Fortuna che esiste una voce libera e diversa come l’Osservatore Romano nel panorama piatto e sconfortante del giornalismo contemporaneo! Una voce, tra l’altro, forte e decisa, che osa giudicare in modo autonomo ed originale rispetto al polically correct imperante.
E’ morto Josè Saramago e tutti giù a scrivere coccodrilli. Un premio Nobel non si discute, non si giudica, non si tocca. E perché no? Perché non metterne in luce le contraddizioni, le viltà, i silenzi colpevoli, le collusioni? E’ proprio questo che ha fatto l’Osservatore Romano. E più che stare ad ironizzare su presunte scomuniche o demonizzazioni, occorrerebbe invece confrontarsi con il contenuto delle critiche.
«E’ stato un uomo e un intellettuale di nessuna ammissione metafisica, fino all'ultimo inchiodato in una sua pervicace fiducia nel materialismo storico, alias marxismo». Un ritratto che va bene per Saramago, ma chissà per quanti altri, devoti di Marx e del suo materialismo, “inchiodati” a quella fede, senza possibilità di scampo.
E questa incrollabile “fiducia” lo ha portato ad un singolare strabismo. Ha condotto, come chissà quanti altri, una feroce guerra alla fede cristiana e alla Chiesa cattolica, occultando le colpe, le responsabilità, le atrocità della propria “chiesa”: «si dichiarava insonne al solo pensiero delle crociate, o dell'inquisizione, dimenticando il ricordo dei gulag, delle purghe, dei genocidi, dei samizdat culturali e religiosi». Brutto vizietto, squallido giochetto che è stato possibile fare, per Saramago e quelli come lui, fino all’89, quando la caduta del muro di Berlino ha sbaragliato il muro di omertà che era calato in Occidente, grazie proprio al prono ossequio di intellettuali alla Saramago che hanno fatto i reggi bastone al comunismo sovietico, impalcandosi ad autorità morali.
Sono andati avanti per decenni a ricordare i mali compiuti dalla Chiesa medievale, omettendo di guardare in faccia e denunciare al mondo intero le atrocità contemporanee che si commettevano nei Paesi sottomessi al giogo dei rossi. Hanno letteralmente costruito ed imposto la leggenda nera di Papa Pio XII e dei suoi colpevoli silenzi, mentre loro erano i primi ad osservare un rigiso e colpevolissimo silenzio. Un populista estremistico come Saramago, “che si era fatto carico del perché del male nel mondo, avrebbe dovuto anzitutto investire del problema tutte le storte strutture umane, da storico-politiche a socio-economiche, invece di saltare al per altro aborrito piano metafisico e incolpare, fin troppo comodamente e a parte ogni altra considerazione, un Dio in cui non aveva mai creduto, per via della Sua onnipotenza, della Sua onniscienza, della Sua onniveggenza". Se la prendeva con l’Onnipotente, e non si azzardava a criticare gli onnipotenti dittatori marxisti che ammazzavano, torturavano, perseguitavano, affamavano la loro gente.
Gli hanno dato il premio Nobel. Aveva tutte le carte in regola per ottenerlo (ce l’aveva anche un “grande intellettuale” come Dario Fo, che riuscì a strapparlo ad un grande della letteratura italiana come Mario Luzi): si era dato la missione di distruggere Dio e in particolar modo Gesù Cristo. E chi si dà da fare in questo senso ha le carte in regola per essere premiato. Scrisse il “Vangelo secondo Gesù”, lanciando una «sfida alla memoria del cristianesimo di cui non si sa cosa salvare se, tra l'altro, Cristo è figlio di un Padre che imperturbato lo manda al sacrificio; che sembra intendersela con Satana più che con gli uomini; che sovrintende l'universo con potestà senza misericordia. E Cristo non sa nulla di Sé se non a un passo dalla croce; e Maria Gli è stata madre occasionale; e Lazzaro è lasciato nella tomba per non destinarlo a morte suppletiva». Roba scottante, pruriginosa. Da Premio Nobel.
La bella stroncatura dell’Osservatore Romano è totale: «Irriverenza a parte, la sterilità logica, prima che teologica, di tali assunti narrativi, non produce la perseguita decostruzione ontologica, ma si ritorce in una faziosità dialettica di tale evidenza da vietargli ogni credibile scopo».
Insomma, un ideologo anti religioso, con una mente “uncinata” da una “destabilizzante banalizzazione del sacro e da un materialismo libertario che quanto più avanzava negli anni tanto più si radicalizzava” Il suo assunto teologico era semplicistico in modo sconfortante: “se Dio è all’origine di tutto, Lui è la causa di ogni effetto e l’effetto di ogni causa".
E bisognerebbe commemorare e glorificare sugli altari della cultura questo illustre signore?
(Fonte: Gianluca Zappa, La Cittadella, 20 giugno 2010)
E’ morto Josè Saramago e tutti giù a scrivere coccodrilli. Un premio Nobel non si discute, non si giudica, non si tocca. E perché no? Perché non metterne in luce le contraddizioni, le viltà, i silenzi colpevoli, le collusioni? E’ proprio questo che ha fatto l’Osservatore Romano. E più che stare ad ironizzare su presunte scomuniche o demonizzazioni, occorrerebbe invece confrontarsi con il contenuto delle critiche.
«E’ stato un uomo e un intellettuale di nessuna ammissione metafisica, fino all'ultimo inchiodato in una sua pervicace fiducia nel materialismo storico, alias marxismo». Un ritratto che va bene per Saramago, ma chissà per quanti altri, devoti di Marx e del suo materialismo, “inchiodati” a quella fede, senza possibilità di scampo.
E questa incrollabile “fiducia” lo ha portato ad un singolare strabismo. Ha condotto, come chissà quanti altri, una feroce guerra alla fede cristiana e alla Chiesa cattolica, occultando le colpe, le responsabilità, le atrocità della propria “chiesa”: «si dichiarava insonne al solo pensiero delle crociate, o dell'inquisizione, dimenticando il ricordo dei gulag, delle purghe, dei genocidi, dei samizdat culturali e religiosi». Brutto vizietto, squallido giochetto che è stato possibile fare, per Saramago e quelli come lui, fino all’89, quando la caduta del muro di Berlino ha sbaragliato il muro di omertà che era calato in Occidente, grazie proprio al prono ossequio di intellettuali alla Saramago che hanno fatto i reggi bastone al comunismo sovietico, impalcandosi ad autorità morali.
Sono andati avanti per decenni a ricordare i mali compiuti dalla Chiesa medievale, omettendo di guardare in faccia e denunciare al mondo intero le atrocità contemporanee che si commettevano nei Paesi sottomessi al giogo dei rossi. Hanno letteralmente costruito ed imposto la leggenda nera di Papa Pio XII e dei suoi colpevoli silenzi, mentre loro erano i primi ad osservare un rigiso e colpevolissimo silenzio. Un populista estremistico come Saramago, “che si era fatto carico del perché del male nel mondo, avrebbe dovuto anzitutto investire del problema tutte le storte strutture umane, da storico-politiche a socio-economiche, invece di saltare al per altro aborrito piano metafisico e incolpare, fin troppo comodamente e a parte ogni altra considerazione, un Dio in cui non aveva mai creduto, per via della Sua onnipotenza, della Sua onniscienza, della Sua onniveggenza". Se la prendeva con l’Onnipotente, e non si azzardava a criticare gli onnipotenti dittatori marxisti che ammazzavano, torturavano, perseguitavano, affamavano la loro gente.
Gli hanno dato il premio Nobel. Aveva tutte le carte in regola per ottenerlo (ce l’aveva anche un “grande intellettuale” come Dario Fo, che riuscì a strapparlo ad un grande della letteratura italiana come Mario Luzi): si era dato la missione di distruggere Dio e in particolar modo Gesù Cristo. E chi si dà da fare in questo senso ha le carte in regola per essere premiato. Scrisse il “Vangelo secondo Gesù”, lanciando una «sfida alla memoria del cristianesimo di cui non si sa cosa salvare se, tra l'altro, Cristo è figlio di un Padre che imperturbato lo manda al sacrificio; che sembra intendersela con Satana più che con gli uomini; che sovrintende l'universo con potestà senza misericordia. E Cristo non sa nulla di Sé se non a un passo dalla croce; e Maria Gli è stata madre occasionale; e Lazzaro è lasciato nella tomba per non destinarlo a morte suppletiva». Roba scottante, pruriginosa. Da Premio Nobel.
La bella stroncatura dell’Osservatore Romano è totale: «Irriverenza a parte, la sterilità logica, prima che teologica, di tali assunti narrativi, non produce la perseguita decostruzione ontologica, ma si ritorce in una faziosità dialettica di tale evidenza da vietargli ogni credibile scopo».
Insomma, un ideologo anti religioso, con una mente “uncinata” da una “destabilizzante banalizzazione del sacro e da un materialismo libertario che quanto più avanzava negli anni tanto più si radicalizzava” Il suo assunto teologico era semplicistico in modo sconfortante: “se Dio è all’origine di tutto, Lui è la causa di ogni effetto e l’effetto di ogni causa".
E bisognerebbe commemorare e glorificare sugli altari della cultura questo illustre signore?
(Fonte: Gianluca Zappa, La Cittadella, 20 giugno 2010)
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