giovedì 26 settembre 2013

Le “nozze dei preti” e la vendita di illusioni

"Anche i preti potranno sposarsi, ma soltanto a una certa età" cantava Lucio Dalla. Tuttavia la questione celibataria è seria e non può essere ridotta a un motivetto, a uno slogan, alla battaglia di qualche tonachella smarrita.
Il tema divide perfino gli addetti ai lavori e tocca alla Chiesa scegliere se modificare o meno le sue indicazioni. Tuttavia mi permetto di riassumere alcuni argomenti in difesa della tradizione consolidata. Perché credo che i lettori abbiano diritto, almeno una volta, a sentire anche l'altra campana: quella che suona a favore del celibato.
Per cominciare: l'ordinazione presbiterale di uomini sposati e il matrimonio dei preti non sono la stessa cosa, come pretenderebbero i maestri della confusione. Se, a un certo punto della vita, una persona celibe decide liberamente di pronunciare la promessa a perseverare nel suo stato e più tardi si pente, la massima solidarietà e comprensione per il caso umano e tutte le sue possibili motivazioni non possono cancellare il fatto che quel tale è venuto meno alla parola data. È un "poveretto" non un "eroe", tantomeno un "profeta".
Obiezione diffusa: però gli infedeli sono tanti. E se molti rubano il furto non è più reato? Se parecchi contestano la monogamia si possono prendere più mogli?
La norma secolare del celibato, il parallelo valore della castità e perfino quella della verginità sono stati esaltati da personaggi come (pesco a caso nel mucchio) Cipriano, Atanasio, Gregorio Nazianzeno, Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Girolamo e perfino Agostino, che in materia senza dubbio se ne intendeva. Tutti ignoranti o inconsapevoli? Siamo intelligenti soltanto adesso?
"I tempi sono cambiati" si osserva. E se invece proprio questo nostro tempo avesse ancora più bisogno di figure che propongano questa dimensione "altra", questa "liberazione sessuale" non sessantottina? Inseguendo il "soddisfacimento di bisogni" e gli "impulsi" non vengono forse trascurate l'ascesi, la rinuncia, lo spirito di sacrificio, l'invito "lascia tutto e seguimi"?
La gerarchia ecclesiastica ha il ragionevole sospetto che dalle nozze dei preti nascano più problemi che soluzioni. Per esempio quello delle "corna" (ai coniugati può accadere e la carne è debole per tutti, non soltanto per i celibi), poi della separazione o del divorzio. Per non dire degli eventuali figli. Chi si trincera dietro l'esempio protestante, sa di che parla? Conosce le sofferenze e i problemi pratici del pastore che guida una comunità se per disgrazia ha un figlio tossicodipendente o una figlia di facili costumi? Inoltre, perché si pensa soltanto ai preti e non ai frati, alle suore? Nozze anche per loro?
Certi tribuni dell'anticelibato fanno credere di possedere soluzioni facili, immediate. Vendono illusioni. La Chiesa, abituata a ragionare e riflettere, sa che dietro ogni magia c'è un trucco. In più, ascolta e legge con rispetto e attenzione le parole di coloro che contestano la promessa celibataria. Non parlano e non scrivono di preghiera, penitenza, pietà, sobrietà, umiltà, obbedienza; occhi rovinati sul breviario, ginocchia consumate sui banchi, ore passate nel confessionale. Tra tanto qualunquismo e un pizzico di esibizionismo, coniugano esistenzialismo e socialismo, mai la vocazione alla santità o il mistero della celebrazione eucaristica. Praticano la teologia del corpo più che quella del corpo mistico. Avessero la stoffa e la robustezza morale di un Curato d'Ars o di padre Leopoldo, tanto per giocare in casa, la storia potrebbe essere diversa. Ma quelli non erano pretini.
 

(Fonte: Léon Bertoletti, Riscossa cristiana, 19 settembre 2013)
 

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