Il libro è uscito nel 2004 in Germania senza suscitare particolari emozioni, ma questa sua ristampa italiana è stata salutata da alcuni come una svolta storica: quasi fosse la firma di un trattato di pace tra la teologia della liberazione e il magistero della Chiesa.
Gutiérrez è considerato uno dei padri della teologia della liberazione e Müller fu suo allievo e ammiratore. Tant'è vero che quando nel 2012 Benedetto XVI lo chiamò a presiedere la congregazione per la dottrina della fede, molti manifestarono sorpresa.
Si devono infatti proprio a Joseph Ratzinger, quando era lui il prefetto della congregazione, le due “istruzioni” concatenate del 1984 e del 1986 con cui la Chiesa di Giovanni Paolo II sottopose la teologia della liberazione a una critica molo severa, mossa “dalla certezza che le gravi deviazioni ideologiche denunciate finiscono ineluttabilmente per tradire la causa dei poveri”.
Ma evidentemente Ratzinger riteneva accettabile la lettura che Müller dava delle posizioni di Gutiérrez, se non solo l'ha fatto prefetto della congregazione per la dottrina della fede, ma gli ha affidato anche la cura dell'edizione completa delle sue opere teologiche, in tedesco già arrivata quasi a metà dell'impresa.
Il giudizio positivo di Müller sulla teologia della liberazione – letta attraverso la lente di Gutiérrez – lo si coglie fin dalle prime righe della pagina del libro: “Il movimento ecclesiale e teologico dell’America Latina, noto come teologia della liberazione e che dopo il Vaticano II ha trovato un’eco mondiale, è da annoverare, a mio giudizio, tra le correnti più significative della teologia cattolica del XX secolo”.
Più avanti egli sostiene: “Solo per mezzo della teologia della liberazione la teologia cattolica ha potuto emanciparsi dal dilemma dualistico di aldiquà e aldilà, di felicità terrena e salvezza ultraterrena”.
L'espressione di papa Francesco: “Sogno una Chiesa povera e per i poveri” è stata sbrigativamente assunta da molti come il coronamento di questa assoluzione della teologia della liberazione.
Ma sarebbe ingenuo considerare chiusa la controversia.
Lo stesso Jorge Mario Bergoglio non ha mai celato il suo disaccordo con aspetti essenziali di questa teologia.
Suoi teologi di riferimento non sono mai stati Gutiérrez, né Leonardo Boff, né Jon Sobrino, ma l'argentino Juan Carlos Scannone, che aveva elaborato una teologia non della liberazione ma “del popolo”, centrata sulla cultura e la religiosità della gente comune, dei poveri in primo luogo, con la loro spiritualità tradizionale e la loro sensibilità per la giustizia.
Nel 2005 – dunque quando era già uscito in Germania il libro di Müller e Gutiérrez – l'allora arcivescovo di Buenos Aires scrisse: “Dopo il crollo dell'impero totalitario del 'socialismo reale' queste correnti di pensiero sono sprofondate nello sconcerto. Incapaci sia di una riformulazione radicale che di una nuova creatività, sono sopravvissute per inerzia, anche se non manca ancora oggi chi le voglia anacronisticamente riproporre”.
A giudizio del fratello di Leonardo Boff, Clodovis, l'evento che segnò l'addio della Chiesa cattolica latinoamericana a quel che restava della teologia della liberazione fu la conferenza continentale di Aparecida del 2007, inaugurata da Benedetto XVI in persona e con suo protagonista il cardinale Bergoglio.
Clodovis Boff maturò proprio in quel periodo la sua “conversione”. Da esponente di punta della teologia della liberazione diventò uno dei suoi critici più taglienti.
Nel 2008 fece scalpore la polemica tra i due fratelli. A giudizio di Clodovis, l'errore “fatale” in cui la teologia della liberazione cade è di collocare il povero come “primo principio operativo della teologia”, sostituendolo a Dio e a Gesù Cristo.
Con questa conseguenza: “La 'pastorale della liberazione' diventa un braccio fra tanti della lotta politica. La Chiesa si fa simile a una ONG e così si svuota anche fisicamente: perde operatori, militanti e fedeli. Quelli 'di fuori' provano scarsa attrazione per una 'Chiesa della liberazione', poiché, per la militanza, dispongono già delle ONG, mentre per l’esperienza religiosa hanno bisogno di molto più che una semplice liberazione sociale”.
Il pericolo che la Chiesa si riduca a una ONG è un segnale d'allarme che papa Francesco lancia ripetutamente.
Sarebbe ingannevole trascurarlo, nel rileggere oggi il libro di Müller e Gutiérrez.
(Fonte:
Sandro Magister, www.chiesa, 5 settembre 2013)
Nessun commento:
Posta un commento