In merito alla notizia della reazione del Vicariato di Roma all’inchiesta di Panorama sulle notti brave di alcuni sacerdoti a Roma, e sulle loro frequentazioni gay, vi propongo alcune considerazioni:
1) La mia prima reazione, nel leggere due giorni fa le anticipazioni stampa e nel vedere ieri il filmato messo in rete sul sito del settimanale, è stata quella di dire un’Ave Maria per i preti coinvolti: come sempre accade in questi casi l’anonimato non regge, le abitazioni risulteranno conoscibili per chi li frequenta; nel caso del prete di origini francesi si scorge la foto in bianco e nero di una donna, probabilmente la mamma, che speriamo non veda mai quelle immagini. Mi colpisce il fatto che, mentre nel Paese si discute animatamente sulla pubblicazione delle intercettazioni e sulla necessità di rispettare la privacy delle persone, le vite (non certo esemplari…) di questi anonimi sacerdoti vengano messe in pagina e in rete a loro insaputa e - immagino - senza il loro consenso. Non sto dicendo, ovviamente, che non si possano o non si debbano fare inchieste sull’argomento, che purtroppo offre materia e pure abbondante. Credo però esistano altri sistemi, più rispettosi delle persone. E altri stili, che non si riducono all’uso di telecamere nascoste e complici compiacenti disposti ad adescare o a farsi adescare per consumare, filmandolo, un rapporto omosex con un prete. Ricordo a questo proposito il libro Io, prete gay, scritto nel 2007 dal vaticanista Marco Politi, che ha raccolto la testimonianza, anonima, di un sacerdote omosessuale. Una lettura sconvolgente, utile per capire, ma senza alcuna concessione voyeristica o scandalistica.
2) Detto questo, però, non si può non notare l’assoluta gravità di ciò che Panorama racconta nella sua inchiesta. Vale a dire la “schizofrenia” di persone che riescono a vivere una vita assolutamente doppia, e che dopo aver consumato un rapporto omosessuale con un partner occasionale conosciuto a una festa, vestono i paramenti per celebrare messa come se niente fosse accaduto. Come se questa fosse la normalità. Vedete, non è il peccato che scandalizza e indigna. Chi è senza peccato scagli la prima pietra, aveva detto Gesù, salvando la vita a una donna che stava per essere lapidata. Non è il peccato, la debolezza, la caduta del sacerdote a scandalizzare. E non si tratta qui di disquisire sulle abitudini sessuali dei singoli individui, sulla loro libertà, etc. etc. E’ piuttosto il fatto che questo peccato da parte di alcuni preti - il venir meno all’impegno del celibato, con rapporti omo o etero - in fondo, non sia più percepito come tale. Colpisce che vi siano preti che di giorno celebrano i sacramenti, studiano nelle facoltà pontificie o svolgono attività pastorali, e la sera, dismessa la tonaca (che forse non portano) o il clergyman, frequentano i locali gay alla ricerca di un compagno per la notte. Questo sì scandalizza, perché non è una novità che vi sia chi predica bene e razzola male, ma ciò che il settimanale descrive è a mio avviso qualcosa di più grave e consolidato. Come sapete ieri, in una nota, il Vicariato di Roma ha scritto che i sacerdoti gay con una doppia vita, oggetto dell’inchiesta di Panorama, “non dovevano diventare preti» e ora, per coerenza, dovrebbero “venire allo scoperto” perché “a causa dei loro comportamenti” viene “infangata l’onorabilità di tutti gli altri”. Il rischio è quello di generalizzare, dimenticando la dedizione con cui tanti bravi e santi sacerdoti svolgono la loro missione. Il rischio è anche quello di scagliare pietre come gli scribi e i farisei, dimenticando le parole di Gesù e lo sguardo cristiano sulle miserie umane e sull’abisso del peccato, lo sguardo di chi sa di essere bisognoso della misericordia di Dio, lo sguardo di chi non si erge a giudice considerandosi perfetto e migliore degli altri. Il rischio è infine quello di credere che il problema si risolva soltanto con la “pulizia”, con colpi di ramazza, pur necessari e in molti casi auspicabili. L’inchiesta di Panorama pone infatti domande serie sui criteri di ammissione e di selezione dei seminaristi, sulla loro formazione, sull’educazione a una sessualità matura, sulla disciplina del clero, su come i preti vengono seguiti e accompagnati dai loro vescovi, su quali risposte dare al problema della solitudine e sull’anonimato così facile nelle metropoli. Ma queste sono domande a cui non si risponde con un comunicato, con l’indignazione, o con un colpo di ramazza.
[N.B. Salvo poi constatare che gli indignati e le cassandre di oggi sono gli stessi che si sono drasticamente scagliati a suo tempo – con mille invettive – contro le direttive della Chiesa che invitava i formatori nei Seminari ad escludere dal sacerdozio i candidati con tendenze gay! - Annotazione personale]
(Fonte: Blog di Andrea Tornielli, 24 luglio 2010)
Nessun commento:
Posta un commento