Anche nella Chiesa in un certo qual modo si vive questa atmosfera. Ma fosse l’atmosfera della sinfonia, non ci sarebbe nulla da ridire, perché la sinfonia è l’“unità nella diversità”, diversità nei modi ma unità nella dottrina. Questo c’è sempre stato nella Chiesa, anzi è stata la sua caratteristica principale. Ciò che però c’è adesso non è questo. Non prendiamoci in giro: non è questo. Domina non l’esaltazione della sinfonia ma della contraddizione, che è ben altra cosa.
Da qualche giorno abbiamo scoperto che esiste anche il cattolico ideologico ed eticista.
In realtà, se proprio volessimo dare la giusta interpretazione alle parole, una simile scoperta doveva essere fatta da tempo. Se infatti le parole hanno un senso, il cattolico ideologico dovrebbe essere colui che deforma il proprio credo in ideologia, e l’ideologia è la pretesa di ridurre il reale in costruzione intellettuale e soggettiva. D’altronde il padre dell’ideologia fu il razionalista Cartesio. E – sempre se le parole hanno un senso – il cattolico eticista dovrebbe essere colui che trasforma la morale naturale e soprannaturale in etica umana, ovvero che opera il passaggio dalla Legge (con la “L” maiuscola) alle regole, quelle regole fondate solo sulla debolezza delle opinioni umane e dei contesti socio-culturali.
Ma invece abbiamo scoperto, in questi giorni, non solo l’esistenza del cattolico ideologico ed eticista come se fosse una novità, ma anche che con questa etichetta (cattolico ideologico ed eticista) deve intendersi tutt’altra cosa rispetto al vero significato delle parole, deve intendersi il cattolico fedele alla Tradizione (che è il Dio vivente ed immutabile nella storia, quindi tutt’altro che ideologia) e alla morale di sempre (che è la sequela al Dio vivente e immutabile nella storia, quindi tutt’altro che eticismo).
Ma perché questa confusione? Per un motivo molto semplice: perché si è persa la bussola, né più né meno. Venendo meno la consapevolezza della verità e di quanto soprattutto la verità debba “in-formare” tutto (“in-formare” nel senso di dare forma) non solo la diversità diventa fine a se stessa, ma lo stesso significato dei termini va a carte quarantotto.
E così si trascura il problema e ci si concentra sul metodo e sulla forma. Prendiamo il caso Gnocchi-Palmaro. Non voglio entrare nella questione del metodo, dove posso anch’io avere idee poco chiare a riguardo, se cioè Gnocchi-Palmaro abbiano fatto bene o meno a scrivere certe cose. Ciò che però rifiuto è che le discussioni in atto vertano sul fatto se siano stati irriverenti o meno, senza che nessuno – dico nessuno – si prenda la briga di dimostrare che ciò che hanno scritto sia sbagliato.
L’ultimo intervento di Socci su Il foglio del 24 ottobre scorso ha complicato ancora più le cose. Ha scritto molto ma di fatto non ha scritto nulla. Ci ha informato che Benedetto XVI è stato un maestro del Logos. Bene. Ci ha informato che Paolo VI scrisse delle cose molto interessanti in merito alla fedeltà alla Tradizione. Benissimo. Ci ha informato che tutti sono nella continuità. Speriamo. Ha condito il tutto con una tirata di orecchi ai vari intellettuali e teologi gnostici alla moda, in stile salotto scalfariano. Ci fa piacere. Ci ha informato di tante cose belle … ma non ha risolto il problema. Non ci ha spiegato, per esempio, perché le affermazioni sulla coscienza di papa Francesco nei suoi colloqui con il fondatore de La Repubblica siano in linea, non dico con tutto il Denzinger, ma almeno con la Veritatis splendor di Giovanni Paolo II. Apoditticamente ci ha detto che così è, ma non lo ha spiegato. E se ne è convinto solamente perché papa Francesco è figlio di sant’Ignazio, beh’ non è poi un argomento così forte… se è vero, come è vero, che anche il cardinale Martini era un gesuita. Se poi ne è convinto perché ciò che dice papa Francesco è sempre in linea con il Logos, quel Logos che, salvaguardato, evita – lo ha scritto lo stesso Socci – qualsiasi riduzione del Cristianesimo a emozione e sentimento così come – a detta dello stesso Socci – sono soliti fare i movimenti carismatici, allora è bene che Socci si vada ad informare che opinione papa Francesco abbia sui movimenti carismatici cattolici. Sua Santità li ha sempre lodati e sostenuti.
Ma torniamo alla “bio-diversità”, che tutto accorda, che tutto armonizza nella dialettica e anche nella lotta, come il lupo con l’agnello e la gazzella con il ghepardo. Una “bio-diversità” che in termini logici si traduce in negazione del principio di non-contraddizione.
Ma torniamo all’intervento di Socci. Definire il lefebvriano (chi scrive non è un lefebvriano né tantomeno si riconosce in particolari etichette) un cattolico alla Denzinger non so se sia davvero un’offesa. Lasciamo stare l’eleganza dell’espressione e soffermiamoci sulla sostanza: cattolico alla Denzinger vuol un dire un cattolico che guarda all’interezza del Magistero, che, e Socci lo dovrebbe sapere molto bene, non è un guardare facoltativo del cattolico ma obbligato, perché il Magistero è continuità; quella stessa continuità che Socci tanto apprezzava e dice di continuare ad apprezzare citando Ratzinger/Benedetto XVI. Siamo alle solite: si dà una definizione più o meno suggestiva per colpire ed evitare di spiegare.
Veniamo adesso ad un altro punto. Il cattolico eticista insisterebbe troppo sulla morale. Ma ci siamo mai chiesti cosa è la morale nell’ambito della teologia cattolica? Il Dio Logos è un Dio che non è al di là del bene e del male, ma che è costitutivamente buono; per cui la legge morale non è una decisione arbitraria di Dio ma la sua stessa natura. I Dieci Comandamenti, per esempio, altro non sono che la natura stessa di Dio codificata per la vita quotidiana dell’uomo. Dunque, rispettare la legge di Dio vuol dire aderire alla Sua natura, abbracciare Dio; per cui, di converso, non è possibile scegliere e convivere con Dio se non si rispetta la Sua Legge. In questo non c’è nulla di moralistico, perché il moralismo è un’accettazione senza motivi persuasivi della legge morale, convincendosi tutto sommato che la morale è una pura astrazione e decisione intellettuale che è in un modo, ma poteva anche essere in tutt’altro modo. I Santi invece hanno capito che non c’è Dio senza Legge morale e non c’è Legge morale senza Dio. Definire eticista il comportamento di chi è attento alla Legge morale e invita tutti a fare altrettanto significa contraddire il comportamento dei Santi. Che dire, per esempio, di un San Pio da Pietrelcina e della sua risaputa intransigenza. Gesù parla chiaro: Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli. (Matteo 5,19)
In questo senso Benedetto XVI insisteva molto sui cosiddetti principi non-negoziabili, perché dal giudizio concreto sulla vita, da come ci si rapporta a quelle grandi questioni che danno il tono del tempo attuale (per esempio Benedetto XVI definì l’ideologia del gender come la più grave sfida a cui la Chiesa di oggi deve fare fronte) si esprime la testimonianza e l’amore del cristiano a Colui che è l’unica Via, l’unica Verità, l’unica Vita.
E allora faccio un appello. Vogliamo sì o no ragionare sui contenuti, invece che sparare definizioni offensive di catalogazione dei cattolici, a mo’ di entomologia ecclesiale? Vogliamo risolvere sì o no i problemi? Dire che basterebbe seguire la percezione soggettiva del bene e del male per salvarsi, dire che si può non perdere la Fede prescindendo dalla fede in Cristo, dire che Dio non è cattolico, dire che lo scopo del cristiano non sarebbe quello principalmente di convertire … tutto questo dire pone o no dei problemi? La questione è qui.
Nella favola di Pinocchio fu un semplice grillo a parlare (a proposito di entomologia), fu schiacciato, parlò ma fece il suo dovere. Pose delle giuste questioni. Pinocchio disse che doveva stare zitto perché era solo un misero grillo, lo schiacciò, ma non risolse i problemi … né i suoi né del babbo.
(Fonte:
Corrado Gnerre, Il
giudizio cattolico, 3 novembre 2013)
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