I titoli dei giornali, a cominciare dallo stesso Corriere della Sera, puntano su questa o quell’affermazione contenuta nell’intervista («Non sono superman», «Benedetto XVI parteciperà alla vita della Chiesa», «Sulle unioni civili bisogna decidere caso per caso», «Ho mandato una lettera al presidente cinese Xi Jinping», «Non ho mai compreso l’espressione valori non negoziabili»). Tutte cose di cui si può discutere, per carità, ma se non vengono lette alla luce dell’esigenza della conversione, se ne perde il reale significato.
Conversione è «il ritorno a Dio con tutto il cuore», dice il Papa, è fare un’esperienza profonda di comunione con Dio che ci libera dal male in cui siamo immersi. Questo è anche il punto di interesse della Quaresima per il mondo. Il cristianesimo è Dio che si fa uomo, è la religione dell'Incarnazione, vale a dire che l’uomo è abbracciato in ogni sua dimensione, personale e di popolo; la fede è vera se giudica ogni cosa, dalle vicende personali ai grandi fatti della politica e della cronaca. Per questo è rilevante oggi parlare della Quaresima, perché essa – con il suo invito a volgere con più attenzione lo sguardo a Dio – ci richiama alla verità più profonda del male che vediamo intorno a noi: la nostra crisi economica e politica, le gravi tensioni in Ucraina e Venezuela, la conflittualità interminabile in Medio Oriente con la tragica guerra in Siria. Ovunque intorno a noi – e in noi - sembra trionfare il male, la Quaresima ci indica la strada per uscirne, con le sue tre condizioni che ieri la liturgia ci ha ricordato: preghiera, digiuno, elemosina.
Anche quando papa Francesco risponde sul tema dei tanti fallimenti familiari, con separazioni, divorzi e a volte successivi matrimoni, non chiede un semplice venire incontro alla mentalità del mondo, come qualcuno intende suggerire, ma chiede espressamente di «riflettere molto in profondità» perché «è alla luce della riflessione profonda che si potranno affrontare seriamente le situazioni particolari». Dunque è solo un cuore pienamente immerso in Dio che sa indicare la strada alla santità per ognuno, qualsiasi sia la condizione in cui si trova.
Questo criterio permette di affrontare con più profitto anche la lettura di una qualsiasi intervista concessa dal Papa a un giornale: da una parte essa non è magistero – come abbiamo più volte spiegato – e dall’altra, proprio per il genere letterario usato, può anche rivelarsi fonte di opposte interpretazioni. Da questo punto di vista neanche l’intervista concessa al direttore de Il Corriere della Sera poteva fare eccezione, anche perché lo spazio di 4-5 righe di risposta a ogni domanda, mal si concilia con una seria argomentazione di cui tanti problemi avrebbero bisogno (ma a proposito, è proprio sicuro che dal punto di vista pastorale le interviste siano lo strumento più efficace?).
Ad ogni modo tra le cose meritevoli, vale almeno riprendere la questione dei “valori non negoziabili”, come vengono definiti nell’intervista, perché è certamente l’affermazione con maggiori possibilità di equivoci. A precisa – e malposta – domanda, il Papa risponde che non ha «mai compreso l’espressione valori non negoziabili. I valori sono valori e basta, non posso dire che tra le dita di una mano ve ne sia una meno utile di un’altra. Per cui non capisco in che senso vi possano essere valori negoziabili».
La questione è importante perché con l’avvento di papa Bergoglio tanti sacerdoti, giornalisti, intellettuali che fino a pochi giorni prima amavano teorizzare la disobbedienza, sono diventati improvvisamente papisti al grido di “Basta con i valori non negoziabili”, come se Giovanni Paolo II e Benedetto XVI non avessero mai fatto altro che parlare di aborto, famiglia, libertà di educazione. Solo che la risposta data dal Papa al direttore del Corriere della Sera va nella direzione opposta a quella auspicata da costoro: in generale infatti essi con quell’espressione intendono che “tutto è negoziabile”, dalla vita all’indissolubilità del matrimonio, o almeno lecito in una società laica (e infatti alla fine appoggiano di tutto, dalle unioni omosessuali in giù). Al contrario, la risposta data dal Papa sembrerebbe suggerire l’esatto contrario, ovvero che nessun valore in quanto tale è negoziabile. E se la questione rimane sul piano dei valori, questa affermazione è corretta.
Ma la questione della "non negoziabilità" si gioca su un altro piano, e non è un’invenzione di Benedetto XVI, che ha solo formulato in maniera originale ciò che è assodata tradizione della Dottrina sociale della Chiesa. Il piano non è infatti quello dei “valori”, ma dei “princìpi”, perché si riferiscono proprio ai fondamenti di una società, alle fondamenta che poi danno significato a tutti gli altri valori che concorrono al bene comune. Si tratta di quei princìpi strettamente legati alla natura umana, alla dignità dell’uomo, che non può essere violata senza grave danno per la società intera. E’ bene ricordare al proposito un passaggio esplicativo del discorso ai partecipanti a un convegno del Partito Popolare Europeo il 30 marzo 2006, in cui Benedetto XVI affronta chiaramente l’argomento: “Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, l'interesse principale dei suoi interventi nell'arena pubblica è la tutela e la promozione della dignità della persona e quindi essa richiama consapevolmente una particolare attenzione su principi che non sono negoziabili. Fra questi ultimi, oggi emergono particolarmente i seguenti:
- tutela della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale;
- riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio, e sua difesa dai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale;
- tutela del diritto dei genitori di educare i propri figli.
Questi principi non sono verità di fede anche se ricevono ulteriore luce e conferma dalla fede. Essi sono iscritti nella natura umana stessa e quindi sono comuni a tutta l'umanità. L'azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone,
prescindendo dalla loro affiliazione religiosa. Al contrario, tale azione è tanto più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal compresi perché ciò costituisce un'offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia stessa”.
Altre questioni non è che siano meno importanti, ma possono esserci strade diverse per arrivarci. Tanto per intenderci: anche il diritto al lavoro è legato alla natura dell’uomo, come ha ben spiegato Giovanni Paolo II nell’enciclica Laborem Exercens, ma i modi in cui può essere realizzato sono diversi, sono tentativi umani, opinabili, a volte contrastanti, di raggiungere uno stesso fine. Al contrario, il no all’aborto e all’eutanasia, il riconoscimento giuridico della sola famiglia naturale fondata sul matrimonio tra uomo e donna, il diritto-dovere dei genitori di educare i propri figli sono principi che non ammettono cedimenti né margini di compromesso, per il bene della società.
Nessuno può pensare seriamente che l’annuncio cristiano debba partire da qui, e il primo a esserne convinto è Benedetto XVI che, infatti, ha dedicato le prime encicliche del suo pontificato alla Carità e alla Speranza, e inoltre tanto si è speso per dimostrare la storicità dei Vangeli. Ma proprio perché il cristianesimo è Incarnazione non possono essere ignorati i princìpi che fondano una società, anche perché l’inosservanza dei princìpi non negoziabili è il fattore di maggiore impoverimento di un popolo.
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