sabato 22 dicembre 2012

«Smantellare la dittatura del relativismo»

I messaggi pontifici per l'annuale Giornata Mondiale della Pace, che cade il 1° gennaio di ogni anno, sono sempre documenti in senso lato «politici». Quello che Benedetto XVI ha diffuso il 14 dicembre per la Giornata Mondiale della Pace 2013, formalmente datato 8 dicembre 2012, non solo non fa eccezione ma - forse non senza consapevolezza dei tanti e importanti Paesi, Italia compresa, che nel 2013 saranno chiamati a delicate tornate elettorali - propone un vero e proprio programma affidato ai politici cattolici di buona volontà.
Il Papa inizia rievocando i cinquant'anni dall'inizio del Concilio Ecumenico Vaticano II - su cui ribadisce, come di consueto in quest'Anno della fede e in risposta ai critici, il giudizio storico secondo cui, pure tra tante difficoltà e fraintendimenti, «ha consentito di rafforzare la missione della Chiesa nel mondo» -, e ricordando una parola di Gesù Cristo che dà pure il titolo al Messaggio: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).
Il Concilio ha insistito sull'annuncio delle beatitudini, «un genere letterario - spiega il Papa - che porta sempre con sé una buona notizia, ossia un vangelo, che culmina in una promessa. Quindi, le beatitudini non sono solo raccomandazioni morali, la cui osservanza prevede a tempo debito – tempo situato di solito nell’altra vita – una ricompensa, ossia una situazione di futura felicità». Se fosse così, chi non crede nell'altra vita potrebbe facilmente considerare i credenti «ingenui o lontani dalla realtà». Invece le beatitudini sono un programma molto preciso, che certo si apre alla vita eterna ma ci spiega anche in modo concreto com'è possibile vivere in pace qui e ora sulla Terra.
Non che l'apertura all'altra vita e la pace in questa non siano collegate. Infatti, «la pace presuppone un umanesimo aperto alla trascendenza». Se una società si chiude per principio alla trascendenza, è impossibile che viva in pace. «È indispensabile, allora, che le varie culture odierne superino antropologie ed etiche basate su assunti teorico-pratici meramente soggettivistici e pragmatici». Il Papa lo dice in termini molto forti: «Precondizione della pace è lo smantellamento della dittatura del relativismo e dell’assunto di una morale totalmente autonoma, che preclude il riconoscimento dell’imprescindibile legge morale naturale scritta da Dio nella coscienza di ogni uomo».
Non basta infatti essere in pace con gli altri. Occorre essere in pace con se stessi, con il creato e anzitutto con Dio: un'idea che Benedetto XVI riprende dall'enciclica «Pacem in terris» del beato Giovanni XXIII (1881-1963), spesso evocata dal Magistero nelle ultime settimane in previsione del suo cinquantenario che cadrà nel 2013. Ne consegue che «la negazione di ciò che costituisce la vera natura dell’essere umano, nelle sue dimensioni essenziali, nella sua intrinseca capacità di conoscere il vero e il bene e, in ultima analisi, Dio stesso, mette a repentaglio la costruzione della pace. Senza la verità sull’uomo, iscritta dal Creatore nel suo cuore, la libertà e l’amore sviliscono, la giustizia perde il fondamento del suo esercizio».
Dalla «Pacem in terris» Benedetto XVI cita anche l'appello perché le strutture e le organizzazioni internazionali trovino il loro fondamento ultimo nel «riconoscimento di essere, in Dio, un’unica famiglia umana» e nell'esistenza oggettiva di un «ordine morale». Tale ordine è sia internazionale, sia nazionale: e non si può promuovere un giusto ordinamento internazionale se non si opera in modo conforme a giustizia anzitutto nel proprio Paese.
Ecco allora delinearsi nel Messaggio il preciso programma di una politica conforme all'ordine morale, che parte come di consueto dai principi che il Papa chiama non negoziabili. Anzitutto, la vita: «Chi vuole la pace non può tollerare attentati e delitti contro la vita. Coloro che non apprezzano a sufficienza il valore della vita umana e, per conseguenza, sostengono per esempio la liberalizzazione dell’aborto, forse non si rendono conto che in tal modo propongono l’inseguimento di una pace illusoria». Il tema è consueto nel Magistero di Benedetto XVI, ma qui la condanna delle leggi abortiste è ribadita con particolare vigore. «La fuga dalle responsabilità, che svilisce la persona umana, e tanto più l’uccisione di un essere inerme e innocente, non potranno mai produrre felicità o pace. Come si può, infatti, pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri?». Ugualmente ferma è la condanna delle leggi che pretendono d'introdurre «un preteso diritto all'eutanasia», altro esempio di norme ispirate a «falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e relativistica dell’essere umano e sull’abile utilizzo di espressioni ambigue, [...] minacciano il diritto fondamentale alla vita».
Questi falsi diritti oggi minacciano anche la famiglia. Se si vuole la pace, «la struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale». In terzo luogo, va riconosciuta la libertà di educazione: «Bisogna tutelare il diritto dei genitori e il loro ruolo primario nell’educazione dei figli».
Per l'ennesima volta il Papa risponde all'obiezione, che rende timidi anche tanti politici cattolici, secondo cui non si potrebbero imporre i tre principi non negoziabili - vita, famiglia e libertà di educazione - ai non credenti. Anzitutto, fa parte della libertà religiosa dei credenti il diritto di proclamarli e proporli. Ma «questi principi non sono verità di fede, né sono solo una derivazione del diritto alla libertà religiosa. Essi sono inscritti nella natura umana stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi sono comuni a tutta l’umanità», dunque vincolano «tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa», e la loro negazione non è tanto un'offesa alla Chiesa ma «un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace».
La libertà religiosa appare nel Magistero di Benedetto XVI come il quarto principio non negoziabile - o piuttosto l'orizzonte degli altri tre - e implica che «gli ordinamenti giuridici e l’amministrazione della giustizia riconoscano il diritto all’uso del principio dell’obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che attentano contro la dignità umana, come l’aborto e l’eutanasia». È necessario che nelle leggi il diritto alla libertà religiosa «sia promosso non solo dal punto di vista negativo, come libertà da – ad esempio, da obblighi e costrizioni circa la libertà di scegliere la propria religione –, ma anche dal punto di vista positivo, nelle sue varie articolazioni, come libertà di: ad esempio, di testimoniare la propria religione, di annunciare e comunicare il suo insegnamento; di compiere attività educative, di beneficenza e di assistenza che permettono di applicare i precetti religiosi; di esistere e agire come organismi sociali, strutturati secondo i principi dottrinali e i fini istituzionali che sono loro propri». Il Pontefice denuncia ancora una volta le minacce alla libertà religiosa, anche in Occidente, e allude alle questioni relative al crocefisso, al Natale, al divieto di portare croci o altri simboli religiosi: «purtroppo, anche in Paesi di antica tradizione cristiana si stanno moltiplicando gli episodi di intolleranza religiosa, specie nei confronti del cristianesimo e di coloro che semplicemente indossano i segni identitari della propria religione».
È importante che in ogni programma politico che si vuole conforme alla dottrina sociale della Chiesa sia riconosciuto il primato dei principi non negoziabili e della libertà religiosa, che non sono sullo stesso piano degli altri diritti, ma li precedono e li fondano. Nello stesso tempo, la dottrina sociale non si disinteressa certo di altri diritti, a partire da quelli detti sociali al lavoro e a una gestione della vita economica che tenga conto della libertà e della solidarietà. Benedetto XVI denuncia «il prevalere di una mentalità egoistica e individualista espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato», nonché - riprendendo un tema che gli è caro - «le ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia [le quali] insinuano il convincimento che la crescita economica sia da conseguire anche a prezzo dell’erosione della funzione sociale dello Stato e delle reti di solidarietà della società civile, nonché dei diritti e dei doveri sociali».
I rimedi proposti per la crisi economica, che talora implicano scelte difficili e dolorose, devono però tenere conto del «primato della dimensione spirituale e dell’appello alla realizzazione del bene comune. In caso contrario, essi perdono la loro giusta valenza, finendo per assurgere a nuovi idoli». Certo, la crisi ci mostra che non è più possibile perseguire «il modello prevalso negli ultimi decenni [che] postulava la ricerca della massimizzazione del profitto e del consumo, in un’ottica individualistica ed egoistica». Ma nella pur necessaria «strutturazione etica dei mercati monetari, finanziari e commerciali» si dovrà porre attenzione a «non arrecare danno ai più poveri» e a non «sottovalutare il ruolo decisivo della famiglia, cellula base della società dal punto di vista demografico, etico, pedagogico, economico e politico».
Il Pontefice è consapevole che perseguire questo impegnativo programma potrà rivelarsi «un lavoro lento, perché suppone un’evoluzione spirituale, un’educazione ai valori più alti, una visione nuova della storia umana. Occorre rinunciare alla falsa pace che promettono gli idoli di questo mondo e ai pericoli che la accompagnano, a quella falsa pace che rende le coscienze sempre più insensibili, che porta verso il ripiegamento su se stessi, verso un’esistenza atrofizzata vissuta nell’indifferenza». Ma, mentre prosegue il lento lavoro della preparazione di nuove classi dirigenti davvero formate da una «pedagogia della pace», il Messaggio indica ai politici di buona volontà quali punti vanno subito inseriti, senza attendere, in programmi che vogliano essere davvero conformi alla libertà, alla giustizia e al bene comune.

(Fonte: Massimo Introvigne, Nuova Bussola Quotidiana, 15 dicembre 2012)

 

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