intollerabile, però è bene guardare la realtà per quello
che è. Proprio per questo il dato più interessante – e inquietante - per il
nostro discorso è che, per le donne, è aumentato notevolmente il tasso di
omicidi cosiddetti di prossimità, ovvero che avvengono in ambito familiare o
sentimentale. Nel 2002 per la prima volta le vittime di mariti, conviventi o
amanti hanno superato quelle causate dalla criminalità organizzata, e oggi tale
tasso ha superato il 70%. La famiglia è dunque più pericolosa della malavita? Rispondere in modo corretto a questa domanda è fondamentale se si vuole davvero affrontare in modo giusto il problema. In effetti, ad ascoltare i tg e leggere i giornali si ha proprio questa impressione: si parla sempre di omicidi in famiglia, e la famiglia è sempre sotto accusa. Ma se si ha la pazienza di andare oltre i titoli si scopre che gli omicidi non sono generati dalla famiglia, ma dalla crisi della famiglia. Come ha spiegato l’anno scorso il presidente dell’Associazione avvocati matrimonialisti italiani, Gian Ettore Gassani, alla presentazione del rapporto Eurispes: «Nelle coppie l’80% degli omicidi avviene nelle fasi in cui la relazione sta finendo o quando è appena finita. Nell’85% dei casi, l’omicida è l’uomo, sia perché di solito sono le donne a lasciare sia perché per l’uomo è più difficile accettare di essere lasciato. A volte poi ci sono questioni di “onore”, specie nei piccoli paesi, oppure economiche, come la perdita della casa, ma anche di affetto, come le difficoltà per vedere i figli».
Questo è il punto centrale: la criminalizzazione dell’ambito familiare è infatti funzionale a chi vuole distruggere definitivamente la famiglia, tanto è vero che poi si invocano misure e provvedimenti che difendano l’individuo – in questo caso è la donna, ma lo schema funziona anche per i figli – dalla famiglia. Così che l'individuo si trova a dipendere totalmente dallo Stato. Peraltro non è una strategia solo italiana, sono ormai più di venti anni che a livello internazionale le solite lobby anti-famiglia ci provano, e già alla Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo svoltasi al Cairo nel 1994 nel documento finale l’individuo prendeva il sopravvento sulla famiglia come cellula fondamentale della società. Ma se si imbocca questa strada – come si sta facendo - si pongono le premesse per un aumento delle violenze.
Se il problema – come è evidente dai dati - nasce invece dalla crisi della famiglia, dalle separazioni e dai divorzi che – contrariamente a quello che ci vogliono far credere le fiction tv – provocano grandi sofferenze, allora l’unica strada per combattere il fenomeno degli omicidi di prossimità è rafforzare la famiglia, sostenerla, aiutare in tutti i modi ad avere relazioni più stabili e durature.
In questa prospettiva va assolutamente rigettato il divorzio breve – e si dovrebbe dire il divorzio e basta -; non ci può essere spazio per il riconoscimento delle unioni di fatto, figurarsi quelle gay; la conciliazione famiglia-lavoro deve essere a vantaggio della prima; va promossa una riforma fiscale che prenda in considerazione il reddito familiare; va rafforzato in tutti i modi il diritto-dovere dei genitori ad educare i figli. E per quel che riguarda la Chiesa, bisognerebbe prestare maggiore attenzione ai contenuti dei corsi di preparazione al matrimonio, che spesso sono una patetica riproposizione di buoni sentimenti e luoghi comuni.
Tutto il resto è solo ideologia e sottomissione al politicamente corretto. E a questo proposito ci si lasci spendere solo due parole sul caso di Lerici. Come pare evidente da quanto scritto sopra, il contenuto dell’articolo appeso dal parroco è come minimo fuori tema, senza considerare che suona come una inaccettabile giustificazione della violenza. Forse spinto anche dalle pesanti pressioni esterne, il fuoco “amico” sul parroco è stato comunque impressionante: sono intervenuti in rapida sequenza, e con parole pesanti, il suo vescovo, il presidente dei vescovi italiani e il neo-presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia.
Poi accade che un gruppo di dimostranti esagitati che vogliono contestare don Corsi, fanno irruzione in chiesa interrompendo la messa e soltanto l’intervento dei carabinieri riporta la calma. Ripeto: irruzione in chiesa e interruzione della messa (vedi il video). Silenzio da parte di tutte le autorità ecclesiali. Qualche settimana prima, 8 dicembre, in un’altra parte della Liguria un prete fa cantare Bella Ciao come canto finale della messa (vedi il video). E ancora silenzio.
C’è qualcuno che ci può spiegare la gerarchia della “gravità” e “tristezza” dei fatti?
(Fonte:
Riccardo Cascioli, La nuova bussola quotidiana, 30 dicembre 2012)
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