Ma che la “misericordia” predicata da papa Jorge Mario Bergoglio preluda a una revoca del divieto della comunione, come molti avevano arguito, è ormai da escludere.
Il no l'ha calato – visibilmente con l'approvazione del papa – il prefetto della congregazione per la dottrina della fede, l'arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, su L'Osservatore Romano di oggi, con un documento di piena riconferma della dottrina della Chiesa cattolica in materia, diffuso contemporaneamente in sette lingue.
Un documento che dedica la sua parte finale proprio a una messa in guardia da un'interpretazione falsa della misericordia: «Attraverso quello che oggettivamente suona come un falso richiamo alla misericordia si incorre nel rischio della banalizzazione dell’immagine stessa di Dio, secondo la quale Dio non potrebbe far altro che perdonare. Al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la santità e la giustizia; se si nascondono questi attributi di Dio e non si prende sul serio la realtà del peccato, non si può nemmeno mediare alle persone la sua misericordia».
«Gesù ha incontrato la donna adultera con grande compassione, ma le ha anche detto: Va’, e non peccare più (Gv 8,11). La misericordia di Dio non è una dispensa dai comandamenti di Dio e dalle istruzioni della Chiesa; anzi, essa concede la forza della grazia per la loro piena realizzazione, per il rialzarsi dopo la caduta e per una vita di perfezione a immagine del Padre celeste».
Non solo. Papa Francesco aveva acceso delle aspettative di cambiamento – sempre sull'aereo di ritorno dal Brasile – anche quando si era richiamato all'esempio delle Chiese ortodosse che nel matrimonio “permettono una seconda unione”.
Ma anche qui il pronunciamento del prefetto di dottrina ha chiuso ogni varco: «Oggi nelle Chiese ortodosse esiste una varietà di cause per il divorzio, che sono solitamente giustificate con riferimento alla oikonomìa, la clemenza pastorale per i singoli casi difficili, e aprono la strada a un secondo o terzo matrimonio con carattere penitenziale. Questa prassi non è coerente con la volontà di Dio, chiaramente espressa dalle parole di Gesù sulla indissolubilità del matrimonio. […] Talvolta si sostiene che la Chiesa [cattolica] abbia di fatto tollerato la pratica orientale, ma ciò non corrisponde al vero».
E più avanti: «Anche la dottrina della epichèia, secondo la quale una legge vale sì in termini generali, ma non sempre l’azione umana vi può corrispondere totalmente, non può essere applicata in questo caso, perché l’indissolubilità del matrimonio sacramentale è una norma di diritto divino, che non è dunque nella disponibilità autoritativa della Chiesa».
Un terzo punto su cui il pronunciamento di Müller ha voluto fare chiarezza – anche qui in riferimento implicito a parole del papa malamente interpretate – riguarda “un concetto problematico di coscienza”, utilizzato come lasciapassare alla comunione: «Sempre più spesso viene suggerito che la decisione di accostarsi o meno alla comunione eucaristica dovrebbe essere lasciata alla coscienza personale dei divorziati risposati. Questo argomento, che si basa su un concetto problematico di coscienza, è già stato respinto nella lettera della congregazione [per la dottrina della fede] del 1994. Certo, in ogni celebrazione della messa i fedeli sono tenuti a verificare nella loro coscienza se è possibile ricevere la comunione, possibilità a cui l’esistenza di un peccato grave non confessato sempre si oppone. Essi hanno pertanto l’obbligo di formare la propria coscienza e di tendere alla verità; a tal fine possono ascoltare nell’obbedienza il magistero della Chiesa, che li aiuta a non sviarsi dalla verità circa il bene dell’uomo, ma, specialmente nelle questioni più difficili, a raggiungere con sicurezza la verità e a rimanere in essa (Giovanni Paolo II, lettera enciclica Veritatis splendor, n. 64)».
«Se i divorziati risposati sono soggettivamente nella convinzione di coscienza che il precedente matrimonio non era valido, ciò deve essere oggettivamente dimostrato dalla competente autorità giudiziaria in materia matrimoniale. Il matrimonio non riguarda solo il rapporto tra due persone e Dio, ma è anche una realtà della Chiesa, un sacramento, sulla cui validità non solamente il singolo per se stesso, ma la Chiesa, in cui egli mediante la fede e il battesimo è incorporato, è tenuta a decidere».
In linea generale, il documento del prefetto della dottrina ribadisce «che, in caso di dubbi circa la validità della comunione di vita matrimoniale che si è interrotta, questi devono essere esaminati attentamente dai tribunali competenti in materia matrimoniale».
Ma Müller anche riconosce che in un contesto come l'attuale i matrimoni “invalidi” sono molto numerosi.
Esattamente come aveva fatto notare papa Francesco, sempre sull'aereo di ritorno da Rio de Janeiro, quando ricordò che il suo predecessore a Buenos Aires, il cardinale Quarracino, diceva: «Per me la metà dei matrimoni sono nulli, perché si sposano senza maturità, senza accorgersi che è per tutta la vita, perché lo fanno per convenienza sociale».
Ma se i matrimoni nulli sono in così gran numero, come potranno i tribunali diocesani esaminarli tutti, accertandone giuridicamente l'invalidità?
Müller non pone esplicitamente questa domanda, nel suo documento. Cita però un articolo di Joseph Ratzinger del 1998 ripubblicato su “L'Osservatore Romano” del 30 novembre 2011, nel quale il predecessore di papa Francesco affacciava i pro e i contro di una ipotesi di soluzione: il possibile ricorso a una decisione in coscienza di accedere alla comunione, da parte di un cattolico divorziato e risposato, qualora il mancato riconoscimento di nullità del suo precedente matrimonio (per effetto di una sentenza ritenuta erronea o per la difficoltà di provarne la nullità in via processuale) contrasti con la sua fondata convinzione che quel matrimonio sia oggettivamente nullo.
Si può presumere che il sinodo dei vescovi dell'ottobre del 2014 – al quale papa Francesco ha affidato la questione – esaminerà proprio questa “ipotesi Ratzinger” per innovare in materia, pur nella riaffermazione dell'assoluta indissolubilità del matrimonio.
Nel diffondere in sette lingue il documento di Müller, “L'Osservatore Romano” premette che sulla questione della comunione ai divorziati risposasti “si sono succeduti interventi diversi”.
L'allusione è in particolare a un testo liberalizzatore che è circolato recentemente tra il clero della diocesi tedesca di Friburgo.
Alle tendenze espresse da questo testo, Müller risponde così, nel suo documento: «Alla crescente mancanza di comprensione circa la santità del matrimonio, la Chiesa non può rispondere con un adeguamento pragmatico a ciò che appare inevitabile, ma solo con la fiducia nello Spirito di Dio, perché possiamo conoscere ciò che Dio ci ha donat (1Cor 2,12)». Il matrimonio sacramentale è una testimonianza della potenza della grazia che trasforma l’uomo e prepara tutta la Chiesa per la città santa, la nuova Gerusalemme, la Chiesa stessa, pronta come una sposa adorna per il suo sposo (Ap 21,2).
«Il Vangelo della santità del matrimonio va annunciato con audacia profetica. Un profeta tiepido cerca nell’adeguamento allo spirito dei tempi la sua propria salvezza, ma non la salvezza del mondo in Gesù Cristo. La fedeltà alle promesse del matrimonio è un segno profetico della salvezza che Dio dona al mondo: chi può capire, capisca (Mt 19,12)».
(Fonte:
Sandro Magister, www.chiesa, 23 ottobre
2013)
Nessun commento:
Posta un commento