giovedì 26 agosto 2010

La politica del pugnale

Alleati che diventano avversari. Servi che cambiano padrone. Insulti. Attacchi frontali. Tranelli, maldicenze, sospetti, segreti...
Non è la trama di qualche intrigo della corte dei Borgia, ma la cronaca politica di oggi. Al posto dei veleni e dei pugnali si usano i mezzi di comunicazione.
A fine luglio mi ero soffermato su come il pettegolezzo e la ricerca dello scandalo siano diventati uno stile dominante nel mondo dell'informazione. Le ultime settimane non mi hanno smentito. Sembra quasi che si faccia a gara per dimostrare che tutti sono egualmente loschi. Tranne il proprio leader, naturalmente.
L'effetto diseducativo è devastante. Non esistono virtù; nell'intreccio dei complotti vince chi è più furbo, più forte, più ricco e scredita per primo l'avversario. L'uso dell'insulto è sistematico e gratuito. Ne ha scritto in modo esauriente Claudio Magris sul Corriere.
«Volgarità e sconcezze, in questi giorni, arrivano da tutte le parti e da persone che si credono élite, classe dirigente, leader e maestri nell’arte della politica. Nei confronti delle donne le scemenze ingiuriose si scatenano con particolare indecenza, specie da parte di ex partner, e non valgono certo di più dell’insulto che qualsiasi ubriaco può indirizzare a una signora che in quel momento gli passa accanto; anche fra le donne, peraltro, c’è chi non è da meno nella gara alla scurrilità.
Ci si può chiedere come mai e perché alcune elementari regole del vivere civile sembrano scomparse. Quegli insulti divenuti abituali e assurti a linguaggio della politica sono inaccettabili, ma non solo perché si esprimono con quelle parole grossolane che tutti gli adolescenti hanno adoperato e adoperano e che non sono certo un peccato mortale. La violenza di questa degenerazione dei normali rapporti civili non risiede in una rozza maleducazione, ma nella sostanziale mancanza di rispetto che la genera. Presentarsi a un pranzo in mutande o mettersi le dita nel naso a tavola non è un’offesa alla pudicizia, ma a quel rispetto dell’altro che anche le forme dicono e tutelano.
Il rispetto, insegna Kant, è la premessa di ogni altra virtù, che non può esistere senza di esso, perché il senso della dignità propria e altrui è la base di ogni civiltà, di ogni corretto rapporto fra gli uomini e di ogni buona qualità di vita, propria e altrui. Il rispetto, nei confronti di chiunque, non può venire a mancare mai, nemmeno in circostanze drammatiche. Ci possono essere situazioni — in guerra, o per legittima difesa — in cui può essere tragicamente necessario colpire un uomo; non c’è alcuna situazione in cui sia lecita la mancanza di rispetto, nemmeno nei confronti di un colpevole cui giustamente venga comminata una grave pena.
Chi insulta l’avversario si delegittima; è come fosse politicamente interdetto e si includesse in quelle categorie di soggetti che secondo il vecchio codice cavalleresco non avevano i requisiti per poter essere sfidati a duello. Quegli improperi, pertanto, vanno considerati nulli, fuori gioco. È inutile e forse pure ingiusto prendersela con l’uno o con l’altra turpiloquente, perché ognuno fa quello che può, a seconda dei doni che ha o non ha avuto dal Dna, della famiglia in cui ha avuto la fortuna o la sfortuna di crescere, delle possibilità che ha o non ha avuto di sviluppare liberamente e con signorilità la propria persona o della malasorte che lo ha dotato di un animo gretto e servile. Chi nello scontro politico dice un’oscenità probabilmente non sa dire altro.
Non è uno scandalo che esistano queste volgarità; il grave è che esse non destino scandalo, che i loro autori non paghino dazio per il loro smercio di porcherie. È avvenuto qualcosa, nella nostra società, che ha mutato radicalmente quelle che ritenevamo regole pacificamente e definitivamente acquisite al vivere civile. Certe indecenze dovrebbero venire automaticamente sanzionate; se vengo invitato a casa di qualcuno e mi metto a sputare per terra, parrebbe logico che, quanto meno, non mi si inviti più e si cerchi di tenermi alla larga».
Non sembra neanche meravigliare, aggiungo io, che i protagonisti di questo gioco al massacro siano in molti casi i paladini dell'identità cristiana e dei valori non negoziabili, deferenti verso la Chiesa cattolica e verso il papa, ansiosi di esibire buoni rapporti con qualche alto prelato.
Come se il sostenere formalmente alcuni principi e la condiscendenza verso l'istituzione religiosa contassero di più dell'assumere uno stile umile e nonviolento, quale è stato quello di Gesù di Nazaret. E' in questo o nelle parole che consiste un'identità cristiana?

(Fonte: Christian Albini, Blog Sperare per tutti, 20 agosto 2010)

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