sabato 25 luglio 2009

“Le favole non dette” di Vladimir Luxuria. Era molto meglio non scriverle!

Peccato! Sembrava che la corsa ad ostacoli di Vladimir Luxuria - al secolo Vladimiro Guadagno - non dovesse conoscere pause, né insuccessi. Il «transgender più famoso d’Italia» - parola del risvolto di copertina - dopo aver neutralizzato tonnellate di atavici pregiudizi era riuscito, nell’ordine: a diventare un simbolo di riscatto per folle di discriminati; a conquistare un seggio a Montecitorio; a ridicolizzare le muffitissime polemiche di chi, alla Camera, avrebbe voluto vietargli il bagno delle signore; a trionfare sull’Isola dei famosi; e infine a scampare al fuoco amico di Marco Travaglio, che parla male di tutti e quando va in tivvù ha l’aria di qualcuno che al momento di accomiatarsi rifiuterà di stringere la mano al conduttore.Se «la grande personalità è il frutto di una serie ininterrotta di azioni ben riuscite», come affermava Fitzgerald nel Great Gatsby, pochi dubbi che Vladimir stesse dandosi da fare per ricadere sotto la categoria. E invece...È proprio vero, è la letteratura che ci sputtana. Pubblicare dei racconti «morali» (Le favole non dette, Bompiani, pagg. 202, euro 16,50) è stato un gesto suicida. Vedi, Vladimir, i fratelli Goncourt rivelano che un giorno Flaubert si accorse, orripilato, che in Madame Bovary comparivano due genitivi l’uno dietro l’altro. Aveva scritto «...un bouquet de fleurs d’oranger», un mazzetto di fiori d’arancio. La scoperta lo sconvolse, si ammalò, e alla fine ne morì. Comprendi, ora, alla porta di quale inferno hai deciso di bussare? E tu cosa fai, per non essere incenerito? Grammatica presa in prestito ad un’altra lingua, probabilmente non indoeuropea («non capisco il limite delle mie acque»; «agitavano la coda in festa che quasi si dividevano in due»), tendenza alla pletora («uscì fuori»: si è mai visto qualcuno uscire dentro?) e sintassi da matita blu («un rampicante di glicine che quando era in fiore il suo profumo inebriava...»). Il tutto condito da valanghe di cacofonie, di aggettivi ed avverbi inutili e da un profluvio di «quello», «suo», «proprio». In una pagina, otto occorrenze di «tutto»: l’editor dormiva, o con la testa era già in spiaggia?Ecco il punto: il problema non è Vladimir Luxuria. È la Bompiani. Diavolo, in catalogo avete Moravia. Vi rendete conto che una sciatteria così sfacciata, quasi proterva, dimostra che la grande editoria italiana si muove ormai disinvoltamente nell’ambito della semi-professionalità? Dite la verità: ve ne infischiate, tanto non esistono più lettori capaci di accorgersene, e men che meno di scandalizzarsi? Risposta satanica prevista: gli editor bravi? In Italia costano più delle figuracce, quindi il gioco non vale la candela.

(Fonte: Il Giornale, 25 luglio 2009)

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