sabato 18 febbraio 2012

“Oci e zenòci”

Ôci e zenòci. Lo scrivo così, alla veneta, perché così l’ho imparato, ed è in questo modo che, spesso, aggiungendoci anche il punto esclamativo finale, richiamo il mio cuore a ciò che conta.
L’espressione significa “occhi e ginocchia” e basterebbe questo per vivere da cristiani ed anche per svolgere bene il servizio in questo blog che cerco di rinnovare nei contenuti a cedenza settimanale. Ci pensavo leggendo il messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale per le comunicazioni sociali.
Oci e zenòci, ripeteva spesso il Venerabile Padre Bernardino da Portogruaro, nato 190 anni fa. Rimasto orfano di entrambi i genitori in giovane età, nel 1839 vestì l’abito francescano e il 19 marzo 1869 venne nominato da Pio IX ministro generale dell’Ordine dei frati minori.
Era, quella, un’epoca durissima per la Chiesa e per le istituzioni ecclesiastiche, a causa delle gravi conseguenze della rivoluzione francese e delle leggi napoleoniche, ma anche dell’atteggiamento anticlericale ed anticattolico dei governi che avevano soppresso molti Ordini religiosi, incamerato i loro beni e trasformato i conventi in caserme, uffici pubblici o li avevano affidati ad enti finanziari.

Non si stava tanto a filosofeggiare, in quelle condizioni: si viveva. All’epoca si imparava guardando. Si imparava dai maestri, e cioè da chi, nella quotidianità, faceva diventare carne la Parola e, con la vita, testimoniava il suo amore a Cristo e la fierezza di appartenere alla Chiesa. Senza “se” e senza “ma”.
Non si era, in quegli anni, ancora insinuato il relativismo nel pensiero dei cattolici (il razionalismo, la massoneria, il laicismo dei governi e della cultura dominante bastavano ed avanzavano!) e la frase che padre Bernardino era solito pronunciare era vera innanzitutto per lui: dava senso e consistenza alle sue giornate. Per questo era credibile!
Sono passati quasi due secoli dalla sua nascita, sono cambiate tante cose ma la Chiesa, seppur per ragioni diverse, vive la stessa sofferenza di allora e si trova nello stesso, identico stato di “emergenza”. Eppure, consapevoli di questo: del laicismo imperante, della persecuzione che subiscono i cristiani nel mondo, del relativismo che – ora sì! – anche tra i cattolici mette in discussione la possibilità di una verità vera per tutti, quanta fatica facciamo ad accogliere queste due semplici parole di Padre Bernardino e a vivere in questo suo stesso modo: osservando, vigili, la realtà, grati innanzitutto perché quotidianamente ci è ri-donata! Quanta fatica ad usare bene gli occhi per coglierne il positivo, e la bellezza che sempre la permea, anche quando pare nascosta; per discernere tra i numerosissimi stimoli che riceviamo e riconoscere e focalizzare le domande e le sollecitazioni, tra migliaia, importanti; ma anche con il coraggio di esprimere sulla realtà un giudizio, e cioè di leggerla, interpretarla non in base alle nostre opinioni, a ciò che “sentiamo”, ma alla luce della fede. E rispondere con carità ed intelligenza ai bisogni che da essa emergono.
E invece è proprio questo il nostro compito di cattolici, qualunque sia la nostra vocazione, là dove il Signore ci ha posti. Per me, qui nel blog, spalancare gli occhi e raccontare la realtà. Anche – e forse soprattutto – quella che, in buona o (più spesso) malafede i giornali più venduti, i siti più visitati, le trasmissioni di prima serata non raccontano, perché non corrisponde agli schemi del politicamente corretto, perché dis-turba. Persino – è doloroso dirlo – tanti cattolici, che per uno sciocco senso di inferiorità rispetto al “mondo”, scelgono di vivere nel grigiore sommesso di una fede nascosta o, camaleonti, si mimetizzano alla meglio, o si inchinano, ossequiosi, al pensiero dominante.
Questo, invece, ci è chiesto: andare a fondo, alle domande ultime (che sono anche le prime), e cioè alle domande “di senso”. E dare ragione della speranza che nasce dall’incontro con Cristo. E mostrare fiducia nella positività ultima della realtà. E chiarezza di giudizio.
Occorre essere, come ha ricordato il Papa, “annunciatori di speranza e di salvezza, testimoni di quell’amore che promuove la dignità dell’uomo e che costruisce giustizia e pace”.
Basterebbe questo: oci boni, e cioè occhi che vedono bene e che, nella realtà, vedono “il” bene, perché è quello che, solo, può rimandare al Bene, ed aprire porte alla speranza, e ad una vita con l’uomo e per l’uomo.
Non è piccola, dunque, la responsabilità che ci è chiesta, che è chiesta anche all’Apologeta, perché la Chiesa compie la sua opera di evangelizzazione anche tramite i mezzi di comunicazione sociale, e come ha ricordato Benedetto XVI il 27 gennaio scorso, in occasione dell'Udienza ai partecipanti alla Sessione Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, “in vaste zone della terra la fede corre il pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più alimento. Siamo davanti ad una profonda crisi di fede, ad una perdita del senso religioso che costituisce la più grande sfida per la Chiesa di oggi. Il rinnovamento della fede deve quindi essere la priorità nell’impegno della Chiesa intera ai nostri giorni”.
Ecco, allora, che prima ancora di mettersi all’opera, c’è innanzitutto bisogno di stare in ginocchio e di re-imparare a guardare la realtà da quella prospettiva. Servono i zenòci di cui parlava Padre Bernardino, perché imparare la comunicazione significa imparare il silenzio, l’ascolto, la contemplazione. Ed, anche se pare fuori moda persino tra i cattolici, invocare, in ginocchio, lo Spirito Santo, affinché ci guidi nel discernimento.
Stare in ginocchio ci ricorda che siamo solo collaboratori del piano di salvezza, ma che i fili della nostra storia e della Storia tutta li tesse un Altro. In zenòcio, rammentiamo la gerarchia delle nostre giornate e della vita, cadenzate dall’ora et labora. Viceversa non è la stessa cosa.
Prima del “fare”, dunque, bisogna ripartire dall’essere, e recuperare la dimensione della preghiera, del silenzio, della… fede.
“Oggi possiamo constatare non pochi frutti buoni arrecati dai dialoghi ecumenici”, ha infatti ricordato il Papa, “ma dobbiamo anche riconoscere che il rischio di un falso irenismo e di un indifferentismo, del tutto alieno alla mente del Concilio Vaticano II, esige la nostra vigilanza. Questo indifferentismo è causato dalla opinione sempre più diffusa che la verità non sarebbe accessibile all’uomo; sarebbe quindi necessario limitarsi a trovare regole per una prassi in grado di migliorare il mondo. E così la fede sarebbe sostituita da un moralismo, senza fondamento profondo. Il centro del vero ecumenismo è invece la fede nella quale l’uomo incontra la verità che si rivela nella Parola di Dio. Senza la fede tutto il movimento ecumenico sarebbe ridotto ad una forma di «contratto sociale» cui aderire per un interesse comune, una «prasseologia» per creare un mondo migliore”.
Usare bene oci e zenòci, come per tutta la vita ha fatto ed ha insegnato, con semplicità, il Venerabile Padre Bernardino da Portogruaro, può, ora come allora, aiutare i cattolici a comprendere il metodo con cui accostarsi alla vita, ed anche all’informazione, e a dare ascolto a papa Benedetto, che, con la chiarezza di sempre, in questo delicato compito ci guida e ci indica la strada. “Nei dialoghi non possiamo ignorare le grandi questioni morali circa la vita umana, la famiglia, la sessualità, la bioetica, la libertà, la giustizia e la pace. Sarà importante parlare su questi temi con una sola voce, attingendo al fondamento nella Scrittura e nella viva tradizione della Chiesa. Questa tradizione ci aiuta a decifrare il linguaggio del Creatore nella sua creazione. Difendendo i valori fondamentali della grande tradizione della Chiesa, difendiamo l’uomo, difendiamo il creato”.

(Rielaborazione da: Oci e zenoci di Luisella Saro, Cultura Cattolica, 30 gennaio 2012)


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