domenica 25 luglio 2010

Il sacerdote libero professionista

Sembra senza fine il filone boccaccesco che ha per protagonisti i preti. Adesso tocca alle “notti brave” di alcuni sacerdoti gay nell'estate di Roma, raccontate con dovizia di particolari nel numero in edicola del settimanale Panorama. Di fronte a racconti del genere c'è ben poco da dire, se non ripetere - come ricorda la nota dedicata alla vicenda dal Vicariato di Roma - che chi vive il proprio sacerdozio in questo modo getta fango su tutti. Mi permetto solo di aggiungere che getta fango non solo sui preti: qui non c'è da difendere una “categoria”, ma qualcosa di più prezioso come la credibilità delle parole, dei gesti, dei riti attraverso cui siamo chiamati a rendere visibile all'uomo di oggi il Vangelo di Gesù.
Detto questo (e aggiunta tutta la vicinanza ai tanti preti che grazie al Cielo sappiamo non essere così), c'è - però - un aspetto di questa vicenda su cui credo valga la pena di spendere qualche parola. Mi ha colpito che nella risposta all'inchiesta il Vicariato di Roma faccia riferimento alle centinaia di sacerdoti che vivono a Roma per motivi di studio ma non sono impegnati in attività pastorali del Vicariato. La nota non lo dice, ma a questi vanno poi aggiunti quelli che lavorano nei dicasteri vaticani.
Il riferimento è pertinente, perché leggendo l'inchiesta di Panorama tutto lascia pensare che i quattro sacerdoti di cui si parla non siano impegnati in una parrocchia. C'è in particolare un dettaglio sul “prete francese” di cui parla il settimanale che mi ha lasciato sconcertato ancora più delle sue frequentazioni: il fatto che di domenica celebrasse Messa dove gli pare (in casa addirittura), all'ora che gli pare e con chi gli pare. L'immagine che ne emerge è quella di un sacerdote “libero professionista”, con un ufficio da svolgere ma senza un legame con una comunità. Visto il contesto adesso è facile dargli contro. Ma siamo onesti è chiediamoci: il suo è un caso così isolato oggi a Roma? E - anche lasciando perdere per un momento tutti i discorsi su notti brave, tendenze omosessuali, festini e chi più ne ha più ne metta - l'idea di un prete che fuori dall'orario di lavoro in Curia o dalle ore di studio all'Università Pontificia si fa sostanzialmente i fatti suoi, non è già una negazione dell'identità del sacerdote?
Certo, anche in questo caso è sbagliato fare di tutta l'erba un fascio. So benissimo che ci sono tanti sacerdoti della Curia e tanti studenti delle Università Pontificie che vanno regolarmente in parrocchia o vivono in altre comunità. Però mi chiedo se sia giusto lasciare tutto questo all'iniziativa dei singoli. Quando è in diocesi un sacerdote non si costruisce il suo ministero da solo e su misura. Perché a Roma le cose oggi possono andare diversamente?
È solo una piccola domanda. Ma quel ritorno alla santità del sacerdozio, richiamata tante volte e con passione in questi mesi difficili da Benedetto XVI, non passa anche dalla correzione di queste storture?

(Fonte: Giorgio Bernardelli, Vinonuovo.it, 24 luglio 2010)

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