Per
Natale propongo due brevi riflessioni, rubate a due amici. Il primo è un
sacerdote, di quelli che non chiudono gli occhi dinnanzi alla attuale crisi
della chiesa. Notava, il don in questione, un fatto storico significativo. Alla
nascita di Gesù, i pastori, uomini di fatica, semplici, senza cultura, si
mettono alla ricerca del Bambino, sinché, trovatolo, gli cadono ginocchioni
davanti, e lo adorano.
Gli
uomini della Sinagoga, invece, i dotti, i sapienti, i sacerdoti, non si muovono
da Gerusalemme. Loro, che conoscono le profezie, che hanno studiato le
scritture (“E tu Betlemme…”), dovrebbero essere in attesa; dovrebbero aver
compreso, più di altri, che è giunto il tempo. Invece non si muovono. Quei
sacerdoti sono il simbolo della fede che diventa abitudine, mestiere, gestione
burocratica, e che ha perso ogni entusiasmo, ogni slancio soprannaturale.Un rischio di tutti i cattolici, e del clero in particolare: chi sta sempre con le cose sacre rischia talora di non percepirne più la santità, la grandezza, di vivere la propria vocazione come un mestiere qualsiasi. Qui viene alla mente un pensiero: quanti increduli, oggi, a causa dei pastori negligenti, sonnolenti, la cui stessa vita denuncia una scarsa tensione verso la verità e il bene? Il comando di Gesù (“cercate il regno di Dio, tutto il resto vi verrà dato in sovrappiù”) viene spesso capovolto: si dimentica la prima parte del comando, e ci si dedica, anima e corpo, al sovrappiù (se non, addirittura, al regno di quaggiù).
Cattolici che parlano solo di politica e che credono più al loro partito che al magistero della chiesa; che fidano più nel loro leader politico o nel loro quotidiano di riferimento, che nelle verità rivelate; fedeli e sacerdoti che credono di poter lottare per la giustizia sociale, o per qualche altro valore terreno, indipendentemente dalla ricerca, appunto, del regno di Dio.
Uomini di chiesa che cercano con scarsa dignità il favore dei potenti; che ragionano come politici, attenti al qui ed ora, alla vita tranquilla, a non turbare nessuno, frenati dal rispetto umano, dal rispetto delle convenzioni, incapaci di liberarsi dalla gabbia della mentalità e del linguaggio del mondo. Uomini di chiesa, non tutti certo, ma non pochi, che sembrano sempre più burocrati del culto, tecnici della religione, più che, come dovrebbero essere, uomini santi di Dio; che, forse, se Gesù nascesse un’altra volta, la darebbero buca per una cena con Ferruccio de Bortoli, per un convegno in una sala comunale o per un referendum sulle tubature dell’acqua.
Lasciando fare, a Erode, ieri come oggi, il suo maledetto lavoro (ogni riferimento alla assoluta volontà di non combattere lo sterminio degli innocenti odierno è del tutto voluto). La seconda riflessione è di un amico professore universitario, buon lettore di testi buddisti. Notava, questo amico, che senza Gesù Cristo non ci resterebbe che farci, tutti, seguaci del Budda. Perché? Perché se Dio non fosse venuto sulla terra; se non avesse conficcato la sua croce in mezzo alla storia degli uomini; se non avesse trasformato la carne mortale e peritura in uno strumento di salvezza; se l’eternità non fosse scesa nel tempo, a dare al tempo un significato di eternità, tutta la nostra esistenza, preludio rumoroso al nulla nirvanico, non avrebbe valore.
Cos’è, infatti, questa “vita mortal che in una o due brevi e notturne ore trapassa”, se non c’è un Dio che la redime e che la rende immensamente preziosa? Pensiamoci: tutto finisce in un lampo, tutto svanisce come il fumo che si innalza verso il cielo. All’uomo, senza una prospettiva di salvezza ultraterrena, non resterebbe che liberarsi da questa scena irredenta, astraendosi dalla realtà sfuggendola, disprezzandola, additandola come “illusione”.
Tutta un’altra storia Invece Cristo si è fatto uomo: “Et Verbum caro factum est, et habitavit in nobis”. Così ha reso significativo ogni atto della nostra vita terrena. Non più illusione, ma trait d’union tra la vita e la Vita. Il cristianesimo ha insegnato la grandezza del lavoro, la libertà degli uomini, le opere di carità spirituali e corporali. Ha messo in moto il mondo, generando scuole, università, ospedali e scienza proprio perché ha insegnato all’uomo che la sua vita ha valore. Nonostante tutto.
Se Cristo non fosse, invece, avrebbe ragione Budda, a starsene lì, seduto, con gli occhi persi in un altrove che non esiste. Fuori, nella realtà, potremmo vedere quasi solo il dolore, la noia, l’ingiustizia, il male, il vuoto, magari pure un fratello che muore, ma uno in più, o uno in meno, che cambia? Che cambia, se il dolore rimane, senza croce di Cristo e Resurrezione, senza senso? Con Cristo che si fa fanciullo, col Creatore che si fa creatura e figlio di creatura, cielo e terra si incontrano; l’aldiquà viene vivificato dall’aldilà; il tempo dall’eternità. E’ tutta un’altra storia.
(Fonte:
Francesco Agnoli, Corrispondenza Romana, 22 dicembre 2011)
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