martedì 24 gennaio 2012

Umberto Eco: “Il cimitero di Praga”, una noia mortale

Lo so, arrivo in ritardo. Il fatto risale ormai a un paio di mesi fa. Ma dopo averci pensato su un po', ho deciso di rivelarlo. Ebbene sì, lo confesso: non sono riuscito a finire Il cimitero di Praga di Umberto Eco. Ce l'ho messa tutta, dopo essermi risolto di acquistarlo. Ho provato ad arrivare all'ultima riga, ma alla fine mi sono arreso alla trecentocinquantaseiesima pagina. Una sconfitta, per me, che difficilmente non finisco di leggere un libro. Mi era capitato con Baricco: dopo aver divorato Oceano mare - che avevo trovato a dir poco straordinario, uno dei migliori libri che avessi mai letto - preso dall'entusiasmo avevo provato a leggere City e Seta. Li ho abbandonati entrambi dopo una manciata di pagine. Una delusione totale.
Tornando all'ultimo Eco, l'argomento mi sembrava interessante. Campo d'azione il XIX secolo, location tra Torino, Palermo e Parigi, città in cui troveremo un falsario senza scrupoli; una satanista isterica; un abate che muore due volte; alcuni cadaveri in una fogna parigina; un garibaldino che si chiamava Ippolito Nievo, scomparso in mare nei pressi dello Stromboli; il falso bordereau di Dreyfus per l’ambasciata tedesca; la crescita graduale di quella falsificazione nota come I protocolli dei Savi Anziani di Sion; gesuiti che tramano contro i massoni; massoni, carbonari e mazziniani che strangolano i preti con le loro stesse budella; un Garibaldi artritico dalle gambe storte; i piani dei servizi segreti piemontesi, francesi, prussiani e russi; le stragi in una Parigi della Comune dove si mangiano i topi; orrendi e maleodoranti ritrovi per criminali che tra i fumi dell’assenzio pianificano esplosioni e rivolte di piazza; barbe finte, falsi notai, testamenti mendaci, confraternite diaboliche e messe nere.
Non c'è che dire, materiale di prim'ordine per un romanzo d’appendice di stile ottocentesco, tra l’altro illustrato come i feuilletons di quel tempo. Anzi, a dire il vero, di roba ce n'è fin troppa. Avrei dovuto sospettare, ma, pur con titubanza e dopo lunga riflessione, ho acquistato il libro. Per scoprire, mio malgrado, che i sospetti erano fondati, vista la difficoltà a star dietro a tutto, a seguire il protagonista, che fa cose che sono state veramente fatte, anche se lo scrittore gliene attribuisce molte probabilmente compiute da altri.
Troppi intorcinamenti narrativi, troppi inutili dettagli, troppe verbose divagazioni, troppe devastanti elucubrazioni che mettono a dura prova anche il lettore più paziente e attento. Così, non per doverosa solidarietà cameratesca, ma per convinzione, devo dire che mi trovo completamente d'accordo con quanto scritto dalla brava collega Silvia Guidi su «L'Osservatore Romano» del 13 ottobre: «Troppo difficile e raffinato, inaccessibile alla massa, a quel volgo profano che, da Orazio in poi, ogni intellettuale d’élite che si rispetti si vanta di odiare e tenere accuratamente a distanza? No, solo troppo noioso. Irrimediabilmente noioso. Talmente noioso da risultare illeggibile».
La mia non è una critica ai contenuti, sebbene qualcuno vi abbia letto uno strisciante antisemitismo; né una presa di posizione a priori contro un personaggio che non ha risparmiato, anche di recente, discutibili critiche al Papa. Ho letto alti libri di Eco, che non mi sono dispiaciuti, almeno non del tutto (a scanso di equivoci chiarisco che non ho nemmeno provato a leggere Il pendolo di Foucault). La mia è una critica al romanzo in quanto tale, a come è scritto. Condivido i giudizi della liberalprogressista «Süddeutsche Zeitung» e della liberalconservatrice «Frankfurter Allgemeine Zeitung». Per il primo Il cimitero di Praga «è, nel migliore dei casi, un fallimento di alto livello, un noioso ammasso di inverosimiglianze grottesche». Mentre per il secondo «dopo le prime trecento pagine non si tratta più di un romanzo ma di uno schedario di persone, mappe stradali e bibliografia».
Niente di più vero. Del resto Eco è un fine intellettuale – illuminista e snob – che prima di tutto sembra voler compiacere se stesso di questa sua erudizione. Certamente nello scrivere questo romanzo lui si sarà divertito un mondo a dar sfoggio di enciclopedica erudizione, ma io mi sono annoiato da morire, perdendomi nei contorti meandri della sua ridondante scrittura. E mi pento di aver resistito così a lungo, sottraendo tempo a più piacevoli letture.
Insomma: se proprio volete regalare un libro, non regalate Il cimitero di Praga. A meno che non vogliate punire qualcuno. Con raffinata cattiveria.

(Fonte: Gaetano Vallini, Camera con vista, dicembre 2011)


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