venerdì 30 gennaio 2009

I Lefebvriani chiedono scusa al Papa, ma ai rabbini non basta

Hanno provocato una vera e propria esplosione mediatica di polemiche, le parole di Richard Williamson, uno dei quattro vescovi della Fraternità di San Pio X a cui Benedetto XVI ha di recente revocato la scomunica. Ed era prevedibile che ciò accadesse, perché le tesi revisioniste e negazioniste del prelato lefebvriano, che in un'intervista ha affermato di non credere all'esistenza delle camere a gas, non potevano che suscitare le reazioni indignate del mondo ebraico, e non solo.La replica della Chiesa Cattolica è subito arrivata, chiara e forte. È stato il cardinale Angelo Bagnasco, nella sua prolusione al Consiglio permanente della Cei di lunedì, a precisare la posizione dell'episcopato. Il capo dei vescovi italiani ha espresso dispiacere per le dichiarazioni di Williamson circa la Shoah, aggiungendo però che si tratta di opinioni manifestate mesi fa, nonché ripudiate dalla stessa Fraternità di Pio X. Ma ciò non è bastato a frenare lo scompiglio di dichiarazioni incrociate e risentite, poiché Bagnasco ha anche definito «ingiuste» le parole pronunciate dagli ebrei italiani nei confronti del Papa. Certo, la condanna delle affermazioni del vescovo lefebvriano da parte della Chiesa è stata netta. Tuttavia questo non ha impedito a molti osservatori di obiettare sul modo in cui la vicenda è stata gestita sotto il profilo diplomatico dalla Santa Sede, specialmente nei giorni in cui si ricorda l'Olocausto e si rende omaggio alle vittime dello sterminio nazista. Per cercare di chiudere la vicenda la sala stampa della Santa Sede ha diffuso ieri sera una dichiarazione di monsignor Bernard Fellay, Superiore della Fraternità San Pio X, che stigmatizza le dichiarazioni di Williamson e chiede perdono «al Sommo Pontefice e a tutti gli uomini di buona volontà, per le conseguenze drammatiche di tale atto». « Con tristezza constatiamo - si legge nella nota di Fellay - che queste affermazioni inopportune toccano direttamente la nostra fraternità in quanto gettano discredito sulla missione della nostra comunità. Perciò io gli ho proibito, fino a nuovo ordine, ogni presa di posizione pubblica su questioni politiche o storiche». Ma il gesto della Santa Sede di rendere pubblica questa dichiarazione non è bastato per placare gli animi. Immediata è arrivata infatti la replica del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni: «Mi sembra che il termine "inopportuno" utilizzato da Fellay sia assolutamente improprio rispetto all'enormità della Shoah. Non basta mettere a tacere il singolo negazionista: vorrei sapere con molta chiarezza qual è il pensiero dei lefebvriani sulle affermazioni del Concilio Vaticano II a proposito degli ebrei. Il problema è costituito da quello che la Fraternità pensa effettivamente sulle dichiarazioni conciliari di apertura all'ebraismo e finché non si fa chiarezza resta aperto».
Oltre al vescovo Fellay anche Padre Franz Schmidberger, superiore del “distretto” tedesco della Fraternità San Pio X, ha deplorato le dichiarazioni negazioniste di Williamson e ne ha chiesto scusa. Egli fu superiore generale della Fraternità dal 1982 al 1994 e le sue parole sono più nette di quelle di Fellay. Eccole: «Come superiore del Distretto della Fraternità San Pio X in Germania, sono scosso, assieme ai miei confratelli di questo Paese, a motivo delle dichiarazioni del vescovo Williamson. Minimizzare le uccisioni di Ebrei da parte del regime nazionalsocialista e le sue atrocità è per noi inaccettabile. La persecuzione e l’assassinio di innumerevoli ebrei sotto il Terzo Reich ci colpisce in maniera estremamente dolorosa, e ferisce nel profondo il comandamento cristiano dell’amore per il prossimo che non conosce distinzioni etniche. Desidero scusarmi per questo comportamento e dissociarmi da qualunque affermazione di tal fatta. Questa presa di distanza è per noi naturale anche per il fatto che lo stesso padre dell’arcivescovo Lefebvre fu rinchiuso in un campo di concentramento tedesco, così come molti sacerdoti cattolici persero la vita in campi di prigionia di Hitler».
Se da un lato il rabbino Di Segni dava ieri l’impressione d essere più possibilista per una attenuazione delle polemiche, oggi invece il Rabbinato di Israele rincara la dose, rompendo : indefinitamente i rapporti ufficiali con il Vaticano “in seguito alla revoca della scomunica del vescovo lefevbriano Richard Williamson, che nega la Shoah”. Lo scrive il Jerusalem Post, aggiungendo che il rabbinato ha anche cancellato un incontro fissato a Roma il 2-4 marzo con la Commissione della Santa Sede per i rapporti con gli ebrei.
In una lettera indirizzata al presidente della Commissione, cardinale Walter Casper, il direttore generale del rabbinato Oded Weiner scrive che "senza scuse pubbliche e una ritrattazione, sarà difficile continuare il dialogo". Secondo una fonte del rabbinato, la lettera è giunta alla stampa israeliana prima di essere ricevuta in Vaticano e ciò potrebbe ulteriormente complicare i rapporti fra il rabbinato e la chiesa cattolica.
Il Papa dal canto suo ha espresso la sua «piena e indiscutibile solidarietà con i nostri fratelli destinatari della prima alleanza», cioè agli ebrei, e ha detto che l'Olocausto rimane un monito contro ogni oblio e negazionismo. «In questi giorni nei quali ricordiamo la Shoah, mi tornano alla memoria le immagini raccolte nelle mie ripetute visite a Auschwitz, testimonianze delle vittime innocenti di un odio razziale. Auspico che la memoria della Shoah induca l'umanità a riflettere sulla imprevedibile potenza del male quando conquista il cuore dell'uomo. La sua memoria sia per tutti monito contro l'oblio, il negazionismo e riduzionismo perché la violenza fatta contro un solo essere umano è violenza contro tutti. La Shoah insegni specialmente sia alle vecchie sia alle nuove generazioni che solo il faticoso cammino dell'ascolto e del dialogo, dell'amore e del perdono conduca i popoli, le culture e le religioni del mondo all'auspicato traguardo della fraternità e della pace nella verità. Mai più la violenza umili la dignità dell'uomo».
Per quanto riguarda i quattro vescovi ordinati nel 1988 da mons. Lefebvre senza mandato pontificio, il Papa ha detto di aver concesso «la remissione della scomunica in cui erano incorsi, proprio in adempimento al servizio verso l'unità. «Ho compiuto questo atto di paterna misericordia», ha spiegato Joseph Ratzinger, «perché ripetutamente questi presuli mi hanno manifestato la loro viva sofferenza per la situazione in cui si erano venuti a trovare. Auspico che a questo mio gesto faccia seguito il sollecito impegno da parte loro di compiere gli ulteriori passi necessari per realizzare la piena comunione con la Chiesa, testimoniando così vera fedeltà e vero riconoscimento del magistero e dell'autorità del Papa e del Concilio Vaticano II».
La Santa Sede, poi, tramite il suo portavoce padre Federico Lombardi, ha espresso l'auspicio che, anche alla luce delle parole dette dal Papa in solidarietà agli ebrei e contro il negazionismo della Shoah, il dialogo con il rabbinato di Israele possa continuare «con frutto e serenità».

(Fonti: Il Tempo online, Corriere online, Repubblica online, Avvenire online, 28 gennaio 2009)

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