giovedì 20 agosto 2009

Il relativismo è vittima di se stesso

Come era prevedibile – nell’altalenare delle polemiche sugli stili di vita di uomini pubblici – si è riaperto un fuoco di sbarramento nei confronti della Chiesa che ha espresso le proprie valutazioni su questioni etiche come la pillola Ru486 che può incentivare il ricorso all’aborto, oppure per attaccare l’insegnamento religioso nelle scuole plaudendo a una recente sentenza del Tar Lazio. Si ricompone, così, lo schema goffo tutto italiano per il quale i cattolici possono intervenire in ambito etico se è conveniente per una parte politica, ma quando lo fanno per difendere la vita nascente o prevenire l’aborto ricadrebbero nel vizio di invadere la sfera civile. Riemerge poi un sordo rancore verso la presenza sociale del cattolicesimo che si manifesta nella scuola attraverso la libera scelta del 91,1% degli studenti italiani e delle loro famiglie, e se si può denigrare questa scelta è bene farlo. Siamo di fronte a una forma sbilenca di relativismo per cui la Chiesa ha diritto di proporre il proprio magistero se qualcuno le dà il permesso, ma deve tacere se la difesa di principi morali essenziali, o il suo contributo alla formazione delle nuove generazioni, non collimano con la cultura dominante. Tanto questo gioco sta diventando insostenibile che finalmente un importante intellettuale ha sentito il bisogno nei giorni scorsi di andare più a fondo nella riflessione, e si è chiesto come mai nelle scuole la stragrande maggioranza delle famiglie (anche poco praticanti) sceglie l’insegnamento cattolico per i propri ragazzi, e perché la Chiesa continui a svolgere di fatto una funzione di supplenza etica laddove lo Stato e una certa cultura laica non sanno essere convincenti di fronte alle coscienze. Già, come mai? La domanda è veramente preziosa. Non sarà per caso che la cultura relativista sta divorando sé stessa, scivolando verso l’agnosticismo antropologico, lasciando spazio a chi da sempre è attento alla complessità e all’armonia della personalità individuale, all’equilibrio tra diritti e doveri, al ruolo che l’impegno personale svolge nel fluire della vita? La crescente attenzione verso la Chiesa non deriva anche dal fatto che il laicismo acritico sta abbandonando ogni orizzonte etico di riferimento, immiserisce scelte e opinioni in qualsiasi materia, afferma continuamente il primato dell’arbitrio individuale, e taglia così alcune delle sue più nobili radici? Oggi nessun esponente del pensiero relativista avrebbe il coraggio di evocare la vita buona di Aristotele, tantomeno di richiamarsi all’etica kantiana per la quale dobbiamo agire in modo che il nostro comportamento sia valido universalmente. E neanche si ispirerebbe ai principi dei nostri padri liberali (proprio loro) in buona parte coincidenti con i valori cristiani che avevano alimentato, plasmato, la cultura italiana e l’identità delle nostre popolazioni. Tra l’altro, sia detto tra parentesi, proprio i protagonisti del Risorgimento hanno mantenuto la religione cattolica nella scuola elementare (scuola di massa dell’epoca) con l’esplicito intento di garantire la formazione dei bambini e l’educazione dei futuri cittadini. Oggi gli unici principi cui il relativismo sa appigliarsi sono quelli dell’individualismo totale, per cui conta soltanto la signoria dell’utilitarismo, che può dominare la vita e la morte, anche dei più deboli, lasciando che la persona faccia quello che vuole, espungendo ogni forma morale perché autoritaria e infondata. Così, però, il relativismo dichiara il proprio fallimento perché afferma che non esiste alcun principio forte, nessun valore che dia stabilità etica e psicologica, e finisce per non offrire sponde di alcun genere a chi vuole affrontare la vita con l’impegno che richiede. Il relativismo all’inizio affascina, dà un senso provvisorio di potenza, ma poi delude, umilia, svuota la coscienza, finisce con l’assumere il volto moderno del nichilismo. Sta qui, non altrove, la ragione per la quale la religione cristiana continua a svolgere una funzione etica di riferimento per milioni di cittadini, per le nuove generazioni, le quali sanno, intuiscono con il cuore e la mente, che la vita offre gioia e serenità ma chiede convinzioni e coerenza, non può essere costruita sul nulla. La negazione dell’ethos alla lunga provoca solitudine, lascia insoddisfatti, e la ricerca di una fonte di sapienza e di saggezza si ripropone più forte che mai nella coscienza individuale e collettiva. Forse una riflessione su questi temi darebbe risposte assai più convincenti di quelle offerte da piccole polemiche sulla presenza della religione nella scuola, e sul ruolo del cattolicesimo nella società italiana.

(Fonte: Carlo Cardia, Avvenire, 20 agosto 2009)

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