lunedì 10 febbraio 2014

Contro la spocchiosa incompetenza del culturame, le contrastate anime del cattolicesimo postconciliare

L’intollerato profumo della verità cattolica non è temuto dal portatore Ugo Frasca, uno studioso che mantiene intrepide e costose distanze dai pensieri squillanti nelle officine del sospetto ateista e nelle reggie dell’onorato Vizio, quello che fu profetizzato dal pioniere Eliogabalo, prima di diventare magnifico e universale emblema della Banca malthusiana.
In una voluminosa raccolta di saggi, “Noi Italiani“, pubblicato dal prestigioso editore napoletano Guida, Ugo Frasca osa gettare l’ombra del ridicolo su due santoni, Corrado Augias e Mauro Pesce, in attività sfrenata & pagata sul lepido palcoscenico della televisione pubblica (quella che, dietro versamento di un canone esigente, provvede all’educazione ateistica e pederastica degli italiani impertinenti e refrattari).
In obbedienza ad un alto disegno strategico, che prevede la dissacrazione del Cristianesimo e il trionfo di una fede liberata dal soprannaturale, Augias e Pesce scendono in campo impugnando  armi a misura della loro disinformazione: le smaccate sentenze, che il popolo parlante e sentenziante nei bar ha raccolto nelle cineree discariche del positivismo e del modernismo.
Nella pia convinzione di interrogare testimoni viventi, il duo Augias-Pesce dialoga, infatti, con le ossa di sentenze spolpate e messe a tacere dalla loro svelata inverosimiglianza.
I due tele-contestatori affermano, ad esempio, che Gesù non avrebbe apportato alcuna innovazione all’ebraismo. E per conferire credibilità alla loro strampalata e fossile opinione affermano, quasi facendo eco ai modernisti di prima e obsoleta generazione, che la dottrina cristiana fu elaborata nella seconda metà del secondo secolo.
Tale affermazione costringe il duo a  ignorare/occultare le contrarie testimonianze di San Paolo, di Plinio il Vecchio e di Ignazio d’Antiochia.
Ultimamente Benedetto XVI ha peraltro dimostrato che “i testi relativi all’accaduto sono contemporanei. Grazie a Paolo soprattutto veniamo condotti a ridosso degli avvenimenti. La sua testimonianza dell’Ultima Cena e quella della Risurrezione – I Corinzi 11 e 15 – risale letteralmente agli anni trenta”.
La censura delle testimonianze riguardanti la datazione dei testi non impedisce l’esecuzione da parte di Augias-Pesce di un funambolico esercizio di fanta-teologia: “le autorità ebraiche non avrebbero avuto alcuna partecipazione nella condanna di Gesù“.
Se non che in una Lettera di San Paolo, datata 40 d. C., si legge “i giudei hanno messo a morte Gesù” (I Tess. 2,15) mentre San Giovanni “mette in risalto il ruolo di capi e Sinedrio“.
Un vero infortunio di Augias-Pesce è la confusione di Gesù con il re che pronuncia – in una parabola – le parole minacciose citate dall’evangelista Luca: “E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re conduceteli qui e uccideteli davanti a me“.
In obbedienza alla legge storicista, che esige la manipolazione e la conformazione di Gesù Cristo alla figura trionfante in una data epoca, ad esempio il filosofo hegeliano, il militante socialista, il contestatore giovanile, Augias-Pesce proiettano sul Vangelo l’infame e ributtante ombra del nuovo ed universale feticcio: la sodomia.
In un altro testo (scritto in collaborazione con Remo Cacitti) si rompono e abbattono gli argini che trattengono le fandonie: “Gesù non ha mai detto di voler fondare una religione, una Chiesa, che portassero il suo nome, mai ha detto di dover morire per sanare con il suo sangue il peccato di Adamo ed Eva, per ristabilire cioè l’alleanza tra Dio e gli uomini…”
Probabilmente la radice dell’ateismo professato dall’impavido Augias è il culto della propria venerata personalità. Un culto pulsante nella notizia (da lui propalata ma non provata) secondo cui nei piani alti del Vaticano  sarebbe conservato un minaccioso dossier  su “Augias persona pericolosa“.
Pericolosa a chi? L’esistenza di prelati atterriti dal ruggito di un topo non si può escludere, dopo l’alluvione buonista scatenata dalla nuova teologia.
Tuttavia non è seriamente pensabile che la Chiesa, una società che ha resistito imperterrita  alle persecuzioni organizzate dalla superstizione regnante nell’impero romano, alle invasioni dei barbari e dei maomettani, alle guerre scatenate dal delirio di Lutero e dei principi tedeschi e ultimamente al furore di Stalin e di Hitler, tremi davanti alle sgangherate pagine del trio Augias-Pesce-Cacitti.
Non convince tuttavia la scelta di Frasca, che alla fine del suo convincente excursus ricorre alle divagazioni kantiane di Vito Mancuso per sferrare un colpo di grazia al pensiero di Augias. 
Secondo Mancuso, infatti, la prova della verità cattolica si troverebbe in una pagina (implicita) della  “Critica della ragion pura”: “crederò inevitabilmente nell’esistenza di Dio e in una vita futura, e sarò sicuro che nulla può far vacillare questa fede, poiché altrimenti risulterebbero rovesciati i miei stessi principi morali”.
La fragilità di una tale tesi, infatti, si manifesta nella paradossale conclusione che ne trae Mancuso: “l’emancipazione ambita in genere da illuminismo e idealismo tedeschi non è dalla religione e dal sacro ma da forme immature della religione e del sacro”.
La strenua e argomentata difesa delle verità di fede è sciupata dalla fuga dalle verità di ragione. Nel cedimento del credente Frasca al disordine filosofico regnante negli scritti avventurosi di Vito Mancuso, è riflesso la malattia della Chiesa post-conciliare, ossia l’incapacità e in alcuni casi l’ostinato rifiuto di conservare la tradizionale consonanza di fede e ragione.

(Piero Vassallo, Riscossa Cristiana, 9 febbraio 2014)

Nessun commento: