Il Quaderno n.4 di tali Incontri, interamente dedicato a Unioni omosessuali, matrimonio e famiglia, giudica «praticabile ed accettabile» il riconoscimento giuridico delle cosiddette “nozze gay”, qualora ci si preoccupi di disciplinarle «non già in virtù dell’omosessualità della coppia, ma dei diritti e dei doveri cui dà origine una relazione stabile». Nega che le si possa definire matrimonio, ma alla fine questo è più un fatto linguistico che altro, non sussistendo con esso nei fatti e nella sostanza differenza alcuna, accettando che «sia possibile per le coppie omosessuali prevedere un riconoscimento legale come forma di unione stabile, con riconoscimento di diritti e di doveri». Acrobazie lessicali da giocolieri o illusionisti…
Il Quaderno propone poi una riedizione del sessantottino amore universale e purchessia, indulge in bizantinismi ed in raffronti internazionali sulle norme, definisce un «pregio» che la «gender theory» abbia «sottratto l’identità sessuale alla “sola natura”», ritiene che il riconoscimento delle unioni gay sia «giustificabile da parte del politico cattolico», in quanto «confacente al bene comune», «alla promozione di un legame socialmente rilevante» ed all’«equilibrio in un contesto pluralista in cui potersi riconoscere»: ciò, secondo gli estensori dello scritto, non metterebbe «in discussione il valore, la specificità e la centralità della famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio». La realtà mostra il contrario.
Da un punto di vista meramente civile e non confessionale, la Costituzione Italiana nella sua Parte Prima al Titolo II riconosce la famiglia, ma a determinate condizioni (artt. 29-30): assegnando cioè esplicitamente ai «genitori», quindi a chi sia in grado di generare ovvero un uomo ed una donna, il «dovere e diritto» di «mantenere, istruire ed educare i figli». Si vede cioè nella stabilità della famiglia la condizione indispensabile, per dare un futuro alla Nazione. Tutto ciò è semplicemente impossibile ed impraticabile per un’unione omosessuale, che, in quanto tale, è sterile, come comprova il fatto di dover ricorrere a metodi artificiali per poter avere figli, in realtà non biologicamente propri della coppia.
Né tale unione è strutturalmente in grado di garantire un’istruzione ed un’educazione adeguata ai principi enunciati dalla Costituzione, proponendo già in sé un modello deviante e fuorviante rispetto al concetto di famiglia sancito dal testo base, su cui si fonda, sino a prova contraria, lo Stato Italiano. Non corrisponde quindi assolutamente al «bene comune», né può dirsi «socialmente rilevante». Introdurre simili istituti nella nostra legislazione porrebbe in discussione le fondamenta della Nazione, sconvolgerebbe valore, specificità e centralità della famiglia, comprometterebbe il tessuto sociale nazionale, disintegrandolo.
Ma il Quaderno in oggetto, non può esser dimenticato, non nasce in un contesto “laico”, bensì in un contesto espressamente ecclesiale. E questo comporta ben altre implicanze. Come può un documento, elaborato in un contesto che tira esplicitamente in ballo il Vescovo locale e scritto da un organismo, che afferma di volersi rifare al Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, andare contro lo stesso Compendio, laddove specifica la famiglia essere «l’intima comunione di vita e d’amore coniugale fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna» (cap. V, n. 211), riconoscendo l’importanza della sua «funzione procreativa» (n. 214)? Quello stesso Compendio contrasta e combatte le teorie dell’“identità di genere” (n. 224), definendo «l’identità sessuale indisponibile».
Quello stesso Compendio svela la «falsa concezione» alla base delle «unioni di fatto» (n. 227) e nega esplicitamente qualsiasi possibilità di riconoscimento delle «unioni omosessuali», bollando questa come una «pretesa incongrua» non potendo generare e mancando della complementarietà tra i coniugi (n. 228) ed anzi spiegando come non si possano legittimare «comportamenti non conformi alla legge morale», con «grave detrimento» di quel bene comune, che viceversa gli estensori del Quaderno ritengono tutelato.
Quello stesso Compendio nega alla società e allo Stato la facoltà «di disporre del legame matrimoniale, con il quale i due sposi si promettono fedeltà, assistenza ed accoglienza dei figli» (n. 216). Specificando, con ampie citazioni dal Catechismo, dal Magistero e dalle varie Congregazioni come questo corrisponda realmente al sentire della Chiesa di sempre. Ma, evidentemente, non al sentire della Chiesa di Portogruaro.
Da qui alcune domande, inevitabili: perché il Vescovo, che – come dice il sito – patrocina tale organismo, non è intervenuto a fronte della sua evidente deriva? Quanti altri casi simili vi sono nella Chiesa, accolti nel silenzio delle autorità chiamate a sorvegliare ed a preservare la retta dottrina, vescovi in primis, eppure spesso tolleranti, quando non addirittura concordi?
Preoccupa e spaventa, inoltre, come ancora una volta il Gruppo di Impegno citi le parole di Papa Francesco, per giustificare le proprie posizioni culturali ed ecclesiali: v’è in merito da fare una seria riflessione circa l’opportunità di chiarire quanto chiaribile e di evitare l’evitabile. Per secoli, i pontefici non hanno rilasciato interviste, impegnati a ribadire la Verità di Cristo coi propri atti di Magistero, anziché sulle prime pagine dei giornali. Evidentemente avevano le loro ragioni…
(Fonte:
Mauro Faverzani, Corrispondenza Romana, 22 gennaio 2014)
Nessun commento:
Posta un commento