Se la società civile ha sentito le prime scosse telluriche col '68, la Chiesa è entrata in clima di revisione almeno sei anni prima, col Concilio Ecumenico Vaticano II, aperto nel '62 e chiuso nel '65. E con il rinnovamento (comprensibile e, per certi aspetti, accettabile e necessario), si son fatti sentire i primi segnali del terremoto che stava esplodendo. Qualcuno, ben più autorevole di me, ha già denunciato i cambiamenti tentati e riusciti per far cambiare rotta alla Chiesa: una diversa visione teologica su Dio, su Gesù Cristo, sulla Chiesa e sull'uomo, una diversa impostazione pastorale del rapporto Chiesa/mondo e del rapporto tra la Chiesa cattolica e le altre confessioni cristiane o tra la Chiesa cattolica e le altre religioni, un diverso modo di concepire la disciplina.
Nel maggio dell'89, il presidente della C.E.I., il Cardinale Ugo Poletti, preoccupato per quanto sessantatre cultori di scienze ecclesiastiche hanno scritto alla Chiesa italiana, ha ravvisato “alterazioni profonde del contenuto della fede cattolica e conseguenti divisioni nella compagine clericale”. E ancora: “Le preoccupazioni riguardano in particolare gli allievi dei nostri seminari e istituti teologici, coloro che domani saranno i nostri nuovi sacerdoti, e che certo non ricevono oggi da alcuni loro maestri un esempio formativo, sotto il profilo della teologia, della spiritualità e del senso della Chiesa”.
Mi chiedo: se i vescovi italiani non si fossero limitati solo a qualche piagnisteo inconcludente, a delle lamentele senza un seguito, se avessero preso la decisione coraggiosa e dolorosa, ma necessaria, di disinfestare i seminari, non sarebbero usciti dei nuovi sacerdoti in piena sintonia con la dottrina, con le direttive e con le necessità della Chiesa?
Dunque, il terremoto ormai permanente di cui da quarant'anni è vittima la Chiesa, è stato veicolato in basso dalle nuove generazioni di preti formati male nei seminari: l'infezione che essi hanno contratto negli anni della loro formazione (o deformazione!), l'hanno trasmessa poi nelle loro parrocchie.
Oggi molti vescovi non governano più la Chiesa: davanti a certi comportamenti gravissimi di alcuni preti, si limitano a qualche amara constatazione e a dei pii consigli, ma nulla più. Pare che si vergognino del potere di governo, come se fosse il segno di una durezza di cuore. Non governano per timore dei contraccolpi che quasi sicuramente riceverebbero da una base (e sto parlando di sacerdoti) ormai anarchica e ingovernabile. Governare significa fare le Leggi, farle rispettare e colpire chi le viola. Gesù ha fondato la sua Chiesa su tre “gambe”: il potere di insegnare, il potere di santificare e il potere di governare. Cercare di far stare in piedi la Chiesa con due sole gambe, senza il potere di governo, è una pura e dannosa illusione. E l'anarchia presente oggi nella Chiesa lo dimostra ampiamente. Quando persino dei sacerdoti favorevoli all'aborto (e dunque assassini) restano impuniti, ogni altro ribelle sa che avrà garantita l'impunità. Se invece un prete sputa in faccia a Cristo con eresie e ribellioni sistematiche, qualche vescovo è sempre pronto a tirare in ballo la carità, la pazienza, la doverosa comprensione verso un fratello che sbaglia, la capacità di saper attendere un suo ravvedimento... Se fosse necessario, perché rinunciare a richiamare anche i vescovi?
È San Paolo che ci insegna a farlo, criticando niente meno che l'apostolo Pietro, capo della Chiesa, il primo Papa, “di simulazione, di ipocrisia, di comportamento non retto secondo la verità del Vangelo” e lo corregge “in presenza di tutti” (Gal 2, 11-14). È il caso di meditare attentamente su quanto ha scritto Giovanni Paolo II parlando di sé: “Al ruolo del Pastore appartiene certamente anche l'ammonire. Penso che, sotto questo aspetto, ho fatto forse troppo poco... Forse devo rimproverarmi di non aver abbastanza cercato di comandare. In certa misura, ciò deriva dal mio temperamento. Se il vescovo dice: “Qui comando solo io”, oppure “Io sono qui solo a servire”, manca qualcosa: egli deve servire governando e governare servendo”.
La critica è un bene quando nasce dall'amore alla Chiesa e dalla volontà di rendere migliore i nostri Pastori. E quando si critica il loro operato non in base a criteri nostri, ma ai criteri di Gesù Cristo. Se un vescovo non rimuove un prete abortista o eretico, gli altri preti e tutti i fedeli, pur soffrendone, non possono far nulla. Questo peccato di omissione ha permesso ai lupi di restare indisturbati in mezzo al gregge a far strage delle pecore indifese.
Sono cosciente che chi avanza anche solo qualche riserva nei confronti del Concilio viene subito attaccato come ribelle alla Chiesa. Ma che qualcosa di poco chiaro ci sia stato in questo benedetto Concilio Ecumenico Vaticano II è fuori dubbio.
Papa Paolo VI ha avuto l'onestà di riconoscere la tempesta spaventosa in cui naviga la Chiesa: “In numerosi campi, il Concilio non ci ha dato fino ad ora la tranquillità, ma ha piuttosto suscitato turbamenti e problemi non utili al rafforzamento del Regno di Dio nella Chiesa e nelle anime. […] Gran parte dei mali non assale la Chiesa dal di fuori ma l'affligge, l'indebolisce, la snerva dal di dentro”. Le dimensioni dello sfascio, Montini, le denuncia quando dice: “Il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio... Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio”.
Del resto, il teologo olandese padre Edward Schillebeeckx, lo ha affermato senza esitazioni: “In Concilio abbiamo usato dei termini equivoci e non sappiamo che cosa poi ne ricaveremo”. E Giovanni Paolo II si associa nella denuncia e nel lamento: “Bisogna ammettere realisticamente e con sofferta sensibilità che i cristiani oggi in gran pare si sentono smarriti, confusi, perplessi e perfino delusi, si son sparse a piene mani idee contrastanti con la verità rivelata e da sempre insegnata; si sono propalate vere e proprie eresie in campo dogmatico e morale, creando dubbi, confusioni, ribellioni; si è manomessa anche la liturgia. Immersi nel relativismo intellettuale e morale e perciò nel permissivismo, i cristiani sono tentati dall'ateismo, dall'agnosticismo, dall'illuminismo vagamente moralistico, da un cristianesimo sociologico, senza dogmi e senza morale oggettiva”. Responsabili sono quei teologi che, nelle facoltà universitarie, pure pontificie, e nei seminari, insegnano da anni vere e proprie eresie o hanno messo il silenziatore a verità scomode (inferno, purgatorio, comandamenti, castità, penitenze, indulgenze...).
Responsabili sono quei pastori d'anime che, nella catechesi e nella predicazione, non tengono conto delle norme della Chiesa in campo liturgico e disciplinare. E responsabili sono anche quei laici che si sono rassegnati alle balordaggini di certi Pastori senza protestare. È lo stesso Benedetto XVI che ci esorta: “E’ tempo di ritrovare il coraggio dell'anticonformismo, la capacità di opporsi e di denunciare molte delle tendenze della cultura circostante, rinunciando a certa euforica solidarietà postconciliare". In poche parole, ha esortato il Pontefice regnante in occasione della chiusura dell’Anno Sacerdotale, “la Chiesa usi il bastone contro i sacerdoti indegni”. Speriamo che questo saggio richiamo non cada nel vuoto.
(Fonte: Irene Bertoglio, Petrus,12 giugno 2010)
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