Ecco la summa dei Paolini: "E' passato un anno dall'elezione di Papa Francesco, il 13 marzo 2013, ma la sensazione è che si siano fatti enormi passi in avanti nella Chiesa, riducendo quel ritardo di 200 anni di cui parlava il cardinale Martini". In occasione di questo anniversario bisogna "riflettere sulla Chiesa del futuro, sulle prospettive aperte dalla rinuncia di Benedetto XVI, gesto profetico che ha desacralizzato la figura del Papa, e l'elezione di Bergoglio che ha rimesso al centro il Vangelo".
Il direttore di Jesus ha una grande capacità di sintesi: tante forzature in così poche righe.
Innanzitutto non è vero che la rinuncia di Benedetto XVI abbia desacralizzato la figura del Papa equiparandola a quella di un presidente di consiglio di amministrazione o di un assessore comunale. E non solo perché costoro non si dimettono mai, ma perché il Papa rimane il Vicario di Cristo. Anche Papa Francesco lo è. Esserlo o non esserlo non dipende dal colore delle scarpe che si indossano. Certamente molti hanno spinto nel senso della desacralizzazoione, ma le grandi masse di persone che vanno in piazza San Pietro all'Angelus domenicale vanno dal Papa, dal Vicario di Cristo, e non da un assessore comunale.
Che Papa Francesco sia gesuita non significa che egli debba approvare qualsiasi cosa i gesuiti di ieri e di domani dicano. Che lo Spirito Santo avesse poi in mente di realizzare il programma del cardinale Martini sembra ancora meno plausibile. Papa Bergoglio è il Papa e non un supporter del cardinale Martini. Ormai comincia a stonare questo tentativo di "gesuitizzare" il Papato. A questo, del resto, bastan padre Spadaro e La Civiltà Cattolica, non c'è bisogno che ci si mettano anche i Paolini. Ma si capisce che l'intento è di ascrivere Papa Francesco ad una corrente. I Papi, però, non partecipano a cordate.
La rinuncia di Papa Benedetto avrebbe aperto non solo all'attuazione del programma del cardinale Martini, ma anche al ritorno al Vangelo. Papa Francesco, infatti, per la rivista Jesus avrebbe rimesso al centro il Vangelo. E allora uno subito pensa che Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e soprattutto Benedetto XVI non abbiano messo al centro il Vangelo. Giovanni Paolo II verrà canonizzato nel prossimo aprile senza che avesse messo al centro il Vangelo. Papa Francesco pensa alla Chiesa del futuro, mentre i predecessori a cosa pensavano? Ma come è possibile che quanto hanno fatto e insegnato questi giganti della fede e della dottrina cristiana venga sepolto sotto queste frasi fatte e liquidato con queste banalità?
Ma sotto questa fede ridotta a slogan c'è qualcosa che abbiamo già visto. C'è il progressismo applicato alla Chiesa e l'insostenibile idea che la Chiesa di prima fosse peggiore della Chiesa di dopo solo per il fatto di essere prima. Qui la Chiesa vende la sua realtà ontologica alla storia, ossia si vende allo spirito del tempo. Ed è qui che si insinua l'equivoco della pastorale, che viene invocata per aggiornare la Chiesa ai tempi che cambiano, ma il progressismo che fa da sfondo produce inevitabilmente cambiamenti dottrinali.
Sembra un paradosso, ma non c'è frase più equivoca per un cristiano di quella che dice "al centro il Vangelo". L'abbiamo sentita innumerevoli volte - anche nella sua variante "Il Vangelo basta" - da chi, su questa base, voleva distruggere Chiesa, dottrina e tradizione.
La storia si ripete? La frattura tra il prima e il dopo, tra istituzione e carisma, tra lettera e spirito, tra il Papa Francesco reale e un Papa Francesco virtuale, è prodotta dai media e dai loro luoghi comuni, a cui partecipa purtroppo anche la rivista Jesus.
(Fonte:
Stefano Fontana, La nuova bussola quotidiana, 21 marzo 2004)
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