«Gianfranco Fini non ha alcun seguito nella Chiesa, non ha nessuno a cui appoggiarsi, il suo cambiamento di questi ultimi anni non lo riusciamo a capire...». Il giudizio, pronunciato da un alto e autorevole prelato d’Oltrevere, non lascia spazio a dubbi. Anche se non è facile che cardinali e vescovi del Belpaese si pronuncino pubblicamente su questo o quel personaggio politico, il dissenso nei confronti delle posizioni del presidente della Camera è generalizzato e attraversa sia i palazzi vaticani come quelli della Conferenza episcopale, sia le curie vescovili più «conservatrci» come quelle più «progressiste».
Non è sempre stato così. Gianfranco Fini, fino a qualche anno fa, godeva di una certa stima negli ambienti vaticani, era stato ricevuto in udienza dall’allora Segretario di Stato, Angelo Sodano, e un suo collaboratore in An, il cattolico Gaetano Rebecchini (che ora ha abbandonato il presidente della Camera), con il suo centro di orientamento politico, metteva attorno allo stesso tavolo l’allora cardinale Joseph Ratzinger e Ernesto Galli Della Loggia. Poi è cominciata quella che nei sacri palazzi chiamano «la metamorfosi»: prima con il referendum sulla legge 40, poi sul caso Eluana Englaro, fino alla critica diretta alla Chiesa cattolica per la posizione tenuta sulle vergognose leggi razziali del 1938, episodio, quest’ultimo, che valse a Fini una staffilata de L’Osservatore Romano diretto dal bertoniano Gian Maria Vian, costretto a ricordargli che la Santa Sede su questo argomento non prendeva lezioni da un ex fascista. Il presidente della Camera tentò allora di rimediare, rese pubblica la notizia di una visita dell’arcivescovo Rino Fisichella, mediatore in più occasioni tra le due sponde del Tevere. Ma i rapporti non si sono mai veramente ricuciti.
Non deve inoltre stupire che Fini non riscuota simpatie nemmeno tra le fila di quei settori ecclesiali ed episcopali considerati anti-berlusconiani, nonostante i segnali mandati in questo senso attraverso alcune prese di posizione di «Farefuturo», ad esempio in difesa del cardinale Dionigi Tettamanzi, l’arcivescovo di Milano oggetto di attacchi pesanti da parte della Lega Nord. Segnali comunque precedenti alla rottura con il Cavaliere e che non hanno ricevuto risposta. «Con certe aperture su alcuni temi, come quello dell’immigrazione – confida un prelato italiano – mi sembra che Fini abbia cercato qualche sponda tra i vescovi solitamente classificati come progressisti. Senza però ottenere alcun successo. Non dimentichiamo le posizioni di Della Vedova e in ogni caso preferiamo guardare verso il mondo del cattolicesimo democratico». I vescovi più propensi al centrosinistra, infatti, sono propensi a dar credito ai cattolici impegnati nel Partito democratico, piuttosto che alle posizioni del presidente della Camera, che proprio sui temi eticamente sensibili ha tenuto a manifestare pubblicamente il suo dissenso dalla Chiesa.
«Non intendo commentare in alcun modo le scelte politiche recenti del presidente della Camera – spiega il vescovo di San Marino-Montefeltro Luigi Negri – ma non posso non ricordare le dichiarazioni pubbliche dell’onorevole Fini in merito a certe questioni non secondarie per noi cattolici. Mi sembra che la sua idea sia che la laicità sarebbe garantita dall’esclusione voluta e programmatica di ogni istanza di carattere etico dalle istituzioni. Non è l’idea di laicità della Francia di oggi, assomiglia piuttosto all’idea di laicità della Rivoluzione francese». (Fonte: Andrea Tornielli, il Giornale, 27 agosto 2010).
In contropartita Fini ha avuto ampi riconoscimenti dall’Economist, giornale britannico portavoce della corrente massonica inglese più agguerrita.
«Da tempo circolano voci su presunte affinità elettive tra il Presidente della Camera Gianfranco Fini e la massoneria. Qualcuno parla già di un Fini in grembiule.
I più maligni hanno addirittura intravisto un richiamo subliminale nel nome scelto per i nuovi gruppi parlamentari “Futuro e Libertà”.
Troppo simile a “Giustizia e Libertà”, la celebre loggia coperta di piazza del Gesù, destinata a riunire i fratelli più in vista, e che in passato aveva accolto anche l’ex presidente del Senato e senatore a vita Cesare Merzagora, i generali Giuseppe Aloja e Giovanni De Lorenzo, e perfino il ras fascista Giulio Caradonna.
Pare che anche Cuccia, Carli e altre eminenti figure della finanza illuminata abbiano fatto parte della loggia che poi confluì nel Grande Oriente (1973), obbedienza ufficialmente riconosciuta dalla Grande Loggia Unita d’Inghilterra.
Né è passato inosservato il fatto che Fini, nel febbraio del 1995, abbia scelto proprio Londra, e non a caso la Chatam House – vero e proprio santuario massonico dei poteri fortissimi –, per celebrare il proprio autodafé laico, rinnegando le ingombranti origini fasciste e scaricando Benito Mussolini tra i detriti della Storia. Ragionavo su queste circostanze, quando lo scorso 5 agosto ho letto un interessante editoriale dell’Economist intitolato “Signor Fini, where do you stand by?”.
In quell’articolo il Presidente di Montecitorio veniva presentato come «the most able», il più abile dei politici italiani attualmente sulla scena pubblica, un vero «liberal» e, soprattutto, «the most keen to limit the Catholic church’s influence over Italians’ lives». Sì, proprio così, il più determinato a limitare il potere di influenza della Chiesa cattolica sulla vita degli italiani.
Beh, è davvero singolare che proprio l’Economist – prestigiosissimo foglio influenzato dalla massoneria britannica e da Chatham House – si sia sbilanciato in questo modo a favore di Fini.
Le evidenti influenze di loggia sull’Economist, peraltro, sono tali da aver costretto persino un moderato come Pier Ferdinando Casini a denunciare una «manina» della massoneria internazionale dietro gli attacchi violenti condotti contro il Vaticano e la Santa Sede proprio dal quotidiano di St. James’s Street.
Singolare anche che molte delle analisi critiche sulla situazione italiana denunciate da Fini, a partire dalla debolezza culturale della politica («weaknesses in the political culture»), fino alla necessità di limitare l’ingerenza della Chiesa («separation of church and State») corrispondano esattamente alle analisi fatte dall’Economist nel 2007, quando nel formulare l’index of democracy ha declassato l’Italia tra le democrazie di serie B, definendola «flawed democracy», insieme a Paesi del Sudamerica e dell’Est Europa.
Anche le posizioni finiane sulla fecondazione artificiale – business attorno al quale, in Gran Bretagna, ruota una girandola di milioni – coincidono esattamente con quelle dell’Economist. Frasi come «le leggi si devono fare senza il condizionamento dei precetti di tipo religioso» (pronunciata da Fini all’incontro con gli studenti di Monopoli del 18 maggio 2009), o «la laicità delle istituzioni significa affermazione chiara del confine che deve separare la sfera privata rispetto a quella religiosa» (discorso al Congresso di AN del 23 marzo 2009), o ancora «la differenza non è tra laici e cattolici, ma tra laici e clericali» (Festa del PD di Genova, 26 agosto 2009), sembrano tratte da un editoriale di John Micklethwait.
Il percorso della conversione laica ed illuminista del Presidente della Camera sembra non tralasciare nessuna delle priorità iscritte nell’agenda politically correct tanto cara alle lobby massoniche.
Coincidenza anche il fatto che l’accusa lanciata a freddo da Fini, nel dicembre 2008, contro i presunti silenzi della Chiesa cattolica nei confronti delle leggi razziali del 1938, abbia rappresentato un altro dei cavalli di battaglia anticattolici dell’Economist.
Se Fini avesse studiato, però, avrebbe saputo che Pio XI è stata la sola personalità pubblica del suo tempo a opporsi apertamente a Mussolini per la sua politica antisemita, arrivando a definire pubblicamente, il 15 luglio 1938, quella politica una «vera apostasia» del cristianesimo. Così come il 21 luglio dello stesso anno, ricevendo in udienza gli assistenti ecclesiastici di Azione Cattolica, il Santo Padre ricordò che «cattolico vuol dire universale, non razzistico, nazionalistico, separatistico», e che le ideologie antisemite finiscono «con non essere neppure umane». Nella storia sono rimaste impresse pure le parole di Pio XI rivolte, il 28 luglio 1938, agli alunni di Propaganda Fide: «Il genere umano non è che una sola e universale razza di uomini. Non c’è posto per delle razze speciali (…) La dignità umana consiste nel costituire una sola e grande famiglia, il genere umano, la razza umana».
Fini avrebbe dovuto anche sapere che in quegli anni vigeva in Italia un potere dittatoriale che non consentì, attraverso l’uso della censura, la pubblicazione di una serie di articoli di Civiltà Cattolica contro la deriva razzista dell’antisemitismo.
Tornando all’attualità, anche l’ultima boutade goliardica dell’Economist sulla ridefinizione dei confini d’Europa non pare sia stata esattamente compresa nella sua reale portata. Com’è noto, nel recente articolo intitolato “Redrawing the Map” (ridisegnando la cartina), si nota che l’Italia risulta divisa in due all’altezza di Roma, che viene accorpata al sud ed alle isole, per formare una nuova nazione dal nome poco elegante di Bordello. Si è parlato di odioso antimeridionalismo, di volgare disprezzo per il Sud del nostro Paese, di becero leghismo in salsa anglosassone.
In realtà, però, per gli esperti di cose d’Oltremanica è stato subito chiaro che l’attacco dell’Economist non riguardasse tanto il Mezzogiorno d’Italia (che la massoneria inglese ha peraltro contribuito a “liberare” dai Borboni), o il potere romanocentrico. Il vero obiettivo era lo Stato Città del Vaticano, quella aborrita Santa Sede, considerata la pestifera sentina di tutti i mali d’Italia. E’ proprio lì, nella Babilonia luterana che non è stata purificata dalla Riforma, che per i soloni dell’Economist si insedia il maggiore ostacolo ad una completa evoluzione illuministica e liberale del nostro Paese.
Basti pensare che lo stesso giorno in cui è stato pubblicato l’elogio di Fini, lo scorso 5 agosto, l’Economist ha dato spazio ad un ennesimo articolo al vetriolo contro la Chiesa cattolica, dal titolo “The Void within”, il vuoto all’interno, denunciando uno stato di «quasi teocracy», un inspiegabile «attaccamento atavico» alle gerarchie vaticane, e arrivando ad evidenziare la differenza tra “cattolicesimo” e “cattolicismo”; per concludere con una riflessione filosofica: «l’Illuminismo europeo può aver posto fine a quella sorta di formale teocrazia nella quale i papi guidavano gli eserciti e i re governavano per diritto divino, ma per un’intricata combinazione di circostanze l’autorità della Chiesa e quella dello Stato, in Europa, sono rimaste intrecciate». Quando ho letto le lodi sperticate dell’Economist a Gianfranco Fini, considerato il più abile e deciso politico italiano, capace di contrastare lo strapotere vaticano e la nefasta influenza della Chiesa cattolica nella vita degli italiani, mi sono fatto qualche idea in più sulla svolta politico-esistenziale del Presidente della Camera. Dalle parti di Chatham House non amano sprecare parole. Lì, davvero, nulla è casuale.
(Fonte: Gianfranco Amato, cultura cattolica.it, 27 agosto 2010)
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