I
promotori del matrimonio gay, e delle affini diciture, ci riprovano. E, a prima
vista, potrebbe essere la volta buona. In commissione giustizia, alla Camera, è
partito l’iter per dare alle unioni di fatto riconoscimento giuridico. La
relatrice Giulia Bongiorno avrà il compito di esaminare le sette proposte in
materia e farne la sintesi, mettendo a punto un testo unificato. Alcune, come
le due presentate da Paola Concia, deputata del Pd, prevedono la possibilità di
contrarre unioni civili anche per persone del medesimo sesso o l’introduzione
del Patto civile di solidarietà (Pacs); altre, la regolamentazione, mediante
semplice dichiarazione congiunta all'anagrafe del Comune, per conferire taluni
diritti, quali la successione nel contratto di locazione, e l'estensione
dell'assistenza sanitaria e penitenziaria. Altre ancora intendono conferire ai
conviventi il diritto all'eredità o agli alimenti per il convivente. Tommaso
Scandroglio, docente di Filosofia del diritto nell’Università di Padova, spiega
a ilSussidiario.net che «difficilmente si arriverà mai al varo di una legge in
proposito. Le proposte di questo tipo, fino a poco tempo fa - tra Pacs, Dico,
veri e propri matrimoni gay - erano una ventina. Non se ne è fatto nulla allora
e non credo che si arriverà a qualcosa di definitivo in futuro». Di certo, non
in quello immediato: «non è pensabile che i partiti se ne occupino in questa
fase di emergenza; una volta passate le elezioni, al contempo, è presumibile
che tra gli schieramenti il fronte trasversale e contrario a unioni di questo
genere si compatti come in passato».
Al di
là degli ostacoli evidenti presenti, almeno in parte, nella pubblica opinione,
le proposte di legge pongono dei problemi, anzitutto, dal punto di vista della
Costituzione. «Laddove ci fosse l’istituzione di un matrimonio alternativo a
quello previsto dall’articolo 29 della Costituzione, sarebbe necessario
procedere alla modifica della nostra Carta fondamentale». Non mancano criticità
neppure sul piano delle unioni civili. «Se si intendesse dar vita ad un istituto
parallelo al matrimonio, si potrebbe facilmente obiettare che il nostro
ordinamento già tutela il convivente in quanto convivente, ovvero in quanto
persona e, quindi, soggetto di diritti». Eccone alcuni: «la giurisprudenza, in
materia di affitti non fa distinguo tra conviventi e coniugi; in materia di
successione esistono le donazioni e non sussistono problemi di questo tipo;
esistono anche leggi che prevedono, in caso della donazione di organi,
l’esplicito riferimento al convivente». Altri diritti, invece, sono
specificamente attribuibili ai coniugi. «Pensiamo alla reversibilità della
pensione. Una della caratteristiche comune a tutte le 20 proposte precedenti,
era la previsione dei diritti specifici dei coniugi senza la correlativa
indicazione dei rispettivi doveri». Sta qui l’errore, anche in termini logici. «Il coniuge ha una serie di doveri specifici, non pochi in verità, quali quello di fedeltà, di assistenza, di educazione dei figli». Per semplificare: «Se una donna ha un figlio proveniente da un’altra relazione, il suo convivente non ha alcun dovere nei confronti del pargolo, mentre l’abbandono di minori è reato per il genitore». Qualcuno potrebbe pensare di risolvere facilmente la controversia attribuendo anche ai conviventi i doveri dei coniugi. «Tali proposte di legge non potranno perfezionarsi prevedendo i diritti corrispettivi. Perché, in tal caso, si tratterebbe di un matrimonio. Va da sé che, a quel punto, si riproporrebbero i suddetti problemi».
(Fonte: Paolo Nessi, Il sussidiario.net, 23 aprile 2012)
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