Come
da programma anche quest’anno ci è toccata la sindacale punizione del concerto
del 1° maggio, che come quella fantozziana della corazzata Potemkin rappresenta
la tortura culturale di partito, alla quale nessuno sfugge; tutti applaudono,
fintamente interessati, per timore di pubblica fustigazione e solo qualche voce
isolata, fuori dal coro, osa una tantum
alzarsi e dire quello che tutti segretamente pensano: è una boiata pazzesca!
Il
paradosso di festeggiare i lavoratori proprio nel tempo in cui essi sono più
sviliti dalla competizione economica globale e dal progresso tecno scientifico,
rende conto, da una parte, dell’anacronismo delle categorie storiche e
culturali della sinistra, motivo anche della sua inettitudine politica in tempi
di governo; dall’altra, dell’astuta ipocrisia che il comunismo ha sempre
coltivato nel vezzeggiare i suoi schiavi e farli credere liberi nella
partecipazione attiva alla lotta armata di classe; che poi l’arma sia il fucile
o la chitarra è indifferente. Infine, paradosso nel paradosso, lo sperpero di denaro pubblico per infrastrutture e forze dell’ordine che tale concerto da un ventennio comporta; denaro prelevato per via fiscale a tutti i lavoratori per l’intrattenimento di pochi, lusso da tardo impero che la marea montante della crisi e della conseguente rastrellata fiscale avrebbe dovuto spazzare via insieme al posto fisso, all’art. 18, alle pensioni, alle Olimpiadi, tutti residuati di un’età del boom economico ormai sorpassata, ma comunque ben più cari e importanti di una versione sindacalistica di Sanremo, dal cui palco, fra l’altro, protervi predicatori già insultarono Cristo e il Papa.
Sequestrare la festa di San Giuseppe, patrono dei lavoratori, per trasformarla in festa dei lavoratori, che di per sé nient’altro sono che poveri uomini condannati a tirare in circolo la mola assegnatagli, è stata un’astuzia della secolarizzazione politica che forse l’attuale crisi del lavoro vendicherà, riportandola alla sua radice sacra.
(Fonte:
Il Vento dell’Ovest, 1 maggio 2012)
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