giovedì 14 febbraio 2013

Una famiglia che famiglia non è… in una chiesa che non sembra una chiesa

Sarà l’età, ma mi è venuta nostalgia di Alberto Manzi. Sì, il maestro che in televisione conduceva il programma Non è mai troppo tardi e le lezioni a distanza per combattere l’analfabetismo. Passano gli anni e i mezzi di comunicazione sociale – tivù in testa – ora son diventati più raffinati (o noi più scemi) e così ti insegnano cosa devi pensare e ti propinano la “pubblicità-progresso”. Progresso secondo loro, si intende.
Non serve infatti essere esperti di comunicazione, basta aver sviluppato una briciola di senso critico per capire come l’informazione interessi zero, e in modo tamburellante e pervasivo, oggi si miri invece alla formazione del pensiero unico e politicamente ineccepibile. Come? Così.
Sevizio delle Iene di qualche sera fa. Telecamere puntate su tre coppie “arcobaleno”: due lui e quattro lei, con relativi figli (industriali, of course).
Nadia Toffa (la curatrice del servizio) inizia con l’intervistare Luciano e Davide: due maschi che si sono sposati a New York e poi siccome gli è «cresciuto il desiderio di avere dei figli», con fecondazione eterologa hanno avuto due gemelli: Andrea ed Elisabetta. In un quadretto da Mulino arcobaleno, si glissa sull’agenzia californiana a cui i due uomini son ricorsi per la «donatrice» d’ovulo e la «portatrice» di bimbi, ed anche sul prezzo elevatissimo dei due gemelli concepiti con lo sperma di solo uno (ovvio!) dei due “genitori”, e che non potranno vedere e conoscere le due donne senza le quali non sarebbero qui. Evidentemente la/le mamme in questa gaia storia non hanno diritto d’ingresso e quindi non se ne parla. Donne-contenitori? Donne affittate?
Nadia Toffa, la giornalista, non pare turbarsi e passa oltre. Intervista due lesbiche: moglie & moglie convolate a nozze a New York pure loro, una delle due incinta al sesto mese, che dice al microfono «sto aspettando un bimbo insieme alla mia compagna». Buon senso vorrebbe che l’intervistatrice le dicesse che no, non è possibile: donna più donna non è uguale a nessun bambino. E invece niente, perché la verità mi fa male lo sai e allora si passa oltre.
Terza coppia: Cecilia e Federica, che spupazzano i gemellini Emma e Valerio, di un anno. Cecilia è la madre biologica; ignoto, impresentabile, il padre (senza il quale, evidentemente, i due fratellini non sarebbero qui), ecco Federica che ne fa le veci. Ma padre non è, madre nemmeno. E si scoccia pure, quando dice che per l’Italia questi bimbi hanno un solo genitore. Come non fosse inconfutabilmente vero.
Gira e rigira, nel lavaggio del cervello quotidiano cui ci sottopongono il punto sta qui. L’ideologia e il politically correct vengono prima rispetto all’evidenza dei fatti. Coprono, cancellano, occultano, distorcono. Fan credere (o così vorrebbero) anche ciò che non è perché non può essere.
Ciliegina sulla torta nuziale. È domenica e le telecamere seguono Luciano e Davide che si recano a messa da «don Santoro, il classico prete di frontiera, critico con la Chiesa ufficiale… non ben visto dai suoi superiori, in una chiesa che non sembra una chiesa…». Ecco, appunto. Dal prete che non è prete, in una chiesa che non sembra una chiesa, una “famiglia” che famiglia non è.
E dunque sarà l’età, ma ora capisco perché di fronte a questo servizio delle Iene mi è venuta una botta di nostalgia del maestro Alberto Manzi. In piena emergenza educativa, ché l’analfabetismo degli anni Sessanta al confronto faceva ridere, qualcuno per favore spieghi agli analfabeti di ritorno che siamo diventati il periodo ipotetico della realtà, della possibilità e della irrealtà. Altro che voli pindarici e arcobaleni: occorre ripartire dalle basi. Occorre ripartire da lì.

 

(Fonte: Saro, Luisella, Cultura Cattolica, 7 febbraio 2013)
 

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