giovedì 17 giugno 2010

Elogio del prete «feriale»

Contro il rischio di trasformare il sacerdote nell'esteta della perfezione rituale o nel super manager, torniamo a stupirci del miracolo di una Chiesa quotidiana.
Si conclude l'Anno sacerdotale, che Benedetto XVI aveva indetto per riportare al centro dell'attenzione il sacerdozio ordinato e l'esempio del Santo curato d'Ars, e che ha coinciso con la bufera dello scandalo-pedofilia e con una rappresentazione spesso distorta della realtà della Chiesa.
Credo che sia utile tornare con la memoria alle storie di ciascuno di noi, e ai tanti esempi di bravi preti che abbiamo incontrato. Penso al parroco che ha sposato i miei genitori, battezzato me e mio fratello, che mi ha preparato alla prima comunione e poi alla cresima, che conosce a memoria i numeri civici dei suoi parrocchiani, sempre presente e sempre disponibile, pronto a confessarti e persino a prestarti la macchina quando dovevi andare a trovare la fidanzata... Preti che ci hanno insegnato che cosa significhi vivere in Dio, con Gesù e per i fratelli, esempi di dedizione, pur con i loro mille difetti umani.
Vittorio Messori, parlando dei sacerdoti, ha espresso la sua gratitudine per questi uomini che – nonostante mediocrità e angustie – «tengono aperte le infinite chiese del mondo, dove si celebrano le messe di ogni giorno e quelle per le tappe fondamentali della vita di ciascuno: battesimi, matrimoni, funerali. Chiese dove talvolta c'è anche il dono – ché tale è – di un vecchio confessore che attende paziente per renderci certi, se solo lo vogliamo, del perdono di Cristo; dove ci sono panche, penombra e fiori, silenzio, lumini accesi, anche opere d'arte, se l'edificio è antico; dove, forse, è restato persino un sentore di incenso; dove chiunque può entrare, restare quanto gli aggrada, pregare o pensare o anche solo sostare senza che nessuno gli chieda conto del suo essere lì o lo importuni, perché non si è tolto le scarpe o non si è calcato lo zucchetto in testa o non ha uno scialle sulle spalle... Ho affetto, stima e direi pure tenerezza per gli uomini che chiamo "feriali", di una Chiesa anch'essa feriale».
Immagine forse troppo idilliaca o infantile? Non credo. Nell'epoca in cui si rischia talvolta di trasformare il prete in esteta della perfezione rituale (con la mania dei paramenti old stile e la moda dei pizzi e merletti, come se risiedesse lì l'autentico spirito della liturgia) oppure in perfetto manager capace di organizzare e di gestire online la sua parrocchia, c'è forse bisogno di tornare a stupirci per il miracolo di una Chiesa «feriale», fatta di poveri Cristi che quotidianamente, agendo in persona Christi, ci donano i sacramenti aprendo la via della grazia. E ogni giorno sono là ad aspettarci se solo lo vogliamo.

(Fonte: Andrea Tornielli, Vino nuovo, 10 giugno 2010)

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