È un fatto di cronaca. L’abbiamo
seguito tutti dalla televisione. Non conosco personalmente Gianluca Zappa, ma mi unisce a lui una comune
visione della realtà, della vita, del mondo che ci circonda, della fede. Penso
di rendere un doveroso omaggio a suo padre, il Prof. Ausonio, vittima inerme di
una feroce aggressione, dando spazio a queste note pubblicate su La Cittadella, a seguito del
tragico evento:
“Ormai lo sapete tutti, perché è un caso
nazionale: mio padre è stato ridotto in fin di vita per niente, da quattro
balordi romeni. Il fatto ha destato scalpore e scandalo, perché del tutto
gratuito, irrazionale, stupido. Non si può ammazzare così una persona inerme e
pacifica. Non c’è movente, non ci sono dietrologie da fare, non c’è niente che
possa giustificare la gravità dell’accaduto.La cosa più facile e immediata è dire che questi extracomunitari sono tutti mascalzoni e vanno tolti di mezzo. E’ una reazione comprensibile e che, in parte, tocca un problema reale. Questa banda era stata identificata, era tenuta d’occhio. Ma ci si chiede perché mai dei simili balordi non vengano subito neutralizzati, per prevenire. Non basta identificarli, se poi possono colpire come e quando vogliono. Nell’Italia ipergarantista sentiamo tutti un senso d’impotenza: chi delinque riesce sempre a farla franca. E’ vero che le forze dell’ordine non riescono a controllare perfettamente il territorio, ma è anche vero che vivono la frustrazione continua di veder vanificati i loro sforzi, magari da qualche procuratore di “larghe vedute”. La durezza e la certezza della pena sarebbe di certo un deterrente. Comunque la cosa peggiore, in questi casi, è scatenare la caccia all’extracomunitario, anche perché si farebbe di tutta l’erba un fascio e si sposterebbe il vero problema, che è quello della cultura.
I quattro balordi erano figli di genitori provenienti dalla distruzione culturale e morale del comunismo. Ma la cultura che hanno incontrato qui da noi, in Occidente, è sana? No. Non c’è alcuna differenza tra una banda di romeni e una banda di bulli perfettamente italiani. Stesso degrado, stessi obiettivi, stessi “miti” sbagliati, stessa mancanza di valori, di dignità di onestà, di senso del sacrificio e del dovere. Stesso individualismo, edonismo, egoismo, materialismo. L’impatto con un Occidente degenerato non fa che peggiorare una già degradata provenienza culturale.
E’ facile arrabbiarsi, indignarsi, scaricare il problema sulle istituzioni, sui politici, sulle forze dell’ordine. Ma siamo disposti a cambiare testa, a cambiare cultura? Siamo disposti tutti a una “conversione”? Abbiamo buttato elegantemente nel cestino la cultura cristiana che ci ha fatto grandi, che ha generato opere d’arte, opere di misericordia, una convivenza civile basata sul senso del rispetto, dell’onore, della responsabilità, della solidarietà. Cosa ci è rimasto? Il nulla.
Le teorie pedagogiche in voga non sono più nemmeno in grado di dire con chiarezza ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è giusto e ciò che non lo è. Abbiamo messo in crisi il valore dell’autorità, abbiamo predicato il lassismo morale, che crede nella “spontaneità” dell’individuo solo perché non ha mete precise da proporre, che è tollerante di tutte le idee perché non sa difenderne una. Tant’è vero che questa cultura, messa poi alla prova, non riesce nemmeno a darci leggi chiare, giuste, rigorose.
Ci laviamo volentieri le mani. Qualcuno chiede di impedire via Internet o via TV la diffusione di certi contenuti, di certi siti, di certe schifezze o violenze? E’ censura, non si può fare. Qualcuno chiede di segnalare il minorenne pericoloso? Bisogna stare attenti, c’è la sacrosanta privacy. Qualcuno prende provvedimenti disciplinari a scuola? Le famiglie credono si saperne di più dei professori, quando non sono gli stessi professori a disinteressarsi completamente del loro ruolo di educatori.
L’uomo ridotto a merce, ad animale che consuma, l’individuo ridotto a massa da plasmare, da strumentalizzare… è con tutto questo che l’Occidente deve fare i conti. Per non piangere poi lacrime di coccodrillo. E l’Occidente siamo noi. Dobbiamo tornare alle fonti dello spirito, alla trascendenza, a Dio. Dobbiamo tornare ad una misura che ci supera infinitamente. Dobbiamo tornare a guardare in alto, darci traguardi impegnativi e calare tutto questo nella società, con tutti i mezzi possibili. Non dobbiamo vergognarci delle nostre radici, dei nostri grandi valori cristiani, della nostra fede, se ancora ce l’abbiamo. Dobbiamo tornare a giudicare tutto a partire da questa fede e costruire su di essa una società che sarà di sicuro più a misura d’uomo.
E’ urgente. Per noi, per i nostri figli, per i nostri cari.
“Papà Ausonio e il piccolo Gianluca”
Al piccolo Gianluca, quando in cielo rimbombava il tuono, papà Ausonio diceva che era il rumore degli angeli che giocano a bocce. Il piccolo Gianluca capiva immediatamente quanto di fantastico e quanto di reale c’era in quella frase, e da quel giorno non ha mai dubitato dell’esistenza degli angeli.
Al piccolo Gianluca, papà Ausonio parlava dello zio Italo, morto da piccolo per una malattia. E il piccolo Gianluca capiva che Italo era vivo, come anche tutti i “poveri morti” che stanno al cimitero. Perché papà Ausonio li sapeva vivi, li venerava vivi, in eterno, nel Paradiso.
Al piccolo Gianluca e ai suoi fratelli, papà Ausonio non ha mai parlato di Babbo Natale, ma sempre e solo di Gesù Bambino. Era lui a portare i doni, la notte di Natale. E il piccolo Gianluca non ha mai equivocato su questa festa, ha sempre saputo di chi era il compleanno, a Natale. E non è rimasto deluso più di tanto, quando ha scoperto che i regali li facevano i genitori, perché Gesù Bambino restava intatto in tutta la sua realtà, non svaniva nel nulla, come un Babbo Natale qualsiasi.
Col piccolo Gianluca, papà Ausonio ha fatto sempre il presepe a Natale, e avrebbe continuato a farlo fino al Natale scorso, con grande impegno, con grande profusione di lampadine, con grande fatica. Il piccolo Gianluca è cresciuto e fa il presepio ogni anno, con i propri figli, mettendoci lo stesso impegno, la stessa creatività, la stessa gioia.
Papà Ausonio, quando poteva, portava a messa la Domenica il piccolo Gianluca. E cantava, cantava a voce piena, con quella voce forte, intonata, mai stentata. E il piccolo Gianluca un po’ si vergognava, un po’ si divertiva, e osservava, imparava, cominciava a capire che il canto è importante, che il canto è preghiera, che in chiesa non cantano solo le vecchiette. E quanto gli sarebbe servito, questo, negli anni a venire!
Quando il piccolo Gianluca e suo fratello Marco ricevettero la Cresima, papà Ausonio compose una poesia per il santino. Diceva così: Ci hai segnati del Tuo segno/ ci hai riempito del Tuo Spirito/ perché, fatti “nuove creature”,/ le nostre vite siano “memoria”/ dell’evento dell’Alleanza che è accaduto a noi/ e “testimonianza” alle genti/ fino agli estremi confini del mondo. Il piccolo Gianluca prese sul serio quelle parole. Le trascrisse sul suo quaderno e, siccome aveva già cominciato a strimpellare la chitarra e a comporre canzoni, le musicò. Quelle parole segnavano un compito per la vita, già da allora.
Papà Ausonio era solito condurre i figli, e poi i nipotini, nella chiesa parrocchiale di Inverigo, suo paese natale. Lì ci sono le opere in ferro battuto realizzate da suo padre, che era un fabbro, e donate alla parrocchia. Il piccolo Gianluca ha capito che papà Ausonio amava la Chiesa e spendersi per essa. Lo capiva anche dalla venerazione con cui parlava dei santi sacerdoti che aveva incontrato o che conosceva, dei vescovi che erano suoi amici, dei Papi che amava. Aveva incontrato personalmente Paolo VI e Giovanni Paolo II. Era orgoglioso di festeggiare il compleanno nello stesso giorno di Benedetto XVI (il 16 aprile) e aveva scritto al Papa una lunga lettera, proprio nel giorno del suo 80° compleanno. Dal Vaticano gli avevano risposto e lui era stato molto felice di questo. Lui che non si perdeva una grande celebrazione papale in TV e che era anche capace di commuoversi. Lui che da ragazzino (lo ricordava sempre) aveva avuto l’onore di recitare la preghiera al cardinal Schuster, venuto in visita pastorale.
Ma soprattutto, papà Ausonio acconsentì a portare con sé il piccolo Gianluca a Prati di Tivo, sotto il Gran Sasso, nell’estate del 1976. Il piccolo Gianluca voleva stare a tutti i costi col suo papà, non accettava di vederlo partire un’altra volta. In quei quattro giorni fece l’incontro che gli segnò la vita. Stette con dei ragazzi di Gioventù Studentesca, più grandi di lui; camminò in montagna, cantò canzoni, fece giochi, ascoltò delle meditazioni anche difficili, pregò con loro. Quell’incontro gli fece capire che tutto quello che gli era stato detto in famiglia e al catechismo era vero, era bello, era un’altra vita. E’ allora che fu piantato un virgulto che mise radici e che lentamente si trasformò in un grande albero.
Questo e molto altro ha fatto papà Ausonio per il piccolo Gianluca. Gli ha trasmesso una fede viva, una fede che c’entra con la vita, con ogni ora, con ogni istante. Una fede aperta sulla vita eterna. E ora che il piccolo Gianluca è costretto a vedere il suo papà esanime, sfigurato, immobile su un letto del reparto rianimazione, non può non pensare che dietro tutto questo, che dentro tutto questo, che attraverso tutto questo passa la misteriosa mano della Provvidenza. Quella che papà Ausonio leggeva, meditava e insegnava nei Promessi Sposi. Quella che “la c’è”!
E il piccolo Gianluca, pur nel dolore atroce di un figlio cui hanno ammazzato il padre, pur tra le lacrime, non si dispera. Perché sa bene, ormai, che il male non ha l’ultima parola sulla vita”.
(Fonte: Gianluca Zappa, La Cittadella, 1 aprile 2012)
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