Sono stato molto indeciso se esprimere o meno il mio pensiero circa il terremoto mediatico che sta ammorbando la ripresa delle normali attività dopo la pausa estiva.
Ma come al solito, quando noto qualcosa che a mio modo di vedere “non va”, la penna rifiuta qualunque coercizione, anche se talvolta il silenzio sarebbe la scelta più diplomatica.
Premetto che non voglio entrare in merito al fatto specifico, causa scatenante di questo gioco al massacro. Che Boffo abbia o non abbia fatto quanto gli viene addebitato, sono problemi suoi e della sua coscienza, e non spetta certo a me disquisire in merito.
Ma un sassolino dalla scarpa permettete che me lo tolga.
Da varie fonti è emerso che i vertici della Conferenza Episcopale Italiana erano a conoscenza già da molto tempo del fatto o comunque delle scelte di vita del Direttore di Avvenire.
Per carità: come ho detto, nel privato ognuno deve rispondere del proprio operato di fronte a Dio e alla propria coscienza, e nessuno di noi, altrettanto peccatori, può ergersi a giudice morale del proprio fratello: «Chi è senza peccato...» con quel che segue.
Ma… c’è un ma!
La Chiesa sta vivendo oggi un periodo particolarmente difficile: in un mondo in cui ognuno si sente libero di fare qualunque scelta di vita, in nome di una “libertà” a dir poco improponibile, di esternare giudizi a vanvera e fomentare veleni a tutto campo contro la Chiesa e il suo clero in nome di una “laicità” asservita alla politica e per questo invocata il più delle volte a giustificazione dei propri squallidi tornaconti; in un periodo in cui tutte le scelte della Chiesa e del Papa, le sue esternazioni, i suoi insegnamenti, i suoi interventi pastorali, la stessa Gerarchia ecclesiastica e i suoi diretti collaboratori sono passati al vaglio di una critica impietosa, prevenuta e aprioristicamente velenosa, bene: proprio in questo periodo la scelta delle persone chiamate a ricoprire ruoli fondamentali per conto e nome della stessa, dovrebbe essere fatta con una ancor più accurata e severa selezione.
Del resto di tale necessità le autorità ecclesiastiche se se sono già rese conto stabilendo, per esempio, per gli aspiranti al sacerdozio, un lungo tirocinio in cui le loro personalità, i loro risvolti caratteriali, soprattutto in campo sessuale, vengono scrupolosamente analizzati da una équipe di esperti, arrivando talvolta a tagli umanamente dolorosi, ma sicuramente necessari per una corretta gestione del gregge.
E allora mi chiedo: perché tale procedura non è stato seguita (o è stata seguita quantomeno superficialmente) anche in questo caso? Che differenza passa, al di là dell’Ordine sacro ovviamente, tra un presbitero che annuncia il messaggio di Cristo e un portavoce ufficiale della Chiesa, ancorché laico, chiamato a difendere e a far capire all’opinione pubblica le scelte dottrinali e gestionali di quest’ultima, contribuendo in tal modo a tutelare la sua credibilità e conseguentemente fortificare la fede nella moltitudine dei credenti?
Ecco il perché dello sconcerto e del disagio che personalmente ne ricavo da tutta questa faccenda; come cattolico, mi chiedo il perché del singolare comportamento di quei gerarchi ecclesiali dai quali dipende il media system cattolico.
Perché proprio di questo canale mediatico Boffo è la punta di diamante, come giustamente fa notare Vittorio Messori: responsabile di “Avvenire”; responsabile di “Sat2000”, la tv sulla quale la Cei ha riversato e riversa milioni; responsabile di “InBlu”, il network radiofonico con ben 200 emittenti. Un uomo-istituzione, dunque, ai vertici sensibili della istituzione ecclesiale.
Ho avuto modo di interessarmi da vicino dei risvolti gestionali e organizzativi della Chiesa, e in ogni situazione mi ha sempre positivamente colpito un elemento ricorrente: cardinali e vescovi hanno sempre affiancato, a tutte le altre virtù, quella della prudenza, vegliando oculatamente sul proprio staff, per stornare già a monte ogni tipo di pericolo; e questo mi riconduce ancora una volta alla domanda: come mai in questo caso si è arrivati a tanto?
La tradizionale prudenza, dopo la sentenza del 2004 nei confronti del Dr. Boffo, avrebbe sicuramente suggerito di chiedere al «condannato» di defilarsi, assumendo magari altre cariche, meno esposte a ricatti e a scandali. E questo anche se si fosse trattato di un equivoco, di una vendetta, di un errore giudiziario.
La sentenza di Terni è contestabile? Tutto è davvero una «patacca»? Se sarà dimostrato, come credo e spero, tirerò un sospiro di sollievo. Ma, intanto, un uomo immagine della Chiesa italiana ha campeggiato e campeggerà a lungo sulle prime pagine, sospettato di avere gusti «diversi», l’ombra dei quali grava oggi, più che mai, sugli ambienti clericali.
Il caso prima o poi sarebbe venuto alla luce, e in modo malevolo: perché, allora, attendere cinque anni senza cautelarsi, diminuendo la sua visibilità, anche in caso di coscienza limpida?
Pertanto, secondo me, se un giornale ha «sbattuto il mostro in prima pagina», gran parte della responsabilità si deve ascrivere a quei cardinali e vescovi che in tempi remoti avevano il compito della scelta, e che poi, una volta percepito il campanello d’allarme, non hanno preso immediati provvedimenti, destinandolo ad altri incarichi, lontani dalle aggressioni politiche. Non convincono nessuno le postume conferme di piena fiducia, recentemente espresse dai vertici e tanto strombazzate a destra e a manca: un caritatevole e dovuto tentativo di salvare il salvabile.
Capisco che le mie sono domande e considerazioni difficili. Ma sono domande e considerazioni di un credente, uno dei tanti, convinto che l’immagine della Chiesa non aveva certo bisogno oggi di un altro caso che permettesse a molti di scuotere il capo borbottando, magari ingiustamente: «Tanto, lo sappiamo: i preti e i loro amici fanno i moralisti con noi ma loro, di nascosto, fanno anche peggio...». Comunque vada a finire, l’ombra e il sospetto resteranno.
E questo è lo scotto che noi cattolici dobbiamo pagare a causa di qualcuno che, inspiegabilmente, ha dimenticato la virtù della prudenza.
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