“Ogni nostro annuncio deve
misurarsi sulla parola di Gesù Cristo: “La mia dottrina non è mia” (Gv 7,16).
Non annunciamo teorie ed opinioni private, ma la fede della Chiesa della quale
siamo servitori” (Benedetto XVI, omelia del Giovedì Santo, 5 aprile 2012)-
Cade
giusto giusto durante il periodo pasquale la recensione del saggio “La guerra
del Papa” dell’americano Matthew Fox, pubblicata il giovedì santo su Repubblica, a firma di Francesco
Pacifico.Cade. Letteralmente. Non è un modo di dire: spiacenti per Fox e Pacifico, ma – ve ne accorgerete leggendo – cadono proprio male, e così articolo e saggio si sgretolano sotto gli occhi, in men che non si dica.
In verità, basterebbe questa frase di Fox, che trascrivo, per stroncare sul nascere questo testo. E badate bene: a “smontarlo” non è il puntiglioso “apologeta” che posta questo articolo; è ciò di cui la Pasqua ci fa memoria: la passione di Cristo, Figlio di Dio, crocifisso per le nostre colpe e risorto per la nostra salvezza. La fede cristiana si basa sui fatti, non su delle teorie; e non c’è tempo liturgico migliore di questo per ricordarcelo.
Sentite cosa dice Fox al giornalista che lo intervista: “C’è unità nel riconoscimento che la persona e gli insegnamenti di Gesù ruotano attorno alla compassione e alla giustizia; e che il Cristo Cosmico rappresenta la presenza del Divino in noi e in tutti gli esseri”. Come dire: Cristo, un interessante personaggio del passato, un po’ “giustiziere del giorno e della notte” alla Charles Bronson, ma anche buon Samaritano quando serve, nell’ossequioso rispetto del politically correct. Anzi no. Un Gesù Cosmico (lettera maiuscola anche l’aggettivo, of course, in barba alle regole grammaticali), dalle fragranze New Age e dalle caratteristiche ecumenico-panteiste-cerchiobottiste, per non scontentare nessuno.
Basterebbe questa frase per capire come mai nel 1993 Matthew Fox è stato allontanato dall’insegnamento e dall’ordine domenicano. Semplicemente perché, evidentemente, già allora andava raccontando il “suo” Gesù, che nulla ha a che vedere (e men che meno a che fare) con il Gesù dei Vangeli, del Magistero, della Tradizione.
Si potrebbe mettere punto qui, insomma, senza far perdere tempo ai lettori (ed anche, francamente, a chi scrive).
Ma siccome l’articolo pubblicato su Repubblica è infarcito di una serie di altre castronerie, tocca spendere ancora qualche parola.
Francesco Pacifico così esordisce: “Matthew Fow, americano, teologo ex domenicano, si era fatto conoscere in Italia con In principio era la gioia, un libro felice tutto improntato sulla scoperta della tradizione cristiana dell’amore per la natura (…) contro l’ossessione del peccato originale”. Lasciamo perdere l’“amore per la natura” (anche se la riduzione del Cristianesimo ad ecologismo è un altro grave dramma del nostro tempo); quel che più allarma è una questione sostanziale e non di poco conto che sta diventando “indigeribile” anche a molti cattolici: l’idea del peccato e, in particolare, del peccato originale: l’hýbris (in greco ὕβρις), e cioé il desiderio dell’uomo di farsi Dio, di essere come Dio, o addirittura a Lui superiore. Non è però un’“ossessione”, come scrive Pacifico, che evidentemente – come buona parte dei giornalisti della testata per cui scrive – ha poca dimestichezza con il Cristianesimo. È il “no” che l’uomo, dotato di libero arbitrio, ha detto e dice all’amore di Dio, Creatore e Padre, una, due, cento volte al giorno. È il motivo per cui il Verbo si è fatto Carne; il motivo per cui Cristo non si è rassegnato al nostro peccato, a perderci, ma ha pagato per noi: è morto e muore crocifisso ogni giorno per ogni essere umano, senza distinzioni.
Non è un’“ossessione”, perché un credente, consapevole del peccato originale e dunque della sua umana fragilità, sperimenta nel sacramento della Riconciliazione l’infinita misericordia di Dio, ma se la certezza del peccato originale non è un’“ossessione”, crederci o non crederci non è nemmeno un optional, perché lo capirebbe chiunque che senza la colpa di Adamo non avrebbe senso la venuta del “Nuovo Adamo”: Dio che si china sul nostro niente, si fa Uomo, si fa carico di tutti i nostri peccati e ci ama a tal punto da pagare al posto nostro, indicandoci, nella croce e poi nella Resurrezione, la via della speranza e della salvezza.
Occhio, però, al solito titolo categorico e niente niente presuntuoso scelto per il saggio: “La guerra del papa – perché la crociata segreta di Ratzinger ha compromesso la Chiesa (e come questa può essere salvata)”. (E meno male che c’è un ex insegnante ed ex domenicano, rimosso nel 1993, che si premura di indicarci la strada… sic!).
A leggere Fox e Pacifico (il testo è una recensione-intervista e si presenta dunque come un duetto), la “crociata” di Benedetto XVI nascerebbe da un “rifiuto del concilio Vaticano II” (in particolare – riassumo ma citando alla lettera – per ciò che concerne una decentralizzazione della Chiesa, l’aumento del contributo dei laici nella liturgia, la libertà di coscienza e di discussione dei teologi, il sensus fidei su questioni come il controllo delle nascite, la teologia della liberazione, l’ecumenismo). Nell’articolo e nel saggio vengono inoltre messi in dubbio – tanto per cambiare – il “primato di Pietro”, il valore dell’obbedienza, i dogmi.
Cade male, però, come dicevo, Fox, e cade male anche Pacifico, perché lo Spirito Santo grazie a Dio soffia, e specie durante il tempo pasquale soffia forte e chiaro. E siccome l’apologeta avrà i suoi difetti ma non ha la presunzione di dire – lui – come può essere salvata la Chiesa, cede la parola al S. Padre che – guarda un po’! – proprio durante l’omelia del Giovedì Santo, in un colpo solo così ha “risposto” a Pacifico, a Mattew Fox, a Repubblica e a tutti gli ateologi. Passati presenti e anche futuri:
«La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa? Vogliamo credere agli autori di tale appello, quando affermano di essere mossi dalla sollecitudine per la Chiesa; di essere convinti che si debba affrontare la lentezza delle Istituzioni con mezzi drastici per aprire vie nuove – per riportare la Chiesa all’altezza dell’oggi. Ma la disobbedienza è veramente una via? Si può percepire in questo qualcosa della conformazione a Cristo, che è il presupposto di ogni vero rinnovamento, o non piuttosto soltanto la spinta disperata a fare qualcosa, a trasformare la Chiesa secondo i nostri desideri e le nostre idee? (…) Ma non semplifichiamo troppo il problema. Cristo non ha forse corretto le tradizioni umane che minacciavano di soffocare la parola e la volontà di Dio? Sì, lo ha fatto, per risvegliare nuovamente l’obbedienza alla vera volontà di Dio, alla sua parola sempre valida. A Lui stava a cuore proprio la vera obbedienza, contro l’arbitrio dell’uomo. E non dimentichiamo: Egli era il Figlio, con l’autorità e la responsabilità singolari di svelare l’autentica volontà di Dio, per aprire così la strada della parola di Dio verso il mondo dei gentili. E infine: Egli ha concretizzato il suo mandato con la propria obbedienza e umiltà fino alla Croce, rendendo così credibile la sua missione. Non la mia, ma la tua volontà: questa è la parola che rivela il Figlio, la sua umiltà e insieme la sua divinità, e ci indica la strada. (…) Chi guarda alla storia dell’epoca post-conciliare, può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibili l’inesauribile vivacità della santa Chiesa, la presenza e l’azione efficace dello Spirito Santo. E se guardiamo alle persone, dalle quali sono scaturiti e scaturiscono questi fiumi freschi di vita, vediamo anche che per una nuova fecondità ci vogliono l’essere ricolmi della gioia della fede, la radicalità dell’obbedienza, la dinamica della speranza e la forza dell’amore».
Concludo. Nell’omelia il Papa sottolinea la “situazione spesso drammatica della Chiesa di oggi”. Le domande di Pacifico, le risposte di Fox, il suo saggio, ne sono un esempio chiarissimo.
Nella “situazione drammatica” che sta attraversando la Chiesa non ci interessano i cattivi maestri. Oggi, più di sempre, seguiamo con fedeltà umile e filiale il successore di Pietro e i testimoni (veri) da lui indicati: «A partire da Paolo, lungo tutta la storia ci sono state continuamente tali “traduzioni” della via di Gesù in vive figure storiche. Noi sacerdoti possiamo pensare ad una grande schiera di sacerdoti santi, che ci precedono per indicarci la strada: a cominciare da Policarpo di Smirne ed Ignazio d’Antiochia attraverso i grandi Pastori quali Ambrogio, Agostino e Gregorio Magno, fino a Ignazio di Loyola, Carlo Borromeo, Giovanni Maria Vianney, fino ai preti martiri del Novecento e, infine, fino a Papa Giovanni Paolo II che, nell’azione e nella sofferenza ci è stato di esempio nella conformazione a Cristo, come “dono e mistero”. I Santi ci indicano come funziona il rinnovamento e come possiamo metterci al suo servizio. E ci lasciano anche capire che Dio non guarda ai grandi numeri e ai successi esteriori, ma riporta le sue vittorie nell’umile segno del granello di senape».
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