O lo erano fino a ieri. Perché ieri è stato presentato al Festival del Cinema di Venezia il film «L'Ucraina non è un bordello» della regista australiana Kitty Green, che ha vissuto per un anno con le Femen a Kiev, ha manifestato con loro e a Roma con le ragazze di Kiev si è perfino fatta arrestare. Partita per girare il suo film da una simpatia per le Femen, la Green ha scoperto tutta una serie di scheletri nell'armadio delle attiviste anti-religiose, che l'hanno indotta almeno parzialmente a ricredersi.
Le Femen non fanno il loro strano mestiere solo per idealismo. Sono regolarmente pagate, con un fisso di mille dollari al mese, ma prendono una quota anche delle donazioni - che arrivano principalmente da uomini, non da donne - e possono arrivate a guadagnare fino a dieci volte tanto. Sono reclutate non in base all’ideologia ma all’avvenenza: inchieste della stampa francese avevano già insinuato che alcune avrebbero precedenti nel mondo della pornografia e della prostituzione semi-amatoriale delle studentesse.
Il pezzo forte del film della Green è il tentativo di rispondere alla domanda: chi recluta le Femen? La risposta è: Viktor Sviatski, un inquietante uomo d’affari ucraino che le Femen hanno presentato come loro «consulente politico» ma che è in realtà, secondo la Green, il loro inventore e il loro padrone. All’inizio, nel film, Sviatski sembra un po’ il misterioso Charlie che dirigeva le detective della serie televisiva «Charlie’s Angels»: nessuno lo vede mai, comunica solo per telefono ma dà istruzioni estremamente precise ed esigenti su cosa fare, dove colpire, e perfino che dieta seguire per apparire congruamente avvenenti. E minaccia anche le ragazze: niente successo mediatico, niente soldi.
Alla fine, Sviatski accetta di parlare con la Green e dichiara di avere creato lui le Femen. Perché lo ha fatto? La risposta è brutale: «Gli uomini fanno di tutto per il sesso: io ho creato il gruppo per avere delle donne». Ma non è – obietta la regista – il contrario del femminismo che le Femen propagandano? La risposta di Sviatski è disarmante: «Spero che vedendo il mio comportamento patriarcale loro alla fine rifiutino quel sistema che io rappresento». E le ragazze che ne pensano? «Senza un uomo dietro, non saremmo mai venute fuori», ammette una di loro nel film. E in effetti che Sviatski gestisca una specie di harem – certo, guadagnandoci anche – era stato suggerito dalla stampa ucraina quando l’uomo d’affari lo scorso 24 luglio era stato aggredito da sconosciuti e pestato nella notte a Kiev. La stampa occidentale, compreso qualche giornale italiano, aveva pensato alla Reazione con la R maiuscola – che, per definizione, è sempre in agguato –, smettendo poi di parlare del caso quando era cominciata a emergere l’ipotesi che all’origine del pestaggio ci fosse invece il fidanzato di una delle ragazze.
La spiegazione del film, però, finisce per apparire un po’ troppo semplice. Uomo fantasioso come sembra essere, se Sviatski cercasse solo sesso e denaro avrebbe potuto procurarseli senza mettere su un baraccone internazionale complicato come quello delle Femen. Per quanto la Green abbia indagato in prima persona, il film non risponde a tutte le domande. Sviatski recluta e paga le ragazze, ma chi paga Sviatski? La storia dei tanti piccoli donatori che, eccitati di fronte alle foto delle bellezze senza veli, mandano il loro obolo alle Femen via Internet non è, neppure lei, del tutto convincente. Le Femen non sono un aneddoto. Fanno propaganda – di enorme risonanza mediatica – per cause ben precise: la lotta alla Chiesa, l’ideologia di genere, il matrimonio omosessuale. Riescono a infiltrarsi in riunioni politiche vietate al pubblico grazie a tessere di grandi agenzie di stampa internazionali non proprio facili da ottenere e che non si comprano su Internet. Da chi le ricevono? Chi c’è dietro Sviatski?
Qualche risposta viene da indagini di stampa, e anche da un curioso gruppo di ragazze francesi che hanno fondato Les Antigones. Il nome viene dall’eroina della tragedia di Sofocle (496-406 a.C.), che muore per testimoniare che la legge divina è al di sopra delle leggi umane, e Les Antigones seguono le Femen protestando contro le loro proteste, non spogliandosi ma indossando tuniche bianche che ricordano il teatro greco. Ben vestite e con l’aria delle brave ragazze, Les Antigones hanno acquistato una certa popolarità, ma naturalmente sono anche state attaccate come «fasciste», cattoliche tradizionaliste o signorine ricche e annoiate in cerca di distrazioni.
Una delle Antigones si è anche infiltrata fra le Femen. Intervistata alla radio, ha sostenuto che la pista del denaro porta agli Stati Uniti – non ha fatto nomi, ma qualche organo di stampa ha menzionato il finanziere George Soros, noto per avere donato cento milioni di dollari a gruppi che promuovono il matrimonio omosessuale e l’aborto – e che le Femen sono un gruppo «lanciato dalla sinistra euro-americana al servizio della sua agenda politica e geopolitica». L’anonima Antigone – che ha infiltrato le Femen all’epoca della loro protesta a Roma contro Silvio Berlusconi – ha pure affermato che le Femen «si sono interessate molto presto all’Italia. Ho avuto l’impressione che dovessero dare una mano a far cadere Berlusconi nel quadro della lotta di certi ambienti finanziari interessati a tenere l’Italia sotto controllo».
Femen contro Antigones: una guerra che diverte la Francia e che assomiglia troppo a una commedia brillante per ricavarne profonde considerazioni politiche. Ma che forse giustifica una richiesta alle Femen: se la verità è nuda, la prossima volta – invece dei consueti slogan – si scrivano addosso, cortesemente, quanto sono pagate e da chi.
(Fonte:
Massimo Introvigne, La Nuova bussola quotidiana, 4 settembre 2013)
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