martedì 21 giugno 2011

Perché la politica si piega alle "voglie" di Heater Parisi e Gianna Nannini

Mamme a 50 anni. Perché no? Heather Parisi può, perfino due gemelli. Gianna Nannini di anni ne ha 56. Giornali e media sono un fiorir di botox e lifting perché, se ti senti giovane, devi anche apparirlo, ti spiegano. E la vita si allunga, le donne a 50anni credono in se stesse, sono più mature, più consapevoli (che hanno mai fatto prima, ci si chiede?). Magari hanno cambiato partner, e desiderano un figlio da quello nuovo, mica si può star dietro all’orologio biologico.
Se poi la fortuna di essere madre non ti ha baciata naturalmente, e ti svegli tardi a volere un pargoletto in casa, perché porre un limite di età alla procreazione assistita? Un certo Antinori, mi pare, scandalizzò parecchio, anni fa, perché aiutò a partorire una sessantatreenne, in un tal paese dell’ex blocco sovietico.
Dunque si aggiorna, sta al passo coi tempi anche la Regione Veneto, modificando i limiti di accesso alle tecniche di procreazione assistita: 50 anni per le donne, 65 per gli uomini (attendiamo qualche indignazione postfemminista per la palese violazione delle pari opportunità. Perché non mamme a 65 anni, vale forse meno il sesso femminile?).
Provvedimento sia per le coppie infertili, sia le coppie che dopo un anno di tentativi non riescono ad ottenere risultati. A parte la finezza di considerare un figlio un risultato, un anno di tentativi mi pare un po’ poco. In fondo si tratta di dodici mesi, dodici ovulazioni, basta un po’ di stress, una virosi, il trasloco o la nonna che s’ammala, e si perde il momento magico. Forse ci si può dare una chance ai supplementari.
Ma stupisce la giustificazione che dà l’Assessore alla Sanità, spiegando che si tratta di “motivi umanitari”. Siamo abituati a impiegare il termine quando vediamo barconi sfondati approdare alle nostre coste, carichi di persone distrutte e assetate, in cerca di casa. O per discutibili azioni paramilitari, che chi è in buona fede pensa possano sostenere le popolazioni di paesi in guerra. Ma i motivi umanitari perché a 50 anni ti salta per il capo il grillo che sussurra: un bebè! Scattano i motivi umanitari quando si tratta di sopperire a una mancanza di diritti: ma un figlio è un diritto? Pare proprio di sì.
E’ la stessa concezione che sottende alle pretese genitoriali delle coppie omosessuali. Capitava, prima che si cominciasse a gridare “il corpo è mio e me lo gestisco io”, che una donna restasse incinta un po’ in là con gli anni. Figli della menopausa, si diceva. Si alzavano gli occhi al cielo, si levava qualche preghiera, perchè tutto andasse bene, e quel bimbo nascesse sano, che bastassero forze e gli anni per crescerlo e vederlo crescere.
La medicina di “scienza e coscienza” sa bene i rischi di parti prematuri, di malformazioni fetali, di eventi avversi per la madre, che aumentano con gravidanze in età avanzata, perché la natura viene forzata.
La tecnologia basta a garantire i “risultati”? E anche fosse, è moralmente corretto, giusto, porre la scienza a servizio dei capricci dell’uomo? E’ l’eterna presunzione di onnipotenza faustiana, che sfonda ogni limita e ci ha portato alla compravendita e all’affitto di uteri, ovuli, spermatozoi. Voglio, quindi posso, quindi devo.
O forse, è solo stupidità. Degli aspiranti genitori immaturi fino alla maturità, non aiutati a vivere al tempo giusto l’età fertile, ad aprirsi ad altre forme di maternità e paternità, non meno utili e gratificanti. Dei medici disposti a tanto, sia a carico del servizio sanitario nazionale, sia con lauti compensi privati (sappiamo che spesso le due cose vanno insieme: quante visite ed ecografie ed esami supplementari, a pagamento, sarà propensa a fare una madre anziana per placare le sue ansie…).
Degli amministratori della cosa pubblica, pronti ad andar dietro al vento della moda, dell’abitudine, del così fan tutti, per qualche consenso in più. Per evitare i viaggi della speranza in paesi con legislazioni più morbide in fatto di procreazione assistita, spiegano. Dunque, se una legge è giusta, pieghiamo la legge, per assecondare chi la scavalca. E’ un buon metodo?
Si richiede da parte dell’Istituto Superiore di Sanità un documento dei referenti delle regioni in quest’ambito per fissare il limite di età a 43 anni, in tutta Italia. E’ il minimo, regole chiare e uguali dappertutto. O gli ospedali e le cliniche venete desiderano trasportare il turismo della provetta a casa loro, invece che oltreconfine? Decine di bambini, che potranno crescere con i loro genitori, giocare con loro, magari poter far conoscere le loro fidanzate/i, sperano, e sentitamente ringraziano.

(Fonte: Monica Mondo, Il Sussidiario.net, 17 giugno 2011)


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