Gli
studiosi di storia della Chiesa hanno notato come dai tempi dell’immediato
postconcilio, ossia dal pontificato di Paolo VI, il papato abbia cominciato a
indebolire la sua autorità nei confronti dell’episcopato e ciò, con tutta
probabilità, a causa di alcuni difetti insiti nelle direttive pastorali del
Concilio, concernenti il rapporto del Papa con in vescovi. Mi riferisco
soprattutto alla figura di vescovo che emerge dai decreti conciliari
sull’argomento, alla dottrina della collegialità episcopale e della Chiesa
locale, dalla quale sono sorte poi le conferenze episcopali nazionali e
l’istituto del sinodo mondiale dei vescovi.
Le
direttive del Concilio in merito contengono certamente alcuni elementi validi,
come per esempio la responsabilizzazione del vescovo e degli episcopati
nazionali come deputati a una creatività pastorale che tenga conto delle
situazioni concrete del loro gregge, senza quindi limitarsi ad essere dei
semplici interpreti e trasmettitori delle direttive provenienti da Roma, e come
dotati di una santa libertà e capacità di iniziativa nei confronti di Roma
stessa nel suggerire proposte e addirittura modifiche nella condotta pastorale
della Sede Apostolica, nonché nel correggere abusi ed errori per conto proprio
senza aspettare l’imbeccata da Roma.Sennonché, nei medesimi documenti sull’argomento, viene delineato un modello di vescovo che, se da una parte brilla per la sua caritatevole vicinanza al gregge, misericordioso e comprensivo, aperto al dialogo con tutti, credenti e non credenti, dall’altra risulta deplorevolmente assente del tradizionale ed essenziale aspetto del ministero episcopale di collaborazione con la Sede Romana nella vigilanza (episkopos = sorvegliante) nei confronti delle idee false che possono diffondersi nel popolo di Dio in materia di fede e di buoni costumi, e quindi riguardo il suo sacro dovere di correggere gli erranti sia in materia di fede che di morale.
In tal modo, a causa di questa mancata vigilanza o ingenuità o negligenza o eccessiva indulgenza che dir si voglia, come chiunque non schiavo di pregiudizi oggi può constatare, da cinquant’anni a questa parte ha cominciato a sorgere con uno spaventoso crescendo una crisi di fede o ribellione o disobbedienza a Roma nell’ambito della fede a tutti i livelli e in tutti gli ambienti della compagine ecclesiale: fedeli, sacerdoti, religiosi, teologi e moralisti, non esclusi membri dello stesso episcopato e del collegio cardinalizio, senza che Roma sia stata in grado di opporre una valida difesa e di correggere efficacemente i devianti, i quali viceversa, vedendo il successo ottenuto e l’assenza di ostacoli opposti dall’autorità, sono diventati sempre più arroganti e prepotenti, acquistandosi nella Chiesa con l’inganno, l’adulazione e l’astuzia, molti posti di potere, persino negli stessi ambienti romani, da dove adesso hanno la possibilità di contrastare maggiormente il Magistero del Papa e soffocare quelle poche voci rimastegli fedeli, sostenendo o tollerando invece eretici e ribelli sempre più spavaldi e sicuri di se stessi.
Mi riferisco soprattutto a quel nefasto neomodernismo, subito denunciato ma ahimè invano da spiriti acuti come il Maritain, il Siri, il Fabro, il Parente, il Piolanti, il von Hildebrand, il Perini, l’Ottaviani, il Lakebrink, i teologi domenicani Enrico Rossetti, Guido Casali, Alberto Galli, Tomas Tyn ed altri; neomodernismo che, latente nei lavori stessi del Concilio ma lì ovviamente represso, ha fatto capolino con temeraria audacia sin dall’immediato postconcilio ed approfittando appunto del mancato intervento dei vescovi, alcuni dei quali conniventi a tanto scempio, col pretesto ingannevole di realizzare quel Concilio che essi invece falsificavano, si è talmente rafforzato da metter oggi il Sommo Pontefice nelle tristissime e drammatiche condizioni, quasi inaudite, di non sentirsi più in grado di governare la Chiesa. Da qui le dimissioni.
Noi potremmo dire a tutta prima: debolezza personale? Che avrebbe fatto un Papa Wojtyla? E gli altri Papi come hanno fatto a resistere? Ma il fatto è che la situazione è precipitata, e sta precipitando, per eventi gravissimi ed inauditi accaduti proprio in questi ultimi anni e tempi recentissimi: basti pensare allo scandalo della pedofilia coperto da vescovi, alcuni dei quali addirittura implicati; l’inaudito e sacrilego tradimento perpetrato all’interno della stessa Segreteria di Stato dove i mandanti sono riusciti per ora a celarsi dietro il povero Paolo Gabriele; la resistenza episcopale scandalosa al decreto pontificio di liberalizzazione della Messa Tridentina; il recente colpevole silenzio in occasione del blasfemo spettacolo di Romeo Castellucci, senza contare il diffondersi impunito di atti sacrileghi e vilipendi contro la religione; la pure recente penosa controversia sui “castighi divini”, nella quale fu ingiustamente accusato l’illustre storico Roberto De Mattei, che non aveva fatto altro che ricordare la dottrina tradizionale della Chiesa; la generale disobbedienza episcopale che tollera dappertutto teologi, liturgisti ed insegnanti disobbedienti al Magistero della Chiesa in materia di fede e di morale, vescovi e cardinali favorevoli al pensiero ereticale di Karl Rahner; la lunga sconsiderata ed ingannevole attività ecumenica del card. Kasper; interventi recentissimi di Cardinali come Martini o Ravasi del tutto dissonanti non dico dalla linea della S.Sede, ma dalla stessa dottrina della fede, insieme con attacchi vergognosi contro degnissimi prelati come Mons. Crepaldi o Mons. Negri.
Il Santo Padre - si è detto - ha fatto un gesto di umiltà. È verissimo. Ha fatto anche un gesto di coraggio. È vero anche questo, nel senso che, compiendo questo gesto, certamente ha previsto che sarebbe stato accusato di mancanza di coraggio e di “fuggire davanti ai lupi”, per ricordare una sua famosa frase, e ciononostante lo ha compiuto lo stesso. Altri hanno parlato di “libertà spirituale”. È vero anche questo. Infatti il compiere ponderatamente e coscientemente un gesto di tale portata e così insolito, è certamente segno di uno spirito sanamente indipendente che si fa guidare solo da Dio. Ed è stato anche un distacco da se stessi per il bene della Chiesa.
Ma secondo me tutti questi pareri non colgono il motivo di fondo che si può delineare in questi termini: una mossa strategica di prudentissima e coraggiosissima sapienza pastorale. In che senso? Col programma, - così io ritengo, una volta che Ratzinger avrà la possibilità di tornare a fare il semplice teologo - di mettere a frutto le sue straordinarie doti intellettuali, la sua lunga esperienza di pastore, la sua profonda conoscenza della situazione attuale e passata della Chiesa, con i suoi aspetti positivi, le sue speranze e i suoi mali morali e dottrinali, da correggere e da togliere.
Il gesto di Papa Ratzinger ci fa ulteriormente capire, se ancora ce ne fosse bisogno, il cambiamento che col Concilio Vaticano II si è verificato nella condotta del papato: se fino a Pio XII abbiamo avuto un papato potente ed impositivo, nella secolare tradizione che partita dal medioevo era stata confermata dalla riforma tridentina, col Vaticano II inizia, di fatto, non perché voluta dal Concilio, una nuova figura di Papa, che potremmo definire “Papa crocifisso e abbandonato”, sull’esempio di Cristo in croce. Anche a livello organizzativo non esiste più l’esercito pontificio; ci sono solo le guardie svizzere. Ma che ci fa il Papa con esse?
È vero: per il Papa, in linea di principio, è sufficiente imitare la testimonianza di Nostro Signore: che poi prenda un aspetto o ne prenda un altro, è cosa secondaria.
Ma se fino a Pio XII abbiamo l’imitazione di Gesù che dà ordini, disciplina ed è obbedito, a iniziare da Paolo VI appare il Gesù in croce, inascoltato ed abbandonato da tutti, anche se con a fianco la Madonna e S.Giovanni. Del resto, se ci facciamo caso, Gesù stesso nel corso della sua vita terrena, ha bensì insegnato, ma non ha mai avuto a disposizione, anzi li ha rifiutati, dei seguaci che potessero far rispettare, se occorreva con la forza, i suoi comandi e i suoi precetti. Non ha mai dimesso dalla sua carica qualche scriba o qualche dottore della legge.
Ciò vuol dire in linea di principio che il munus del Papa è duplice: l’insegnamento - munus dottrinale - e una forza a sua disposizione, - munus pastorale - che dovrebbero coincidere con la Curia romana e l’episcopato, incaricati di farlo rispettare. Ora invece, a partire da Paolo VI con impressionante progresso sino ad oggi, questa forza è quasi del tutto venuta a mancare. Che cosa resta al Papa? La voce di Cristo, quasi vox clamantis in deserto, che può certo consigliare, esortare, scongiurare, ma anche, come ha fatto Cristo, può comandare e minacciare, s’intende sempre per il bene della Chiesa. È questo quindi quel “bene della Chiesa”, al quale secondo me il Papa si riferisce nella sua dichiarazione di dimissioni.
La Chiesa si trova oggi in una situazione angosciosa che mai finora le era capitata. Essa, come già ebbe a dire Paolo VI , che parlò di un processo di “autodemolizione”, si sta distruggendo dall’interno. Tanti termini del linguaggio cattolico sono rimasti, ma con un significato anticattolico. Lo stesso termine “cattolico” non si capisce più che cosa significhi. Ma i modernisti, che Chiesa vogliono? È in fondo molto semplice: vogliono trasformare la Chiesa in un’associazione semplicemente umana sulla quale poter comandare secondo le loro idee modernistiche.
Il papato in questi cinquant’anni, si è indebolito non per viltà degli stessi pontefici, e neppure per motivi di immoralità, come successe al papato rinascimentale. Invece nel papato moderno abbiamo, come è ben noto, anche dei santi. Si è invece indebolito per causa di forza maggiore, per motivi oggettivi indipendenti dalle forze dei singoli Pontefici, a causa dell’isolamento nel quale sono stati messi da alcuni dei loro stessi collaboratori, finti amici ma in realtà nemici.
Il modello del Papa di oggi sta diventano quello del profeta e del martire, simile ai Papi sotto l’Impero Romano, con la differenza che se a quei tempi il nemico era esterno, oggi purtroppo i nemici li abbiamo in casa.
Penso che il nuovo Papa sarà pieno di energia e al contempo pronto a soffrire e ad accettare di non essere obbedito; ma alzerà la voce con tono terribile, sull’esempio di Cristo che minaccia farisei e dottori della legge. Occorre infatti, a mio avviso, che il papato riacquisti il suo prestigio e la sua autorevolezza dottrinale, anche se non dispone delle forze necessarie per far applicare gli insegnamenti dottrinali e morali.
Quanto a Benedetto XVI sono convinto che il suo gesto di abilissima “ritirata strategica”, gli consentirà di mettere a frutto le sue straordinarie doti di cultura e di saggezza per aiutare il nuovo Papa e la Chiesa a risorgere e a camminare sulle vie del Signore. Sono certo che Joseph Ratzinger, che già da Papa ci ha dato ricchi insegnamenti, nel suo posto più modesto al servizio di Pietro, potrà continuare a darci un aiuto importantissimo sul cammino della vera fede e della pacificazione della Chiesa.
(Fonte:
P. Giovanni Cavalcoli,
Riscossa cristiana, 14 febbraio 2013)
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