martedì 29 maggio 2012

«Carte segrete del Papa? I giornalisti hanno la sindrome di Dan Brown»

«Non è la prima volta che qualcuno dà addosso al Papa per il bene della Chiesa, ma danneggiare il Papa, pubblicando le sue carte private, e dichiarare di farlo “per il suo bene” lo trovo quanto meno sorprendente». Ad essere «molto perplesso» per le continue rivelazioni “a fin di bene” dei cosiddetti “corvi” del Vaticano, responsabili di aver fatto uscire dalla Santa Sede documenti riservati di Benedetto XVI, non è un osservatore qualunque ma Franco Pisano, un vaticanista con quasi 30 anni di esperienza, soprattutto all’Ansa, dove è stato capo dell’ufficio dei vaticanisti, che ha seguito fin dall’inizio il pontificato di Giovanni Paolo II.
D. Escono sempre nuove rivelazioni sui “corvi”. Oggi uno di loro, in forma anonima, ha rilasciato una lunga intervista a Repubblica dopo la notizia dell’indagine a carico del maggiordomo del Papa.
Non so se l’intervista sia un falso, non ho elementi per dirlo ma è normale che a un certo punto si arrivi anche alle interviste anonime in casi come questo. Però bisogna stare attenti. Io ricordo bene che quando Giovanni Paolo II si operò di appendicite, uscirono dei corvi ante litteram. E un noto giornalista di un noto giornale pubblicò le parole anonime di un personaggio che rivelò che in realtà il Papa aveva un cancro e stava per morire. Gli anonimi escono sempre: a volte sono veri, ma a volte sono solo comodi.
D. Come giudica il modo in cui i giornali italiani stanno trattando il caso della pubblicazione delle “carte segrete” del Papa?
Hanno la Sindrome di Dan Brown. Quando ci sono problemi scottanti, come in tutte le cose umane, si fa di tutto per raccontare le cose della Chiesa fabbricando un’aura di mistero e complotto, anche dove non c’è. Ad esempio, lo scorso sabato il Papa ha ricevuto i pellegrini del Rinnovamento nello Spirito Santo. Di che cosa avrà mai parlato alla vigilia della Pentecoste? Dello Spirito Santo, direi, mi sembra abbastanza lineare. E invece i giornali sono riusciti a trovare nel suo discorso dei riferimenti ai corvi. Tutto viene forzato, si cerca il modo di coinvolgere la Chiesa in una vicenda che poi potrebbe essere anche solo una squallida storia di soldi, per quel che ne sappiamo finora. Ma cercare il complotto dovunque non è una novità.
D. Cioè?
Mi ricordo ad esempio che all’ultimo conclave erano arrivati giornalisti da tutte le parti del mondo. C’erano anche gli americani, che volevano sapere a tutti i costi chi era il Camerlengo, che nel Codice da Vinci è il protagonista. Io spiegai a qualcuno di loro, soprattutto a uno di Dallas, che il massimo del potere che il camerlengo aveva era di nominare a tempo un usciere. Insomma, un signor nessuno, non ha nessun potere reale. Gli americani ci sono rimasti malissimo.
D. Questa “storia squallida” però non è finzione. Sono coinvolte anche persone molto vicine al Papa.
Sono uscite delle carte private del Papa e questa non è una cosa molto carina. Che il cameriere di Benedetto XVI sia coinvolto poi è molto triste. Io mi ricordo che Angelo, il cameriere personale di Giovanni Paolo II, era una persona simpaticissima, affabile, parlava volentieri ma se gli chiedevi se a colazione il Papa si era fatto portare un cornetto o un panzerotto diventava muto. Non diceva un parola.
D. Però i “corvi” affermano di fare uscire notizie riservate per il bene della Chiesa e del Papa.
È sorprendente. La gente che dà addosso al Papa per il bene della Chiesa, a dir la verità, è sempre esistita. Mi lascia molto perplesso invece che chi mette in piazza documenti privati del Papa, danneggiando il Papa, dica di farlo per il bene del Papa. Poi si finisce sempre allo stesso modo: qualcuno ha già chiesto le dimissioni di Benedetto XVI. E con le dimissioni papali, ci sono persone che hanno fatto una fortuna economica. Vogliono così tanto bene alla Chiesa e al Pontefice da chiederne le dimissioni.
D. Perché lo fanno allora?
Semplice: perché non vogliono bene né alla Chiesa né al Papa. E per farlo mischiano tutto insieme, fanno un grande potpourri.
D. Però giornalisti come Gianluigi Nuzzi l’autore di “Sua Santità”, si trincerano dietro il “diritto di cronaca”.
Ai giornalisti può succedere di ricevere delle carte riservate, fa parte del gioco. Se si parla di come usarle, però, entra in gioco la coscienza personale. Secondo la deontologia professionale, se sono di interesse pubblico, è giusto farle uscire. Certo che se le carte si ottengono grazie a un furto o un reato, deve entrare in gioco la magistratura, e ho forti dubbi che si possano pubblicare.

(Fonte: Leone Grotti, Tempi, 28 maggio 2012)
 

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