Il testo è dedicato ad approfondire «alcuni aspetti del discorso cristiano su Dio, confrontandosi in particolare con le teorie secondo le quali esisterebbe un rapporto necessario fra il monoteismo e la violenza». Il documento ha confutato queste teorie innanzitutto rilevando che la nozione di “monoteismo” sia generica per indicare Ebraismo, Islam e Cristianesimo e criticano la «semplificazione culturale che riduce l’alternativa fra un monoteismo necessariamente violento e un politeismo presuntivamente tollerante». Viene anche sottolineato che la «fede cristiana riconosce nell’eccitazione alla violenza in nome di Dio, la massima corruzione della religione», ribadendo che «le guerre interreligiose, come anche la guerra alla religione, siano semplicemente insensate».
La riflessione sottolinea che la morte e la resurrezione di Gesù sono la «chiave della riconciliazione fra gli uomini» e la «rivelazione iscritta nell’evento di Gesù Cristo, che rende apprezzabile la manifestazione dell’amore di Dio consente di neutralizzare la giustificazione religiosa della violenza sulla base della verità cristologica e trinitaria di Dio». Dal punto di vista cristiano nessuno è giustificato a parlare di violenza religiosa perché «la rivelazione cristiana purifica la religione, nel momento stesso in cui le restituisce il suo significato fondamentale per l’esperienza umana del senso». I teologi esortano, pertanto, a «trattare sempre congiuntamente il contenuto teologico e lo sviluppo storico della rivelazione cristiana di Dio». Infatti chiunque commetta violenza, anche tra i cristiani stessi, si metterà sempre contro al Vangelo: «nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza», ha spiegato Benedetto XVI. «Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura».
La Sottocommissione che ha lavorato al documento è composta da importanti studiosi di tutto il mondo, scelti dal Papa in quanto «eminenti per scienza, prudenza e fedeltà verso il Magistero della Chiesa». L’unico italiano è Pierangelo Sequeri, preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, dove è anche professore ordinario di teologia fondamentale. Ed è anche l’unico, per obbligo geografico, ad aver sentito nominare almeno una volta il teologo di Carate Brianza, Vito Mancuso, fatto diventare famoso al grande pubblico dal quotidiano “Repubblica” per la sua avversione alla Chiesa. Il nemico del mio nemico è mio amico, ha pensato furbescamente Eugenio Scalfari quando gli ha affidato l’editoriale.
Mancuso ha ovviamente approfittato della pubblicazione del documento per tentare ancora una volta lo scontro, la divisione e mostrare narcisisticamente la sua ribellione, esattamente contro il messaggio di Papa Francesco. La banalità della critica del teologo Mancuso è la cifra della sua ininfluenza nel pensiero teologico moderno: egli sostiene che la cultura laicista ha ragione a parlare del cristianesimo in termini violenti e per giustificarlo va a pescare direttamente dal prontuario del fondamentalismo ateo: crociate, Inquisizione, Galilei, lotta all’eresia e conversioni forzate…manca solo il Pio XII nazista e Benedetto XVI pedofilo per toccare tutti i cavalli di battaglia degli anticlericali di professione. Ovviamente, non poteva nemmeno tralasciare un elogio della non-violenza del buddhismo e dell‘induismo, ignorando completamente cosa sia il buddhismo (lui lo associa alla dieta vegana e allo yoga-fitness) giustificando di conseguenza come non violenza la divisone razziale insita nell’induismo (sotto il quale i cristiani sono massacrati, senza che Mancuso abbia mai sentito il bisogno di scrivere un editoriale su questo), che considera i paria (i più poveri, i fuori casta) delle “non persone”, la cui redenzione sociale è stata possibile, ed è tutt’ora possibile, solo grazie ai missionari cristiani (da Madre Teresa di Calcutta in giù).
Per Mancuso non è stato Gesù Cristo a portare la non violenza tra gli uomini chiamandoli “fratelli” e invitando ad “amare i propri nemici” (concetto inesistente prima di lui), non è stata la Chiesa nei tempi moderni a scongiurare la guerra e la divisione tra gli uomini, abbattendo il muro di Berlino. No, sono state le «battaglie del mondo laico che, togliendole potere, le hanno permesso di tornare a essere più fedele alla propria essenza». Tutti infatti ricordano le battaglie laiche del secolo scorso, promosse da esponenti di primo piano come Stalin, Lenin, Mussolini, Pol Pot, Hoxa, Tito e tutti i grandi imperatori laici e devoti dell’ateismo di Stato. Ancora una volta Mancuso tradisce la memoria del compianto card. Carlo Maria Martini, di cui vorrebbe inutilmente essere il successore, quando nel famoso discorso del 1988 a Leningrado ha affermato: «Ogni volta che si è rifiutato Dio, se ne è perso o sminuito il senso o lo si è presentato in modo scorretto, ci si è incamminati verso forme più o meno larvate di decadenza dell’uomo e della stessa convivenza sociale”». Altro che le battaglie laiche di Mancuso.
Gesù dice di sé: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me [...] Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. [....] Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.» (Gv 14 e 15). Il teologo di “Repubblica” inorridisce per queste frasi politicamente scorrette e bacchetta Gesù Cristo rammentandogli «il bene che deriva dal prendere coscienza della relatività delle proprie posizioni» e che è «dall’assolutismo, che nascono l’intolleranza e la violenza». Gesù avrebbe dovuto ascoltare le indicazioni assolutiste, e ben poco relativiste, di Mancuso e dire piuttosto: “Io, se posso permettermi, spero di essere la via, forse la vita, sicuramente non la verità perché non esiste. Dovete fare a meno di me, ognuno segua la sua verità”. Allora sì che sarebbe stato, anche lui, editorialista di “Repubblica”.
Le posizioni di Mancuso sono sempre più estremiste e riflettono sempre di più il suo allontanamento dal cristianesimo. Perfino un laico come Jürgen Habermas, tra i maggiori filosofi viventi, ha riconosciuto che «l’universalismo egualitario –da cui sono derivate le idee di libertà e convivenza sociale, autonoma condotta di vita ed emancipazione, coscienza morale individuale, diritti dell’uomo e della democrazia- è una diretta eredità ebraica della giustizia e dell’etica cristiana dell’amore. Questa eredità è stata continuamente riassimilata, criticata e reinterpretata senza sostanziali trasformazioni. A tutt’oggi non disponiamo di alternative. Anche di fronte alle sfide attuale della costellazione postnazionale continuiamo ad alimentarci a questa sorgente. Tutto il resto sono chiacchiere postmoderne» (J. Habermas, Tempo di passaggi, Feltrinelli 2004 p. 128,129).
L’intento di Mancuso era più che prevedibile ma come portavoce del laicismo ci si aspettava più coraggio sul passato e più umiltà sul presente, senza questa paura verso la modernità. L’amore per lo scontro e per la divisione dovrebbero essere messi da parte se vorrà essere veramente del tutto libero dalla violenza.
(Fonte:
UCCR, 23 gennaio 2014)
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