giovedì 6 maggio 2010

Ma perché ci vanno i preti in tv?

L’altro giorno, casualmente, vedo su RaiUno, in quella specie di luogo del nulla che è La vita in diretta, il programma di Lamberto Sposini, un sacerdote che conosco e col quale ho collaborato per un certo tempo, don Mario Pieracci. Si chiacchierava, come al solito, delle solite cose. La grande novità (si fa evidentemente per dire) era la presenza di Luxuria. L’argomento: “prigionieri di un corpo”.
Ho seguito lo scontro verbale per una quindicina di minuti. Penso, dopo essermi abbeverato ad un programma televisivo di tale livello, che sia ora che qualcuno dica a don Mario che andare a quelle trasmissioni non serve a niente, se non a rendere più odioso e antipatico il volto della Chiesa e dei preti.
Innanzi tutto era solo contro tutti. Sembrava l’Inter di Mourinho al Camp Nou. E già questo non va bene. In più era evidente che era stato invitato lì solo per alimentare il contraddittorio, solo perché in TV c’è bisogno di vedere la solita scazzottata verbale di fan di fazioni opposte. Nessuno s’illude: a Sposini e ai suoi autori non gliene frega assolutamente niente dei drammi o dei problemi che stanno trattando di volta in volta. Tutto è solo spettacolo. Tutto è ridotto a un continuo tambureggiamento sulla pancia e gli istinti più bassi dei telespettatori. Punto e basta.
Allora, se c’è il gay in trasmissione, ci deve anche essere il prete che fa la parte del reazionario bigotto e polemico, sennò non ci si diverte. E’ un gioco delle parti che ci ha veramente rotto le scatole, ma del quale non sembra si possa fare a meno. A meno che uno non decida di boicottare questa roba scadente e diseducativa.
Prendiamo il caso specifico. Lì vicino a don Mario, proprio seduto accanto, c’era un uomo in crisi d’identità, il sig. Luxuria. Il quale non si è ancora liberato di quel corpo maschile di cui si sente “prigioniero”, perché è attualmente un ermafrodita, e questo lo dico senza intenzione di offenderlo. Ora, sentirsi schiavo, prigioniero di un corpo, deve essere proprio una grande sofferenza. Lì c’è un uomo che soffre e dove c’è un uomo che soffre c’è la Chiesa. Ma è ovvio che non può essere quella caricatura di Chiesa che la TV vuole imporre. Lux uria, più che di un prete che sta lì a polemizzare con lui, avrebbe bisogno di un bravo direttore spirituale, che lo aiuti a recuperare il senso di quel corpo che Dio gli ha donato. Avrebbe bisogno di un colloquio riservato e pieno di simpatia umana, quale solo nella Chiesa può verificarsi.
Ma questo colloquio non può avvenire nella trasmissione di Lamberto Sposini, dove si grida, dove ci si accapiglia, dove non si può entrare nel cuore di una persona. E allora, che senso ha essere lì? Per difendere cosa? Per dire cosa? Per mettersi al livello di personaggi che usano il mezzo televisivo solo per avere una notorietà, anche se breve ed effimera? Per mettersi in pasto di squallidissimi opinionisti capaci di parlare tutti i santi giorni di tutto e di niente?
Ne guadagna forse la Chiesa, da questa specie di donchisciottesca difesa davanti alle telecamere? Penso proprio di no. Non capisco che senso abbia farsi strumentalizzare così, accomodarsi a fare la parte del cattivo e del reazionario, senza poter dire una parola vera e tranquilla.
Bisognerebbe tornare a dire dei no decisi. No alla partecipazione a certe trasmissioni. Sì, se vi sono, invece, certe garanzie di serietà. E bisognerebbe avere un’emittente televisiva cattolica davvero coinvolgente, capace di spiegare il punto di vista cattolico sui problemi della gente, sull’uomo contemporaneo. Ma anche in questo caso, l’esperimento di Sat2000, la TV finanziata dalla CEI, è lì a dimostrare come si possa fare male quello che invece andrebbe fatto bene.
Ecco un altro grande problema della Chiesa italiana, che denota proprio una mancanza di capacità di leggere i segni dei tempi e di trovare le soluzioni più efficaci nel combattere la battaglia contro il Principe di questo mondo.

(Fonte: Gianluca Zappa, La Cittadella, 30 aprile 2010)

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