Hanno tirato pietre, bruciato le case, inseguito i fuggiaschi sparando all'impazzata. Alla fine i morti sono nove. Sette hanno per cognome Hamid e sono dello stesso clan familiare di padre Hussein Younis, francescano. Tra essi vi sono due bambini (nella foto di Saqib Khadim, le bare). La loro unica colpa è d'essere cristiani.È accaduto in Pakistan, a Gojra, provincia di Faisalabad, nel Punjab orientale. In tutto il Pakistan i cattolici sono un milione e trecentomila, e altrettanti i cristiani di altre denominazioni, su una popolazione di 160 milioni quasi tutti musulmani. Ma l'intolleranza contro questa minoranza piccola, povera e pacifica è ormai un dato costante, che a tratti esplode in sanguinose aggressioni.L'ultima ha avuto per scintilla un'innocente festa di matrimonio tra cristiani, a Koriyan, un piccolo villaggio vicino a Gojra. Era il 30 luglio. Racconta padre Younis, intervistato da Lorenzo Cremonesi per il "Corriere della Sera" del 3 agosto:"Come è usanza, alla fine della cerimonia in chiesa gli invitati hanno tirato verso la coppia fiori, riso, alcune monete per augurare prosperità e biglietti con frasi di saluto o preghiere. Il guaio è che dei musulmani hanno cominciato a sostenere che i biglietti erano pagine del Corano strappate, un'offesa gravissima per l'islam e oggi ancora più grave in questi tempi di fanatismo. Ben presto sono volati insulti, accuse, poi pietre. Nel pomeriggio erano già state date alle fiamme alcune abitazioni. Ma la violenza più grave è esplosa sabato mattina 1 agosto a Gojra, attorno al quartiere cristiano."La nostra gente ha contato otto autobus carichi di estremisti arrivati da fuori. Volti sconosciuti di gente armata sino ai denti. Il loro slogan era che noi cristiani abbiamo la stessa religione dei soldati americani e dunque siamo nemici, meritiamo la morte. Prima hanno tirato pietre, poi hanno sparso benzina e infine mitra e bombe. Qui attorno a me è tutto bruciato, carbonizzato. Il bilancio di sangue poteva essere molto peggiore se i cristiani non fossero fuggiti subito. I miei familiari non sono stati abbastanza lesti e sono bruciati vivi, intrappolati tra le fiamme".Il vescovo di Faisalabad, Joseph Coutts, anche lui intervistato dal "Corriere della Sera", ha così commentato: "È chiaro che questi pogrom sono stati organizzati da gruppi che col fine di sconvolgere il Pakistan, oltre che l'Afghanistan, fanno di tutto per seminare violenza. Ci hanno provato con gli attentati nelle maggiori città pakistane e ora passano agli attacchi ai cristiani. Il fatto più grave è che adesso riescono a mobilitare grandi folle di fedeli contro di noi. Trovo che sia un fenomeno allarmante, peggiore che gli attentati isolati con bombe nelle chiese che hanno terrorizzato i cristiani sin dall'inizio nel 2001 della guerra in Afghanistan".Il vescovo ricorda almeno quattro pogrom anticristiani che hanno visto la mobilitazione di larghe masse di manifestanti pronte ad usare violenza: "La prima volta in anni recenti è stato nel 1997, nel villaggio di Shanti Nagar. Otto anni dopo l'attacco si è ripetuto nella cittadina di Sangla Hill. Il 30 giugno scorso è avvenuto nel villaggio di Bahmani Wala, nella regione di Kasur, non troppo lontano da qui. E ora a Koriyan e Gojra hanno dato fuoco a decine di case".Quasi sempre il pretesto delle violenze e delle persecuzioni è la legge 295, che in nome della sharia commina pene pesantissime, fino all'ergastolo, a chi offende il Corano o Maometto. "Il problema è che questa legge viene utilizzata in modo del tutto arbitrario. Spesso basta la parola di un cittadino musulmano per far mettere in carcere un cristiano senza alcuna prova concreta", prosegue monsignor Coutts. L'ultimo processo si è concluso lo scorso 17 aprile a Lahore con l'assoluzione di due anziani cristiani, James e Buta Masih. I due innocenti avevano passato più di due anni in prigione. Dal 1986 a oggi è stato calcolato che l'accusa ha colpito 982 cristiani. Di essi, 25 sono stati uccisi da musulmani fanatici.Dopo l'ultimo massacro, il primo ministro del Punjab, Shahbaz Sharif, ha nominato una commissione d'inchiesta e ha annunciato un risarcimento di 500.000 rupie, poco più di 4.000 euro, ai familiari delle vittime.Lo scorso 6 luglio un compenso di 20.000 rupie era stato dato a ciascuna delle 57 famiglie che avevano avuto la casa distrutta nel pogrom anticristiano del 30 giugno a Bahmani Wala. La consegna è stata fatta alla presenza di tre preti cattolici e di altri leader cristiani, davanti alla chiesa del villaggio utilizzata dalle diverse confessioni.Prima ancora, la Chiesa cattolica aveva subito danni anche in conseguenza dell'attentato suicida del 27 maggio contro un edificio della polizia a Lahore. L'edificio fu interamente distrutto, con 35 morti. Ma subirono crolli anche quattro edifici adiacenti: la libreria delle Figlie di San Paolo e tre scuole medie superiori cattoliche.Nel marzo del 2008 anche la cattedrale di Lahore aveva subito danni, per una bomba contro un vicino edificio del governo.Per tre giorni, dopo l'ultimo pogrom, tutte le scuole cattoliche del Pakistan sono state chiuse in segno di lutto.I vescovi e il nunzio apostolico Adolfo Tito Yllana hanno chiesto a più riprese alle autorità pakistane di agire in difesa delle minoranze religiose aggredite. La loro convinzione è che sia in atto un vero e proprio martirio, con i cristiani eletti a "capro espiatorio" dell'odio di musulmani fanatici. Analoghi pogrom hanno per vittima, in Pakistan, anche una corrente islamica messa al bando come "eretica", che conta circa tre milioni di seguaci, gli Ahmadi.In un telegramma inviato il 3 agosto al vescovo di Faisalabad, Joseph Coutts, e firmato dal segretario di Stato vaticano, Benedetto XVI ha espresso il suo dolore "per l'insensato attacco alla comunità cristiana di Gorjan", con la "tragica uccisione di bambini, donne e uomini innocenti". E ha fatto appello ai cristiani del Pakistan perché non desistano dallo sforzo di "costruire una società che, con un profondo senso di fiducia nei valori umani e religiosi, sia caratterizzata dal mutuo rispetto fra tutti i suoi membri".In un'intervista alla Radio Vaticana, il nunzio in Pakistan si è detto "consolato dalle parole di perdono di un cristiano che ha avuto la casa bruciata e che ha detto: 'Speriamo soltanto che Dio dia loro la luce di vedere la giusta via'".Il nunzio ha commentato: "Questo è più potente di qualsiasi omelia io possa fare. C’è lo spirito cristiano che regna sempre fra questa gente che soffre".
(Fonte: Sandro Magister, Settimo cielo, 5 agosto 2009)
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