Le parole del sindaco traducono l’esigenza di non discostarsi dalle posizioni dell’Autorità palestinese tipica dei politici locali. Secondo Baboun, infatti, le difficoltà e i problemi della città sarebbero rappresentati dall’espansione degli insediamenti ebraici e quindi, fondamentalmente, dall’“occupazione” israeliana. Ciò però non sembra spiegare in maniera convincente la diminuzione del numero dei cristiani nella città che ha dato i natali a Gesù. Nel 1948, a Betlemme, che conta circa 25 mila abitanti e si trova nella West Bank a meno di dieci chilometri da Gerusalemme, i cristiani rappresentavano l’85 per cento della popolazione, mentre adesso ammontano solo al 12 per cento.
Secondo Baboun, le ragioni di tale diminuzione vanno ricercate nell’emigrazione, dovuta al depresso contesto economico e alle migliori prospettive che si possono trovare altrove, oltre che alla minore natalità della popolazione cristiana rispetto a quella musulmana. Baboun però nega decisamente che ci siano problemi tra cristiani e musulmani, asserendo che la sola fonte di divisione del campo palestinese riguarda lo “scisma” di Hamas e la sua contrapposizione a Fatah.
Questo è un tipo di risposta alquanto corrente quando si parla pubblicamente dell’argomento cristiani con persone del luogo, che preferiscono troncare la conversazione attribuendo tutti i guai all’“ihtilal” (occupazione, in arabo) israeliana. Però, anche se è innegabile che l’attuale situazione politica nei territori palestinesi non favorisce certo il loro sviluppo economico, tuttavia non è comprensibile come a diminuire sia solo la popolazione cristiana, mentre quella musulmana continua a crescere, come si può notare dalla grande quantità di nuove costruzioni, che si possono osservare non solo a Betlemme ma anche in altre città palestinesi come Ramallah o Hebron. Quella dei cristiani appare più come una fuga che un esodo dovuto a normali flussi migratori.
Nonostante la reticenza dominante sulla condizione dei cristiani, c’è anche chi, da anni, si batte per vedere riconosciuta la perfetta parità di diritti fra la comunità cristiana e quella musulmana. Samir Qumsieh è un noto imprenditore locale, cristiano, che ha fondato, una quindicina di anni fa, il canale televisivo al Mahd TV (Natività), in cui sono trattati temi religiosi cristiani ed è trasmessa la Messa in diretta ogni domenica. Nella sua casa a Betlemme Qumsieh spiega che, sul piano dei diritti formali, non ci sono elementi di discriminazione fra le due comunità, ma, nella realtà delle cose, essi esistono. «Il nostro futuro in Terra Santa è molto incerto. Se continua così, fra vent’anni non ci saremo più», dice scoraggiato l’imprenditore palestinese.
Per Qumsieh, uno dei maggiori problemi della comunità cristiana è proprio il muro di omertà dei suoi correligionari che, per ragioni di timore e di quieto vivere, non si oppongono con la dovuta forza ai soprusi patiti per mano islamista, tranne poi, alla prima occasione, prendere la via dell’emigrazione. Il proprietario di al Mahd TV afferma, inoltre, che le autorità locali non proteggono concretamente i cristiani, diventando così complici delle vessazioni contro di loro. «Noi cristiani non avevamo avuto questo genere di problemi né sotto l’impero ottomano, né sotto gli inglesi, né sotto l’occupazione israeliana. Adesso ce li abbiamo sotto l’amministrazione dell’Autorità palestinese», dice Qumsieh.
Tra i soprusi Qumsieh elenca in primo luogo la “land mafia”, un sistema malavitoso con connivenze nelle istituzioni, tendente a sottrarre in modo violento la terra ai cristiani. Nel 2005 lui aveva presentato un dossier all’Autorità palestinese, dove aveva enumerato 93 incidenti di abusi da parte di fondamentalisti islamici e 140 casi di appropriazione indebita di terre appartenenti a cristiani con il sostegno di giudici corrotti.
Il dossier non ha avuto seguito e le malversazioni sono continuate fino a oggi. «La mafia criminale e i fondamentalisti lavorano assieme», dice Qumsieh. «Il loro scopo è quello di impadronirsi della nostra terra. In passato, quando scrivevo di questi problemi all’ex rais Yasser Arafat, almeno aveva la cortesia di rispondere, ma il presidente Mahmoud Abbas non si degna neppure di fare un cenno di risposta».
Il proprietario di al Mahd TV racconta anche dei numerosi casi di stupro e di abusi sessuali nei confronti di ragazze cristiane. «Prendete il caso di Rawan William Mansour, una ragazza di 17 anni della cittadina di Bet Sahur, a est di Betlemme, che alcuni anni fa era stata violentata da quattro membri di Fatah. Nonostante le proteste della famiglia, nessuno dei quattro è stato arrestato», spiega Qumsieh, che vuole dare voce alle giovani vittime. Racconta quindi anche del caso di due ragazze cristiane assassinate, perché accusate di essere delle prostitute e delle collaboratrici delle forze israeliane. In realtà, l’uccisione era stata perpetrata per coprire il loro precedente stupro da parte di fondamentalisti. I casi da citare sarebbero molti. Questo crea un’atmosfera di incertezza nella comunità cristiana e molte famiglie, con figlie in giovane età, qualora ne abbiamo i mezzi, preferiscono partire per l’estero.
L’imprenditore palestinese denuncia poi la crescente islamizzazione della società palestinese con la conseguente intolleranza verso i cristiani e i loro simboli. Molti imprenditori musulmani si rifiutano di offrire lavoro ai cristiani, lasciando loro come unica scelta per trovare impiego la fuga all’estero. Alcuni tassisti cristiani sono stati aggrediti da facinorosi per il semplice fatto di portare una catenina con la croce al collo. Qumsieh mostra inoltre delle t-shirt, che si trovano in vendita nel bazar di Betlemme e che presentano immagini di luoghi santi cristiani come la chiesa della Natività. In queste magliette, confezionate a Hebron e in altre città dei territori, è stata eliminata categoricamente ogni immagine della Croce.
Perfino sulle magliette “taroccate” della squadra di calcio del Barcellona, che nel suo logo presenta una croce di San Giorgio, hanno tolto a quella croce il braccio sinistro in modo da eliminare ogni riferimento cristiano. «Insomma, a certi fondamentalisti islamici fa piacere che dei turisti cristiani comprino le loro confezioni, ma non sono disposti ad accordare alcuna dignità alla loro religione», dice Qumsieh.
L’imprenditore palestinese se la prende infine con i media occidentali che, per non dispiacere all’Autorità palestinese, accettano troppo facilmente l’immagine edulcorata di rapporti idilliaci fra cristiani e musulmani, senza voler approfondire l’argomento. Infatti, parlando poi in privato con alcune famiglie cristiane che non vogliono essere identificate, queste si sono lamentate di come anche le voci più moderate fra i musulmani non siano ascoltate dai media occidentali, rafforzando così i fondamentalisti.
Queste famiglie ci raccontano la vicenda di un imam della più grande moschea di Betlemme che ha ricevuto minacce dopo avere fatto un sermone in cui lanciava un appello per porre fine alla discriminazione contro i cristiani. La situazione è seria e questo silenzio dell’Occidente, che non permette di rompere il muro di paura e di omertà, mette a rischio la sopravvivenza stessa delle comunità cristiane in Terra Santa.
(Fonte:
Roberto Barducci, Tempi, 22 dicembre 2013)
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