mercoledì 5 dicembre 2012

Avviso di restauri nel “Cortile dei gentili”

Quando alla vigilia di Natale del 2009 Benedetto XVI lanciò l’idea del “Cortile dei gentili”, ne disse subito la finalità: tener desta la ricerca di Dio tra agnostici o atei, come “primo passo” della loro evangelizzazione.
Ma il papa non ne stabilì le modalità d’esecuzione. Affidò la messa in opera dell’idea al presidente del pontificio consiglio della cultura, l’arcivescovo e poi cardinale Gianfranco Ravasi, valente e sperimentato creatore di eventi culturali.
Ravasi esordì a Parigi il 24 e 25 marzo 2010, organizzando un incontro che ebbe un notevole impatto. Lo stesso Benedetto XVI vi prese parte con un videomessaggio rivolto ai giovani riuniti sul sagrato di Notre Dame.
Nei successivi appuntamenti, però, il papa rimase in silenzio. Il “Cortile dei gentili” proseguì con una sequenza serrata di incontri, in diversi paesi. Con un crescendo culminato il 5 e 6 ottobre di quest’anno ad Assisi, con un cast di partecipanti record, a cominciare dal presidente della repubblica italiana, Giorgio Napolitano, agnostico di formazione marxista.
A questo crescendo è corrisposto, però, un calo di interesse generale e di risonanza nei media.
Un calo comprensibile. Il fatto che dei non credenti prendessero la parola in un incontro promosso dalla Santa Sede non era più una notizia. E non era una notizia nemmeno il fatto che ciascuno vi esponesse la rispettiva visione del mondo, peraltro già risaputa, alla pari con gli altri, in una sorta di “quadri di un’esposizione”.
A dispetto della suggestione di ciascun evento e dell’ammirazione che esso riscuoteva tra i partecipanti, il “Cortile dei gentili” rischiava di non produrre più nulla di nuovo e di significativo, sul versante dell’evangelizzazione.
Se una novità infatti c’è stata, nell’ultimo suo incontro tenuto 1l 16 e 17 novembre in Portogallo, essa è venuta da fuori e dall’alto.
Per la prima volta nella storia del “Cortile dei gentili” – a parte il caso particolare di Parigi –, Benedetto XVI ha inviato ai partecipanti un proprio messaggio.
Un messaggio nel quale egli ha voluto riportare l’iniziativa alla sua finalità originaria: quella di parlare di Dio a chi ne è lontano, risvegliando le domande che avvicinino a Dio “almeno come Sconosciuto”.
Nel messaggio, chiaramente scritto di suo pugno, Benedetto XVI ha preso avvio dal tema principale del “Cortile dei gentili” portoghese: “l’aspirazione comune di affermare il valore della vita umana”.
Ma subito ha argomentato che la vita di ogni persona, tanto più se amata, non può non “chiamare in causa Dio”. E ha proseguito: “Il valore della vita diventa evidente solo se Dio esiste. Perciò, sarebbe bello se i non credenti volessero vivere ‘come se Dio esistesse’. Sebbene non abbiano la forza per credere, dovrebbero vivere in base a questa ipotesi; in caso contrario, il mondo non funziona. Ci sono tanti problemi che devono essere risolti, ma non lo saranno mai del tutto, se Dio non sarà posto al centro, se Dio non diventerà di nuovo visibile nel mondo e determinante nella nostra vita”.
Nel concludere, Benedetto XVI ha citato una riga del messaggio rivolto dal concilio Vaticano II agli uomini di pensiero e di scienza: “Felici coloro che, possedendo la verità, la continuano a cercare per rinnovarla, per approfondirla, per donarla agli altri”.
E ha aggiunto lapidariamente: “Questi sono lo spirito e la ragion d’essere del Cortile dei gentili”.
L’indubbia rettifica impressa al “Cortile dei gentili” da Benedetto XVI con questo messaggio non è stata rimarcata dai media, nemmeno da quelli cattolici e più attenti.
Ma il cardinale Ravasi l’ha sicuramente registrata e sottoscritta. Lo si è capito anche da questo passaggio del bilancio del “Cortile” portoghese pubblicato su “L’Osservatore Romano” del 23 novembre: “A Guimarães, il pubblico ha sollevato una questione: la sacralità della vita presuppone qualcosa che ci trascende. Come possiamo conoscere Dio? È stato cioè toccato l’obiettivo per il quale il ‘Cortile dei gentili’ è stato pensato: esprimere l’inquietudine riguardo a Dio. Tema vasto e complesso sul quale, ha detto il cardinale Ravasi, il ‘Cortile dei gentili’ tornerà in maniera più approfondita nei prossimi incontri”.
Ai prossimi incontri la verifica della svolta.
Intanto, Benedetto XVI ha affidato al cardinale Ravasi, che è anche rinomato biblista, l’onore di presentare ai media di tutto il mondo il terzo tomo della sua opera su Gesù, quella dedicata ai Vangeli dell’infanzia. Segno della fiducia che continua a riporre in lui.
E a sua volta Ravasi ha dato inizio, su “L’Osservatore Romano”, a una serie di articoli sull’incontro/scontro tra la fede e l’incredulità nella cultura contemporanea, come apporto all’Anno della fede indetto dal papa.
Nel primo di questi articoli, il 28 novembre, il cardinale ha sprigionato la sua eccezionale padronanza della letteratura, delle arti e delle scienze, con una lussureggiante fioritura di autori citati. Nell’ordine: Aleksandr Blok, Franz Kafka, Emile Cioran, Jean Cocteau, Rudolf Bultmann, Blaise Pascal, Jan Dobraczynski, Robert Musil, Ludwig Wittgenstein, Luis de León, David Hume, Anatole France, Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Alberto Moravia, Augusto Del Noce, Jacques Prévert, Eugenio Montale, Johann Wolfgang von Goethe.
In mezza pagina di giornale una ventina di autori, quasi tutti non credenti eppure tutti rivelatisi “vulnerabili” alle domande su Dio.
Ma torniamo a Benedetto XVI e al suo poco noto ma importante messaggio all’ultimo “Cortile dei gentili”. Tutto da leggere:
«Cari amici, con viva gratitudine e con affetto, saluto tutti i partecipanti al “Cortile dei gentili”, che s’inaugura in Portogallo il 16 e 17 novembre 2012 e che riunisce credenti e non credenti attorno all’aspirazione comune di affermare il valore della vita umana sulla crescente ondata della cultura della morte.
In realtà, la consapevolezza della sacralità della vita che ci è stata affidata, non come qualcosa di cui si possa disporre liberamente, ma come un dono da custodire fedelmente, appartiene all’eredità morale dell’umanità. “Pur tra difficoltà e incertezze, ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore (cfr. Rm 2, 14-15) il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine” (Enciclica “Evangelium vitae”, n. 2). Non siamo un prodotto casuale dell’evoluzione, ma ognuno di noi è frutto di un pensiero di Dio: siamo amati da Lui.
Però, se la ragione può cogliere questo valore della vita, perché chiamare in causa Dio? Rispondo citando un’esperienza umana. La morte della persona amata è, per chi l’ama, l’evento più assurdo che si possa immaginare: lei è incondizionatamente degna di vivere, è buono e bello che esista (l’essere, il bene, il bello, come direbbe un metafisico, si equivalgono trascendentalmente). Parimenti, la morte di questa stessa persona appare, agli occhi di chi non ama, come un evento naturale, logico (non assurdo). Chi ha ragione? Colui che ama (“la morte di questa persona è assurda”) o colui che non ama (“la morte di questa persona è logica”)?
La prima posizione è difendibile solo se ogni persona è amata da un Potere infinito; e questo è il motivo per cui è stato necessario appellarsi a Dio. Di fatto, chi ama non vuole che la persona amata muoia; e, se potesse, lo impedirebbe sempre. Se potesse... L’amore finito è impotente; l’Amore infinito è onnipotente. Ebbene, è questa la certezza che la Chiesa annuncia: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16). Sì! Dio ama ogni persona che, perciò, è incondizionatamente degna di vivere. “Il sangue di Cristo, mentre rivela la grandezza dell’amore del Padre, manifesta come l’uomo sia prezioso agli occhi di Dio e come sia inestimabile il valore della sua vita”. (Enciclica “Evangelium vitae”, n. 25).
Nell’epoca moderna, l’uomo ha però voluto sottrarsi allo sguardo creatore e redentore del Padre (cfr. Gv 4, 14), fondandosi su se stesso e non sul Potere divino. Quasi come succede negli edifici di cemento armato senza finestre, dove è l’uomo che provvede all’areazione e alla luce; e, ugualmente, persino in un tale mondo auto-costruito, si attinge alle “risorse” di Dio, che sono trasformate in nostri prodotti. Che dire allora? È necessario riaprire le finestre, vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra, e imparare a usare tutto ciò in modo giusto.
Di fatto, il valore della vita diventa evidente solo se Dio esiste. Perciò, sarebbe bello se i non credenti volessero vivere “come se Dio esistesse”. Sebbene non abbiano la forza per credere, dovrebbero vivere in base a questa ipotesi; in caso contrario, il mondo non funziona. Ci sono tanti problemi che devono essere risolti, ma non lo saranno mai del tutto, se Dio non sarà posto al centro, se Dio non diventerà di nuovo visibile nel mondo e determinante nella nostra vita. Colui che si apre a Dio non si allontana dal mondo e dagli uomini, ma trova fratelli: in Dio cadono i nostri muri di separazione, siamo tutti fratelli, facciamo parte gli uni degli altri.
Amici miei, vorrei concludere con queste parole del concilio Vaticano II agli uomini di pensiero e di scienza: “Felici coloro che, possedendo la verità, la continuano a cercare per rinnovarla, per approfondirla, per donarla agli altri” (Messaggio, 8 dicembre 1965). Questi sono lo spirito e la ragion d’essere del “Cortile dei gentili”. A voi impegnati in diversi modi in questa significativa iniziativa, esprimo il mio sostegno e rivolgo il mio più sentito incoraggiamento. Il mio affetto e la mia benedizione vi accompagnino oggi e in futuro. Benedictus PP XVI, Dal Vaticano, 13 novembre 2012

(Fonte: Sandro Magister, www.chiesa, 30 novembre 2012)
 
 

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