Nell’enciclica “Caritas in veritate”, Benedetto XVI ha dedicato un intero capitolo alla “Populorum progressio”, la grande enciclica sociale di Paolo VI, pubblicata nel 1967.
E a sorpresa – ma non troppo, per gli intenditori – ha lodato assieme a quell’enciclica un altra famosa enciclica di Paolo VI, la “Humanae vitae”: in quanto anch’essa “molto importante per delineare il senso pienamente umano dello sviluppo proposto dalla Chiesa”.
“La ‘Humanae vitae’ – ha spiegato Benedetto XVI al n. 13 della ‘Caritas in veritate’ – indica i forti legami esistenti tra etica della vita ed etica sociale, inaugurando una tematica magisteriale che ha via via preso corpo in vari documenti, da ultimo nell’enciclica ‘Evangelium vitae’ di Giovanni Paolo II. La Chiesa propone con forza questo collegamento tra etica della vita e etica sociale nella consapevolezza che non può avere solide basi una società che – mentre afferma valori quali la dignità della persona, la giustizia e la pace – si contraddice radicalmente accettando e tollerando le più diverse forme di disistima e violazione della vita umana, soprattutto se debole ed emarginata”.
Come glossa a questo passaggio della “Caritas in veritate”, va ricordato che lo stesso Paolo VI era arciconvinto del legame indissolubile tra la “Populorum progressio” e la “Humanae vitae”. Il 29 giugno del 1978, ultimo suo anno di vita, lo mise in luce così, in un’omelia che fu come un bilancio del suo pontificato:
«Noi consideriamo imprescindibile la difesa della vita umana. Il Concilio Vaticano II ha ricordato con parole gravissime che “Dio, padrone della Vita, ha affidato agli uomini l’altissima missione di proteggere la vita”! (Gaudium et spes, 51). E noi, che riteniamo nostra precisa consegna l’assoluta fedeltà agli insegnamenti del Concilio medesimo, abbiamo fatto programma del nostro pontificato la difesa della vita, in tutte le forme in cui essa può esser minacciata, turbata o addirittura soppressa.
«Rammentiamo anche qui i punti più significativi che attestano questo nostro intento.
«Abbiamo anzitutto sottolineato il dovere di favorire la promozione tecnico-materiale dei popoli in via di sviluppo, con l’enciclica ‘Populorum progressio’ del 26 marzo 1967.
«Ma la difesa della vita deve cominciare dalle sorgenti stesse della umana esistenza. È stato questo un grave e chiaro insegnamento del Concilio, il quale, nella costituzione pastorale ‘Gaudium et spes’, ammoniva che “la vita, una volta concepita, dev’essere protetta con la massima cura; e l’aborto come l’infanticidio sono abominevoli delitti” (51). Non abbiamo fatto altro che raccogliere questa consegna quando, dieci anni fa, promanammo l’enciclica ‘Humanae Vitae’: ispirato all’intangibile insegnamento biblico ed evangelico, che convalida le norme della legge naturale e i dettami insopprimibili della coscienza sul rispetto della vita, la cui trasmissione è affidata alla paternità e alla maternità responsabili, quel documento è diventato oggi di nuova e più urgente attualità per i ‘vulnera’ inferti da pubbliche legislazioni alla santità indissolubile del vincolo matrimoniale e alla intangibilità della vita umana fin dal seno materno. Di qui le ripetute affermazioni della dottrina della Chiesa cattolica sulla dolorosa realtà e sui penosissimi effetti del divorzio e dell’aborto, contenute nel nostro magistero ordinario come in particolari atti della competente congregazione. Noi le abbiamo espresse, mossi unicamente dalla suprema responsabilità di maestro e di pastore universale, e per il bene del genere umano!».
Un’altra glossa. Come si sa, la “Humanae vitae” fu pubblicamente contestata da un gran numero di cardinali, vescovi, religiosi, teologi, fedeli dei paesi ricchi, mentre nel Terzo Mondo se ne capiva e valorizzava la validità sociale. Quel fronte del rifiuto “opulento” è attivo anche oggi. L’ultimo suo fuoco è stato il libro “Conversazioni notturne a Gerusalemme”, del cardinale Carlo Maria Martini.
(Fonte: Sandro Magister, Settimo Cielo, 7 luglio 2009)
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