venerdì 30 gennaio 2009

Quelli che non hanno bisogno di dio…

Al grande Blaise Pascal gli atei sembravano della gente strana. Scriveva infatti nel trecentotrentacinquesimo dei suoi Pensieri: “Pretendono di averci ben rallegrato, col dirci che sono sicuri che la nostra anima è solo un po' di vento e di fumo, e ancora, di dircelo con un tono di voce fiero e soddisfatto? E' questa dunque una cosa da dirsi allegramente? Non è, al contrario, cosa da dirsi con tristezza, come la cosa più triste del mondo?”.
Ma la domanda di Pascal deve essere caduta nel dimenticatoio, se in Inghilterra e in Spagna girano autobus con la scritta “Dio non esiste: smettila di preoccuparti e goditi la vita” e se in Italia una sedicente Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti ha provato a lanciare, sempre per gli autobus, uno slogan un po’ più modesto, ma molto simile: “La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno”.
In realtà non c’è nessuna buona notizia collegata al fatto che “Dio non esiste”. Lo dimostrano le grande voci dell’ateismo, che coincidono, guarda caso, con quelle del pessimismo mondiale, da Lucrezio a Leopardi, da Montale a Camus. Quelli che della notizia erano entusiasti, come Nietzsche, sono finiti in manicomio o hanno dato la stura a totalitarismi che hanno lacerato gli esseri umani come mai era avvenuto nella storia.
Celebriamo in questi giorni la Giornata della Memoria, e ricordiamo le vittime del Superuomo che si pone al di là del bene e del male, che si ribella a Dio, lo cancella dal proprio orizzonte e si sostituisce a Lui. Scusate: quale felicità hanno prodotto per l’umanità i regimi nati e prosperati (e infine crollati) sulla morte di Dio? Guardando alle atrocità di Auschwitz, delle Foibe istriane, dei genocidi di Pol Pot, di Kolima, cosa c’è da rallegrarsi? Guardando a questa nostra società odierna, che prospera sterminando i propri figli negli ospedali, e intanto si rimbecillisce di droghe, di sesso sregolato e stupri di gruppo, che riduce a merce e ad oggetti gli uomini, e che fa tutto questo nella sua splendida lontananza ed ignoranza dei precetti divini, cosa c’è da rallegrarsi?
Forse lo potranno fare quelli che si godono la movida, magari quando riescono a non pensare alla noia della loro vita. Loro possono permetterselo, a patto di avere soldi, gioventù, salute, una libertà figlia di un egoismo (e di una profonda solitudine). Non è una cosa per tutti.
A fronte di questa minoranza di privilegiati, ci sono milioni di persone nel mondo che hanno ancora bisogno di Dio, perché hanno uno sguardo sulla vita più realistico.
Odifreddi e i suoi compagni atei e razionalisti ci dicono che “non abbiamo bisogno di Dio”. E sono allegri e sereni, tanto da scriverlo anche sugli autobus. Ma la loro è una bugia, ampiamente dimostrata dalle grandi e vere voci del pensiero umano.
Mi sono trovato a rileggere insieme ai miei studenti, in questi giorni, Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo. C’è una lettera, in particolare, quella da Ventimiglia del 19-20 febbraio, in cui Foscolo tocca il nocciolo delle contraddizioni del pensiero ateo e razionalista, che all’uomo infelice (quindi ad ogni uomo, perché ogni uomo è radicalmente infelice sulla terra) è solo capace di rispondere che deve tollerare le proprie sofferenze “per gli altri”. Cioè deve essere un eroe.
Ma, obietta Iacopo-Foscolo, “chi odia la propria vita può egli amare il minimo bene che è incerto di recare alla Società e sacrificare a questa lusinga molti anni di pianto? e come potrà sperare per gli altri colui che non ha desiderj, né speranze per sé; e che abbandonato da tutto, abbandona se stesso?”. Quale bene costruire su questa terra, se non c’è bene autentico? “Non sei misero tu solo”, risponde il filosofo razionalista, ma Jacopo-Foscolo (che pure parte da posizioni atee e materialiste) risponde: “Pur troppo! ma questa consolazione non è anzi argomento dell'invidia secreta che ogni uomo cova dell'altrui prosperità? La miseria degli altri non iscema la mia. Chi è tanto generoso da addossarsi le mie infermità?”.
La domanda finale è decisiva e fa pensare subito a Uno che, ci viene detto, si è addossato tutte le nostre sofferenze, morendo e risorgendo per amor nostro. Foscolo aveva bisogno di Cristo, cercava Cristo. Questo emerge dal romanzo, dove la vita è diventata un inferno nel quale è solo possibile sognare (per citare Ludwig Wittgenstein).
Ma ve lo immaginate Odifreddi andare a dire col suo faccione sorridente al povero Jacopo: “Tranquillo, Dio non esiste e non ne hai bisogno”? Ve lo immaginate Voltaire ripetere ossessivamente, con quel suo ottimismo un po’ imbelle, che l’unica cosa che conta è coltivare il proprio orticello, dimenticandosi di tutto il resto?
Gente strana, ripeteva Pascal, scuotendo mestamente la testa. Il grande Chesterton ci andava giù più duro. Questi sono proprio pazzi, diceva; ripetono all’uomo “di pensare a quello a cui deve pensare, senza curarsi dell’Assoluto. Ma io dico che una delle cose a cui l’uomo deve pensare è precisamente l’Assoluto. Oggetto del pragmatismo sono i bisogni umani; e uno dei primi bisogni dell’uomo è quello di essere qualcosa di più di un pragmatista”.
L’esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima sono una cosa “che ci interessa così fortemente, che ci tocca così profondamente, che bisogna aver perduto ogni sensibilità per rimanere indifferenti a sapere come stiano le cose. Tutte le nostre azioni e pensieri devono prendere indirizzi talmente diversi a seconda che si avranno o non si avranno beni eterni da sperare” (Pascal).
Bisognerebbe spiegarlo ad Odifreddi e all’Unione Atei e Razionalisti. Loro non l’hanno ancora capito.

(Fonte: Gianluca Zappa, La Cittadella, 28 gennaio 2009)

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