È
trascorsa più di una settimana dal disastro della motonave Concordia,
incagliatasi tra gli scogli del fondale marino dell’isola del Giglio. Sono
stati giorni di bilanci, di resoconti per ricostruire i minimi dettagli del
disastro e individuare le responsabilità umane. Al di là del gravissimo e
colpevole errore umano facilmente imputabile, questo disastro dimostra di fatto
che la normativa europea sulla sicurezza a bordo di navi così gigantesche non è
stata sufficiente per il banale motivo che il natante ospita troppe persone.
Come è possibile evacuare in poche ore 4.000 o 5.000 persone? Con la metà delle
scialuppe disponibili, perché l’altra metà caso mai sono inservibili a causa
del ribaltamento della nave. Non sarebbe stato meglio prevedere degli scivoli?
Che avrebbero consentito un’evacuazione più rapida e sicura.
Tanti
sono gli interrogativi che emergono. Ma uno è di capitale importanza. Ed è a
monte del disastro: progettare e costruire motonavi di questa capienza è
eticamente accettabile? Sono imbarcazioni a misura d’uomo? Gestibili
facilmente? La progettazione di queste navi è per l’uomo? Detto in altri
termini: qual è la logica, la ratio che sottostà a tali progetti?Certamente si tratta di navi pensate per far trascorrere il tempo, una o due settimane, in modo piacevole ai numerosissimi passeggeri. Ammettiamo anche che si tratti di viaggi di piacere e di gioco, tralasciando altri particolari censurabili. Ma qual è il vantaggio di concentrare in così pochi metri cubi migliaia di persone? Clienti-viaggiatori, personale di bordo e di servizio, con una densità per metro quadrato che supera quella di Hong-Kong o del comune italiano di Portici. Il vantaggio sicuro è l’abbattimento dei costi ordinari di gestione della nave, del personale e della traversata. Tutto però a discapito della sicurezza, della tutela dell’integrità fisica e della salute di chi è salito a bordo.
Queste gigantesche navi da crociera dimostrano ancora una volta che quando l’uomo ideatore, finanziatore, costruttore o proprietario, ha come obiettivo principale, se non esclusivo, la crescita esponenziale del profitto, allora non avrà alcuno scrupolo nel mettere a rischio l’esistenza fisica dei suoi simili. La ricerca del profitto fine a sé è contro l’uomo. Non solo contro i malcapitati clienti-viaggiatori, ma alla fine anche contro l’uomo che ha progettato, finanziato e costruito.
L’abilità umana che valuta, soppesa, delibera e comanda la scelta di un mezzo piuttosto che un altro si chiama prudenza. In particolare questa virtù pervade tutti gli ambiti delle azioni umane perché commisura e proporziona i mezzi che ho a disposizione con l’obiettivo che mi sono prefisso.
Ognuno di noi, se ha a cuore il buon vivere in comune, non potrà non avere come obiettivo fondamentale non solo il rispetto della propria persona e dell’altro, ma anche l’amore di amicizia e la solidarietà verso l’altro, altrimenti la convivenza civile degraderà in barbarie.
Ideare e finanziare progetti per la costruzione di grattacieli-natanti risponde all’obiettivo del profitto, e non alla tutela e al benessere della persona umana. È la stessa logica del progetto che è contraria all’uomo, e in particolare alla prudenza, mettendo gravemente a rischio la vita di migliaia di persone senza un motivo altrettanto grave.
Ammessa anche la colpevolezza del comandante della Concordia, la responsabilità prima risiede nella fase della progettazione e del relativo finanziamento. È in questa fase iniziale che ci sono stati l’errore e la colpa contrari all’uomo ed è da questa fase progettuale che l’errore e la colpa si sono estesi fino al disastro che è evidente a tutti.
(Fonte:
Giorgio Maria Carbone, La bussola quotidiana, 23 gennaio 2012)
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