''Non capisco le canzonette in chiesa'', durante le celebrazioni liturgiche. Lo ha detto il maestro Riccardo Muti, che a Trieste ha ricevuto la cittadinanza onoraria.
''La storia della musica deve molto alla Chiesa e non mi riferisco solo al periodo gregoriano che è strepitoso, ma anche ai giorni nostri. Ora io non capisco le chiese, tra l'altro quasi tutte fornite di organi strepitosi, dove invece si suonano le canzonette - ha detto -. Probabilmente questo è stato apprezzato all'inizio come un modo di avvicinare i giovani, ma è un modo semplicistico e senza rispetto del livello di intelligenza delle persone.Perché allora - precisa - mettere quattro cinque ragazzi di buona volontà a strimpellare delle chitarre o degli strumenti a plettro con testi che non commento? E poi - ha continuato Muti - se si sente l'Ave Verum di Mozart in chiesa, sicuramente anche la persona più semplice, più lontana dalla musica può essere trasportata in una dimensione spirituale. Ma se sente invece canzonette è come stare in un altro posto''.Soffermandosi, invece, sugli spirituals, Muti ha osservato che ''questa è un'altra cosa, un altro livello, è un'altra cultura: antica e profonda, cantano e danzano con il corpo. E comunque è una cosa che non ci appartiene. Quello che ci è appartenuto con Perosi, Rossini e Verdi sono cose importantissime per la chiesa e per lo spirito. Perché tutto questo sta sparendo quando è nostro patrimonio di cui se ne sta impadronendo altre nazioni? La Cina oggi ha milioni di pianisti e violinisti con le fabbriche di strumenti che si sono centuplicate, e si sta impossessando della nostra cultura. Ma noi no della loro.
E allora se noi non ci fortifichiamo nella consapevolezza della nostra cultura finiremo in pochi anni di diventare il “museo del mondo”.
Muti ha concluso sottolineando che “'pittura, scultura e musica fanno parte della nostra grande storia dell'arte, ma a differenza della pittura e della scultura che nei licei si fanno, la musica viene abbandonata come qualcosa di fastidioso e dilettantesco.
Ma così diventiamo solo il paese della canzonetta, dimenticando il contributo fondamentale dell'Italia al mondo.
Basta pensare alle scuola napoletana nel '700. E noi abbiamo anche dato il nome alle note. E poi ci siamo fermati. Ma non è colpa di nessun governo, è imputabile a decenni e decenni di abbandono della cultura, come elemento che può accomunare un popolo e identificarlo”.
(Fonte: ASCA, 21 maggio 2011)
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