Tra queste, un corso di Raja Yoga, che ha il pregio di essere promosso dal centro culturale dei gesuiti, quel glorioso Antonianum [quanti bei ricordi!] che negli anni ha formato tanti giovani destinati a diventare la classe dirigente cittadina.
Ospitato nei locali di proprietà della congregazione, presso i cui uffici è raccolta anche l’iscrizione, il corso sembra abbia ottenuto un notevole successo di pubblico, tanto da segnare in breve tempo il tutto esaurito.
E in effetti, così confezionati, gli incontri ginnico-meditativi ora sorprendentemente offerti dai discepoli di sant’Ignazio (che ben altri esercizi prescriveva..) forniscono a chi è alla ricerca del proprio benessere psico-fisico i famosi “due piccioni con una fava”: l’esercizio di una pratica ascetica di tendenza (assai più chic, per esempio, della obsoleta recita di un Rosario in Chiesa) e, insieme, un accreditamento clericale buono a tacitare qualsiasi eventuale rigurgito di coscienza cristiana.
Lo yoga è una realtà articolata e proteiforme che raggruppa un insieme di metodi con cui si pretende – attraverso esercizi fisici, tecniche di respirazione e di meditazione, evocazione di formule e di concetti tratti dalla spiritualità orientale – di liberare l’anima umana da tutto il suo peso materiale e terreno e di permettere all’individuo di uscire dal mondo fenomenico per raggiungere l’Unità essenziale e fondersi con essa, tramite una sorta di narcosi psicologica.
Sovente si pensa di avere a che fare con una innocua pratica di rilassamento fisico; essa, invece, è strutturalmente intrisa di aspetti spirituali incompatibili con il credo cristiano. Chi immagina ingenuamente di frequentare un corso di ginnastica alternativa, in realtà acquista un pacchetto religioso tao-indo-buddista di facile assorbimento grazie all’illusione di una pseudo-liberazione ipnotica, e finisce per aderire a un neopaganesimo di matrice esoterica: salta così a piè pari in un altro credo, che nulla ha a che vedere con la fede cristiana.
E infatti la brochure del corso gesuita (intitolato “La via dell’equilibrio, riconciliando corpo e mente”) recita: “Lo yogin è colui che in mezzo al più profondo silenzio sa trovare l’attività ed in mezzo all’attività sa trovare il silenzio e la solitudine del deserto”, e pare che non sia più la santità la dimensione cui deve attingere il credente, ma quella di yogin, ossia maestro di yoga. La citazione proviene infatti da uno dei più grandi autori del revival dell’induismo in India, Vivekananda, propalatore internazionale della religione hindu, membro del parlamento mondiale delle religioni di Chicago (un esperimento transnazionale di ecumenismo risalente al 1893) che teorizzò oscuri sincretismi tra induismo e cristianesimo.
E del resto la locandina, a partire dalla grafica vagamente new-age, con tanto di effige del fiore di loto, non nasconde nulla: “Yoga deriva dalla radice sanscrita Yug, che significa unione”, scrive; “è un complesso di pratiche che conducono il praticante all’unione del corpo con la mente e all’unione della mente individuale con l’Infinito”. Dove per Infinito (con la i maiuscola), dentro una struttura nominalmente cattolica, dovrebbe intendersi Dio: e già qui sembra di sconfinare arditamente nel territorio dell’eresia. Ma vi si descrive poi, con dovizia di particolari, la scala di ascesa al dio-infinito articolata in otto punti, il contenuto magico-esoterico dei quali (dai “vortici mentali” alla “esperienza mistica dell’unificazione”), lungi dall’essere in qualche modo camuffato, viene sfacciatamente pubblicizzato già nel volantino targato sant’Ignazio.
Nello yoga vengono accettate teorie come quelle sui canali energetici, concetti come quelli dei meridiani e dei checkra, vengono recitati mantra, ossia formule magiche che invocano forze spirituali e idoli; si presuppone che ogni anima, nella sua natura e sostanza, sia unita nel profondo alla divinità, all’anima cosmica.
Si teorizza quindi che l’uomo, anziché l’immagine di Dio intaccata dal peccato originale, sia Dio egli stesso.
È perciò del tutto palese la trasgressione al primo comandamento, quanto evidente l’offesa al Dio trinitario. E infatti appare emblematico che nel paese d’origine dello yoga, l’India, i cristiani ne rifiutino con fermezza la pratica; la quale invece attecchisce, significativamente, in un occidente scristianizzato e sempre più prepotentemente anticristiano.
Siamo nell’orizzonte del terzo capitolo della Genesi: si delinea la superbia dell’uomo che non accetta di sottomettersi a Dio padre, di lasciarsi da Lui guidare, di mettersi nelle Sue mani in un rapporto di obbedienza filiale; dell’uomo che nega la sua creaturalità pretendendo di autodominarsi e dominare la realtà per mezzo di potenze occulte. Si realizza con ciò una inversione della relazione più profonda del nostro essere, quella con la divinità, e la distorsione del destino religioso dell’uomo per mezzo di pratiche che si impongono con il pretesto, e la pretesa, di offrirgli una liberazione.
Qui si annida il tranello che consiste nello sfruttare la sete di trascendenza e di pace interiore per carpire anime a un credo artefatto.
Intervistato su quale fosse il prezzo, in termini spirituali, di mode pervasive quali la meditazione trascendentale e lo yoga, Ratzinger rispose: “la perdita della fede e la perversione della relazione uomo‐Dio, e un disorientamento profondo dell’essere umano, cosicché alla fine l’uomo si sposa con la menzogna” ed “entra in una rete demoniaca che diventa poi molto più forte di lui”.
La circostanza che queste pratiche, opposte alla Verità rivelatasi in Gesù Cristo, siano propagandate dai gesuiti, lascia davvero perplessi e sgomenti. In questa ora di tentazione pagana profonda, anziché annunciare il Vangelo in tutta la sua semplicità e grandezza come la vera e l’unica liberazione, si cede ancora una volta alle lusinghe mondane e modaiole di una società smarrita e annoiata.
Evidentemente, quel novello mantra che serpeggia nella Chiesa – quello martellante dell’amore legibus solutus come unico parametro di azioni e reazioni del cristiano non ideologico, che viene ripetuto senza tregua dai pulpiti ai confessionali alle piazze profane – impone di accogliere felicemente il nemico in casa, con tutti gli onori.
A costo di precipitare nel sincretismo e nella apostasia.
(Fonte:
Elisabetta Frezza, Corrispondenza Romana, 23 dicembre 2013)
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