Lo conoscono in tutto il mondo, l’America è la sua seconda patria. Da noi diventò famoso alla fine degli anni ’60 come protagonista di western-spaghetti e polizieschi d’autore. Memorabili le sue interpretazioni di “Django” e del capitano dei carabinieri ne “Il giorno della civetta”, di Damiano Damiani. Anche di televisione Franco Nero ne ha fatta tanta: a gennaio è stato Sant’Agostino "da vecchio" nella fiction di Raiuno. Per quel ruolo ha ricevuto anche i complimenti del Papa. Da mercoledì lo potremo rivedere al cinema accanto alla moglie Vanessa Redgrave, in “Letters to Juliet” del regista statunitense Gary Winich, tratto dall’omonimo romanzo di Lise e Ceil Friedman.
Nero, lei ha deciso di tornare sul set con sua moglie proprio per una storia d’amore ambientata nella città di Giulietta e Romeo. C’è un motivo particolare?
R. «In effetti ho accettato di fare questo film solo perché c’è Vanessa, anche se la sceneggiatura mi piace. È la storia di una giovane coppia in vacanza a Verona che legge un messaggio indirizzato a Giulietta scritto da una donna (la Redgrave, ndr) in cerca di un suo antico amore, il personaggio che interpreto».
Ancora una volta, però, lei è stato preferito da un produttore americano. E quelli di casa nostra?
R. «Il cinema italiano è come un malato che ha la febbre a 40. Avevamo una grande industria, si producevano 300-400 film l’anno, esportavamo centinaia di pellicole all’estero. L’industria cinematografica faceva tanti soldi che venivano in parte reinvestiti per produzioni di qualità superiore. Per un film si lavorara 12-14 settimane. Poi, negli anni ’80, sono arrivate le tv private, è cominciata la concorrenza con la Rai, tutti venivano strapagati e c’è stata una migrazione di massa verso le fiction. E il cinema italiano è stato ammazzato. Oggi i veri produttori sono i funzionari della Rai, di Mediaset e del Ministero...Si fanno fiction e videoclip, gli autori vengono mortificati».
Infatti lei sta girando a Philadelphia, “Father”, per la regia di Pasquale Squitieri, che è una co-produzione italo-americana...
R. «È un film molto "forte", un thriller che sviluppa i temi della paternità e delle false ideologie».
La paternità è un argomento che la tocca?
R. «Sì, ma io vivo il mio essere padre in modo positivo, non come il personaggio che interpreto in questo film che inganna il figlio. Per me essere padre è un regalo di Dio. Ho avuto tre figli, una l’ho persa l’anno scorso con mio grande dolore (Natasha Richardson, figlia della Redgrave e moglie di Liam Neeson, ndr). Sono stato un padre presente e attento. E adesso sono nonno di 5 splendidi nipotini che vivono in campagna insieme con me e Vanessa. Devo dire che li amo più dei miei figli Carlo e Franquito».
Lei quindi è credente. Quanto conta la fede nella sua vita?
R. «Beh, non sono un grande praticante ma prego tutte le sere e mi aggrappo a Dio nei momenti di difficoltà. Sono stato educato dai miei genitori nel rispetto della religione e della Chiesa».
È vero che lei da piccolo è stato tenuto sulle ginocchia da Padre Pio?
R. «Non vorrei parlare di questo... Comunque... sì è così. La mia famiglia è originaria di San Giovanni Rotondo e quando ero bambino andavamo spesso, col carretto tirato da un asino, a trovare il frate con le stimmate. Ci parlavo. I suoi occhi accesi mi hanno accompagnato sempre nella vita».
Lei fa anche opere di carità?
R. «Seguo i ragazzi del "Villaggio Don Bosco" di Tivoli. Cominciai anni fa aiutando don Nello Del Raso a costruire la comunità, che ospita orfani. Da allora non me ne sono mai scordato. A Natale e a Pasqua vado anche a Messa con loro».
La sua carriera di attore è ricca di soddisfazioni. Ma ha ancora qualche sogno nel cassetto?
R. «Certo! Vorrei girare da regista L’ostaggio, un film basato su una sceneggiatura di Elio Petri scritta apposta per me nel ’75 e che il maestro non fece in tempo a realizzare. Nella mia cantina conservo migliaia di vecchi copioni e quello di Petri l’ho ritrovato quasi per caso. Mi colpì. Decisi di farlo leggere a Robert Bolt, uno dei più importanti sceneggiatori del mondo. Gli piacque e mi consigliò di fare il film ambientandolo in epoca moderna anziché nell’Ottocento vittoriano, come invece era stato pensato da Petri. Ci sto lavorando sodo. Vittorio Storaro mi ha detto che vorrebbe curarne la fotografia. Siamo a buon punto anche con i finanziamenti».
Il primo settembre si apre il Festival del Cinema al Lido di Venezia, lei ci andrà?
R. «Andrò a Venezia il 7 settembre per presentare il mio film “Angelus Hiroshimae”, ma fuori dal Festival, per la Biennale, con proiezione in piazza san Marco. La pellicola è senza dialoghi perché la storia non ne ha bisogno ma la colonna sonora è di Morricone, è stata girata all’Aquila prima del terremoto. Ho aggiunto un documentario di 7 minuti per far vedere il disastro causato dal sisma. Il film l’ho dedicato a mia figlia Natasha che non c’è più. L’ho presentato al Festival di Los Angeles ed è stato accolto molto bene dalla critica cinematografica americana».
(Fonte: Fulvio Fulvi, Avvenire, 21 agosto 2010)
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