Ma che questa relazione dovesse restare segreta era ormai un controsenso, dopo le parole con cui papa Francesco l'aveva onorata il 21 febbraio, al termine dei due giorni di concistoro dedicati alla questione della famiglia: "Ieri, prima di dormire, ma non per addormentarmi, ho letto – ho riletto – il lavoro del cardinale Kasper e vorrei ringraziarlo, perché ho trovato profonda teologia, anche un pensiero sereno nella teologia. È piacevole leggere teologia serena. E anche ho trovato quello che sant’Ignazio ci diceva, quel 'sensus Ecclesiae', l’amore alla Madre Chiesa. Mi ha fatto bene e mi è venuta un’idea – mi scusi eminenza se la faccio vergognare –, ma l’idea è che questo si chiama 'fare teologia in ginocchio'. Grazie. Grazie".
Nel corso della sua relazione, Kasper ha detto di voler "porre solo delle domande" perché "una risposta sarà compito del sinodo in sintonia con il papa". Ma a leggere quanto egli ha detto ai cardinali, le sue sono molto più che domande, sono proposte di soluzione già solidamente congegnate. Alle quali papa Francesco ha già mostrato di voler aderire.
E sono proposte forti, un vero "cambiamento del paradigma". In particolare su quello che lo stesso Kasper ritiene il problema dei problemi, la comunione ai divorziati risposati, alla quale ha dedicato più di metà delle due ore del suo discorso.
La pietra di paragone delle proposte di Kasper è stata la Chiesa dei primi secoli, anch'essa "confrontata con concetti e modelli di matrimonio e di famiglia molto diversi da quelli predicati da Gesù".
Di fronte alla sfida del presente, Kasper ha premesso che "la nostra posizione oggi non può essere un adattamento liberale allo 'status quo', ma una posizione radicale che va alle radici, che va al Vangelo".
Per verificare se ciò sia vero o no – per diversi cardinali intervenuti nel dibattito no – ecco qui di seguito i passaggi cruciali della relazione:
IL
PROBLEMA DEI DIVORZIATI RISPOSATI (di Walter Kasper)
«[…]
Non basta considerare il problema solo dal punto di vista e dalla prospettiva
della Chiesa come istituzione sacramentale. Abbiamo bisogno di un cambiamento
del paradigma e dobbiamo – come lo ha fatto il buon Samaritano – considerare la
situazione anche dalla prospettiva di chi soffre e chiede aiuto.Tutti sanno che la questione dei matrimoni di persone divorziate e risposate è un problema complesso e spinoso. […] Che cosa può fare la Chiesa in tali situazioni? Non può proporre una soluzione diversa o contraria alle parole di Gesù. L’indissolubilità di un matrimonio sacramentale e l’impossibilità di nuovo matrimonio durante la vita dell’altro partner fa parte della tradizione di fede vincolante della Chiesa che non può essere abbandonata o sciolta richiamandosi a una comprensione superficiale della misericordia a basso prezzo. […] La domanda è dunque come la Chiesa può corrispondere a questo binomio inscindibile di fedeltà e misericordia di Dio nella sua azione pastorale riguardo i divorziati risposati con rito civile. […]
Oggi ci troviamo in una situazione simile a quella dell’ultimo Concilio. Anche allora esistevano, per esempio sulla questione dell’ecumenismo o della libertà di religione, encicliche e decisioni del Sant’Uffizio che sembravano precludere altre vie. II Concilio senza violare la tradizione dogmatica vincolante ha aperto delle porte. Ci si può chiedere: non è forse possibile un ulteriore sviluppo anche nella presente questione? […]
Mi limito a due situazioni, per le quali in alcuni documenti ufficiali vengono già accennate delle soluzioni. Desidero porre solo delle domande limitandomi ad indicare la direzione delle risposte possibili. Dare però una risposta sarà compito del Sinodo in sintonia con il papa.
PRIMA SITUAZIONE
"Familiaris consortio" afferma che alcuni divorziati risposati sono in coscienza soggettivamente convinti che il loro precedente matrimonio irrimediabilmente spezzato non è mai stato valido. […] Secondo il diritto canonico la valutazione è compito dei tribunali ecclesiastici. Poiché essi non sono "iure divino", ma si sono sviluppati storicamente, ci si domanda talvolta se la via giudiziaria debba essere l’unica via per risolvere il problema o se non sarebbero possibili altre procedure più pastorali e spirituali.
In alternativa si potrebbe pensare che il vescovo possa affidare questo compito a un sacerdote con esperienza spirituale e pastorale quale penitenziere o vicario episcopale.
Indipendentemente dalla risposta da dare a tale domanda, vale ricordare il discorso di papa Francesco rivolto il 24 gennaio 2014 agli officiali del tribunale della Rota Romana, nel quale afferma che dimensione giuridica e dimensione pastorale non sono in contrapposizione. […] La pastorale e la misericordia non si contrappongono alla giustizia ma, per così dire, sono la giustizia suprema, poiché dietro ogni causa esse scorgono non solo un caso da esaminare nell’ottica di una regola generale, ma una persona umana che, come tale, non può mai rappresentare un caso e ha sempre una dignità unica. […] Davvero è possibile che si decida del bene e del male delle persone in seconda e terza istanza solo sulla base di atti, vale a dire di carte, ma senza conoscere la persona e la sua situazione?
SECONDA SITUAZIONE
Sarebbe sbagliato cercare la soluzione del problema solo in un generoso allargamento della procedura di nullità del matrimonio Si creerebbe così la pericolosa impressione che la Chiesa proceda in modo disonesto a concedere quelli che in realtà sono divorzi. […] Pertanto dobbiamo prendere in considerazione anche la questione più difficile della situazione del matrimonio rato e consumato tra battezzati, dove la comunione di vita matrimoniale si è irrimediabilmente spezzata e uno o entrambi i coniugi hanno contratto un secondo matrimonio civile.
Un avvertimento ci ha dato la congregazione per la dottrina della fede già nel 1994 quando ha stabilito – e papa Benedetto XVI lo ha ribadito durante l’incontro internazionale delle famiglie a Milano nel 2012 – che i divorziati risposati non possono ricevere la comunione sacramentale ma possono ricevere quella spirituale. […]
Molti saranno grati per questa risposta, che è una vera apertura. Essa solleva però diverse domande. Infatti, chi riceve la comunione spirituale è una cosa sola con Gesù Cristo. […] Perché, quindi, non può ricevere anche la comunione sacramentale? […] Alcuni sostengono che proprio la non partecipazione alla comunione è un segno della sacralità del sacramento. La domanda che si pone in risposta è: non è forse una strumentalizzazione della persona che soffre e chiede aiuto se ne facciamo un segno e un avvertimento per gli altri? La lasciamo sacramentalmente morire di fame per- ché altri vivano?
La Chiesa dei primordi ci dà un’indicazione che può servire come via d’uscita dal dilemma, alla quale il professor Joseph Ratzinger ha già accennato nel 1972. […] Nelle singole Chiese locali esisteva il diritto consuetudinario in base al quale i cristiani che, pur essendo ancora in vita il primo partner, vivevano un secondo legame, dopo un tempo di penitenza avevano a disposizione […] non un secondo matrimonio, bensì, attraverso la partecipazione alla comunione, una tavola di salvezza. […]
La domanda è: Questa via al di là del rigorismo e del lassismo, la via della conversione, che sfocia nel sacramento della misericordia, il sacramento della penitenza, è anche il cammino che possiamo percorrere nella presente questione?
Un divorziato risposato: 1. se si pente del suo fallimento nel primo matrimonio, 2. se ha chiarito gli obblighi del primo matrimonio, se è definitivamente escluso che torni indietro, 3. se non può abbandonare senza altre colpe gli impegni assunti con il nuovo matrimonio civile, 4. se però si sforza di vivere al meglio delle sue possibilità il secondo matrimonio a partire dalla fede e di educare i propri figli nella fede, 5. se ha desiderio dei sacramenti quale fonte di forza nella sua situazione, dobbiamo o possiamo negargli, dopo un tempo di nuovo orientamento, di "metanoia", il sacramento della penitenza e poi della comunione?
Questa possibile via non sarebbe una soluzione generale. Non è la strada larga della grande massa, bensì lo stretto cammino della parte probabilmente più piccola dei divorziati risposati, sinceramente interessata ai sacramenti. Non occorre forse evitare il peggio proprio qui? Infatti, quando i figli dei divorziati risposati non vedono i genitori accostarsi ai sacramenti di solito anche loro non trovano la via verso la confessione e la comunione. Non mettiamo in conto che perderemo anche la prossima generazione, e forse pure quella dopo? La nostra prassi collaudata, non si dimostra controproducente? […]
LA PRATICA DELLA CHIESA DEI PRIMORDI
Secondo il Nuovo Testamento, l’adulterio e la fornicazione sono comportamenti in fondamentale contrasto con l’essere cristiani. Così, nella Chiesa antica, accanto al- l’apostasia e all’omicidio, tra i peccati capitali, che escludevano dalla Chiesa, c’era anche l’adulterio. […] Sulle relative questioni esegetiche e storiche esistono una letteratura ampia, tra la quale è quasi impossibile orientarsi, e interpretazioni differenti. Si possono citare per esempio da una parte G. Cereti, "Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva", Bologna 1977, 2013, e dall’altra H. Crouzel, "L’Eglise primitive face au divorce", Paris 1971, e J. Ratzinger, […] 1972, [riprodotto] su "L'Osservatore Romano" del 30 novembre 2011.
Non può però esserci alcun dubbio sul fatto che nella Chiesa dei primordi, in molte Chiese locali, per diritto consuetudinario c’era, dopo un tempo di pentimento, la pratica della tolleranza pastorale, della clemenza e dell’indulgenza.
Sullo sfondo di tale pratica va forse inteso anche il canone 8 dei Concilio di Nicea (325), rivolto contro il rigorismo di Novaziano. Questo diritto consuetudinario viene espressamente testimoniato da Origene, che lo ritiene non irragionevole. Anche Basilio il Grande, Gregorio Nazianzeno e alcuni altri vi fanno riferimento. Spiegano il “non irragionevole” con l’intenzione pastorale di “evitare di peggio”. Nella Chiesa latina, per mezzo dell’autorità di Agostino questa pratica venne abbandonata a favore di una pratica più severa. Anche Agostino, però, in un passo parla di peccato veniale. Non sembra quindi aver escluso in partenza ogni soluzione pastorale.
Anche in seguito la Chiesa d’Occidente, nelle situazioni difficili, per le decisioni dei sinodi e simili ha sempre cercato, e anche trovato, soluzioni concrete. Il Concilio di Trento […] ha condannato la posizione di Lutero, ma non la pratica della Chiesa d’Oriente. […]
Le Chiese ortodosse hanno conservato, conformemente al punto di vista pastorale della tradizione della Chiesa dei primordi, il principio per loro valido dell’oikonomia. A partire dal VI secolo, però, facendo riferimento al diritto imperiale bizantino, sono andate oltre la posizione della tolleranza pastorale, della clemenza e dell’indulgenza, riconoscendo, insieme alle clausole dell’adulterio, anche altri motivi di divorzio, che partono dalla morte morale e non solo fisica del vincolo matrimoniale.
La Chiesa d’Occidente ha seguito un altro percorso. Esclude lo scioglimento del matrimonio sacramentale tra battezzati rato e consumato, conosce però il divorzio per il matrimonio non consumato, così come, per il privilegio paolino e petrino, per i matrimoni non sacramentali. Accanto a ciò ci sono le dichiarazioni di nullità per vizio di forma; a questo proposito ci si potrebbe però domandare se non vengono messi in primo piano, in modo unilaterale, punti di vista giuridici storicamente molto tardivi.
J. Ratzinger ha suggerito di riprendere in modo nuovo la posizione di Basilio. Sembrerebbe essere una soluzione appropriata, che è anche alla base di queste mie riflessioni. Non possiamo fare riferimento all’una o all’altra interpretazione storica, che rimane sempre controversa, e nemmeno replicare semplicemente le soluzioni della Chiesa dei primordi nella nostra situazione, che è completamente diversa. Nella mutata situazione attuale possiamo però riprenderne i concetti di base e cercare di realizzarli al presente, nella maniera che è giusta ed equa alla luce del Vangelo».
(Fonte:
Sandro Magister, www.chiesa, 1 marzo 2014)
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