Uno
dei limiti più deleteri dell’ideologia che si ispira alla political correctness
è costituito da quella esasperata componente soggettivista che riesce a
relativizzare la realtà, per cui quest’ultima non è mai come oggettivamente
appare, ma come ogni singolo individuo decide che sia.
È
accaduto in Nuova Zelanda, dove la società australiana produttrice di
assorbenti Libra ha avuto la malaugurata idea di promuovere una pubblicità
televisiva, nella quale cui sono state evidenziate le naturali differenze
fisiche tra una donna ed un transessuale.Inevitabile l’accusa di sessismo e transfobia, con conseguente fatwa da parte della suscettibile comunità LGBT. Invitabile anche l’immediato ritiro della reclame incriminata. Quale fosse la bestemmia è presto detto. Si tratta di uno spot pubblicitario – criticato a cominciare dal titolo Libra gets girls (Libra rende donna) –, in cui appaiono, davanti allo specchio di un bagno pubblico, una ragazza e un transessuale che si accingono a truccarsi.
Tra le due figure si ingaggia una sorta di sfida, a colpi di trucco e mascara, per dimostrare chi di esse fosse più femminile, fino a quando la ragazza – provocata dall’esibizione del seno prorompente del trans – tira fuori dalla borsetta un assorbente. A quel punto la battaglia è impari, ed il transessuale deve abbandonare il campo sconfitto.
A nome della comunità transgender neozelandese prende la parola la attivista Cherise Witehira, che si incarica di condannare senza appello la pubblicità, in quanto pretenderebbe di far passare «l’idea offensiva che l’unico modo per essere fisicamente donna è quello di avere un apparato riproduttivo sessuale, con tanto di ciclo mestruale». Evidentemente una donna non è come natura crea, ma come ciascuno decide che sia.
(Fonte: Gianfranco Amato, Corrispondenza Romana, 29 febbraio 2012)
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